2024-08-11
Pure l’ateo Dawkins colpevole di leso gender
Clinton Richard dawkins (Getty Images)
Lo studioso, un tempo idolatrato per le sue posizioni fortemente ostili alle religioni, censurato da Facebook per aver definito Khelif e Ting come «uomini travestiti da donne». A quanto pare, la scienza è un’autorità indiscussa solo quando fa comodo.Dicono che ciascuno può diventare chi vuole, scegliersi il sesso che desidera, la forma e il nome che più gli aggrada. In questo regno della libertà assoluta, tuttavia, non è molto gradito chi abbia la tempra di parlare liberamente e di dire ciò che pensa riguardo ai dogmi del pensiero prevalente. È più o meno quanto accaduto a Richard Dawkins, celebre biologo evoluzionista osannato dalle folle e dai fan sfegatati de la scienza. O, meglio, che è stato osannato finché utilizzava la scienza per sostenere l’inesistenza di Dio e per attaccare credenti e bigotti di vario tipo. Quando la stessa scienza ha cominciato a sfruttarla per contrastare le presunte verità ufficiali del politicamente corretto, ecco che all’improvviso l’aria è cambiata. «Il mio intero account Facebook è stato cancellato, apparentemente (non ci sono spiegazioni) perché ho twittato che pugili geneticamente maschi come Imane Khelif (XY indiscusso) non dovrebbero combattere contro le donne alle Olimpiadi», ha scritto Dawkins su X. «Naturalmente la mia opinione è aperta a un dibattito civile. Ma censura vera e propria?». A quanto sembra, la sanzione virtuale su Facebook dipenderebbe da un post (per altro pubblicato su X) in cui Dawkins ha scritto: «Due uomini, travestiti da donne, sono autorizzati a boxare contro vere donne alle Olimpiadi». Il riferimento - piuttosto diretto come nello stile dello scienziato britannico - era ovviamente a Imane Khelif e Lin Yu Ting. Certo, si potrebbe osservare che Dawkins non è stato molto cauto e nemmeno molto garbato. Si può ritenere che il suo giudizio sia stato sommario e forse irrispettoso, e che sarebbe stato meglio utilizzare uno stile differente. Ma il punto è che sull’argomento non c’è stata alcuna discussione: semplicemente Facebook ha deciso di bloccare il profilo di Dawkins, che in effetti ancora ieri in serata risultava privo di contenuti. E di nuovo si riapre l’antica questione: Facebook è una azienda privata che in teoria può fare ciò che le aggrada. Ma poiché essa nei fatti influenza - e non poco - il dibattito pubblico, dovrebbe agire secondo regole trasparenti e almeno in parte condivise. Invece, fingendo imparzialità, si permette di censurare, zittire e oscurare le idee che non giovano alla narrazione dominante. Dawkins non è mai risultato vittima della mordacchia, anzi è sempre apparso come un campione dello scientismo trionfante. Poi, però, è accaduto qualcosa. Essendo un filo manicheo ma non in cattiva fede, il caro Richard ha cominciato a notare che qualcosa non tornava e, proprio in nome della sua amata scienza, si è lasciato andare a esternazioni del tipo: «Il sesso è chiaramente binario, dichiarare qualcosa di diverso è una distorsione della realtà». E così, già nel 2021, Dawkins è finito alla gogna per via delle sue dichiarazioni in materia di gender e transessualità. Lo hanno dichiarato d’ufficio transfobico, e accusato di avere «umiliato gruppi emarginati». In virtù delle sue uscite sulla differenza tra i sessi gli hanno persino ritirato il prestigioso premio di Umanista dell’anno, conferitogli negli anni Novanta dalla American Humanist Association. Va detto che lo studioso se n’è sempre serenamente fregato delle polemiche e ha continuato dritto per la sua strada. In uno storico articolo pubblicato tempo fa su The New Statesman ha ribadito che i sessi sono due, e che ogni tirata sulla fluidità altro non è che menzogna. Le sue affermazioni sono risultate talmente inaccettabili per The New Statesman che la direzione della rivista ha deciso di affiancare al pezzo di Dawkins un altro articolo firmato da Jacqueline Rose, secondo cui il binarismo sessuale deve invece essere «sfidato». Dawkins, a sua volta, ha risposto per le rime: «Puoi essere cancellato, diffamato, persino minacciato fisicamente se osi suggerire che un essere umano adulto deve essere uomo o donna. Ma è vero», ha scritto. E ha aggiunto: «I veri intersessuali sono troppo rari per sfidare l’affermazione che il sesso è binario. Ci sono due sessi nei mammiferi, e basta». E ancora: «La moda per le femmine di “identificarsi come” maschio e per i maschi di “identificarsi come” femmina ha posto una nuova convenzione assertiva. L’autoidentificazione è ormai arrivata al punto di usurpare persino il “sesso”. Viene definito “donna” chiunque scelga di definirsi una donna, e non importa se abbia un pene e un petto peloso. E ovviamente questo gli dà il diritto di entrare negli spogliatoi femminili e nelle competizioni atletiche. Perché non dovrebbe? Dopotutto è una donna, no? Negalo e sei un bigotto transfobico. Sarcasmo a parte, la disforia di genere è una cosa reale. Coloro che sinceramente si sentono nati nel corpo sbagliato meritano simpatia e rispetto. Molti di noi conoscono persone che scelgono di identificarsi con il sesso opposto alla loro realtà biologica. È educato e amichevole chiamarli con il nome e i pronomi che preferiscono. Hanno diritto a rispetto e simpatia. I loro militanti sostenitori, però, non hanno il diritto di requisire le nostre parole e di imporre ridefinizioni idiosincratiche al resto di noi. Hai diritto al tuo lessico privato, ma non hai il diritto di insistere affinché cambiamo la nostra lingua per soddisfare i tuoi capricci. E non hai assolutamente il diritto di fare il prepotente e intimidire coloro che seguono l’uso comune e la realtà biologica nel loro utilizzo di “donna”. Una donna è una femmina umana adulta, priva di cromosomi Y». Che si tratti di un articolo su una rivista di sinistra o di un post su X, Richard Dawkins non fa altro che ribadire una verità. E per questo continua a essere attaccato e censurato persino da quanti tempo fa lo idolatravano. Anche se Facebook lo oscura, non c’è dubbio che egli continuerà a restare fermo nelle sue convinzioni. Il problema è che il discorso dominante ha preso una strada diversa, abbandonando del tutto la realtà a favore dell’ideologia. Persone come Dawkins hanno gli strumenti per difendersi e non farsi plagiare. Ma gli altri?
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)