2022-01-26
C’è un messia alle case popolari, e mena duro
Edoardo Pesce in «Christian» (Sky via Ansa)
Su Sky arriva «Christian», serie su un picchiatore della periferia romana che dopo anni al servizio del boss del rione si ritrova con le stimmate e può fare miracoli. Il Vaticano indaga su di lui mentre la mala lo osteggia: una parabola moderna in chiave pop. Una Città-Palazzo, popolata di gente costretta a vivere ai margini della società: prostitute, tossicodipendenti, disoccupati, picchiatori al soldo di piccoli boss locali. L’ambientazione di Christian, il micromondo che si dischiude davanti agli occhi dello spettatore non appena la serie Sky prende il via, è tristemente nota. Abusata, a tratti. È frutto del riscatto televisivo degli ultimi, di una rielaborazione pop di contesti che hanno poco a che spartire con il fascino variopinto impresso alla parola di Andy Wharol: «pop», lontano dall’«art» e vicino al grigiume del calcestruzzo, di facciate scrostate dal tempo e dall’incuria, di fili tesi sopra ogni balcone nel tentativo di colorare con i panni quel che la vita ha fatto scuro. Christian è periferie e malavita, ma in quel palazzone così banale ha trovato il modo di far entrare qualcosa di antitetico, la manifestazione visiva di un ossimoro: la luce della fede contro i muri imbrattati, la polvere, il sangue, il vivere violento delle gang. Christian, al debutto su Sky Atlantic nella prima serata di venerdì, è la trasposizione della sacra storia. O, meglio, è il racconto di quel che sarebbe successo se le stimmate non le avessero avute i santi e Gesù Cristo fosse nato ai margini di Roma, 2000 e passa anni più tardi. Christian, il Christian della serie televisiva, sei episodi diretti da Stefano Lodovichi, è un uomo sulla quarantina, relegato in un piccolo appartamento: due stanze, carta da parati stazzonata, un tavolino minuscolo e una madre, Italia, malata d’Alzheimer. Vorrebbe un «lavoro» stabile, un ruolo di spicco all’interno della famiglia malavitosa attorno alla quale è cresciuto. Ma Lino, a capo della tentacolare Città-Palazzo costruita sul calco delle Vele di Scampia e del Corviale romano, non ha la benché minima intenzione di assecondare le ambizioni del nerboruto sottoposto. Christian può fare il picchiatore e stop, può essere braccio senza mai usare la mente, una marionetta dalle mani grandi mossa dai bisogni di un padrone autoritario. Bisogni che, un bel giorno, Christian sembra però non riuscire più a soddisfare. Troppo dolore a quelle mani esagerate. Troppo sangue, troppe ferite comparse nello spazio di una notte, senza alcuna causa apparente. Il ragazzone con il volto di Edoardo Pesce - un David di Donatello per Dogman di Matteo Garrone - si ritrova coi palmi bucati, ha le stimmate, la santità sulla pelle. Ma Lino, il viso scuro di Giordano De Plano, a quelle mani guarda con scetticismo. E lo scetticismo si fa paura, quando capisce che in sé possono contenere la rivoluzione. Christian, che in breve sviluppa poteri taumaturgici, la capacità di riportare in vita le persone, guarire chi si credeva perduto, riesce a risvegliare da un coma di anni la moglie di Lino. Quel risveglio è preludio di un’epifania, quella del boss. Il «Salvatore», come lo chiama la gente di Città-Palazzo, è in grado con la sola imposizione delle mani di sovvertire l’ordine costituito. E tutelarlo significa guerra: uno scontro fra il boss e colui che lo vorrebbe deposto, una battaglia che per Lino può essere combattuta solo con le armi. Lino vuole la testa di Christian, Matteo (Claudio Santamaria) la sua storia. Nel mezzo del faccia a faccia fra De Plano e Pesce, è un postulatore del Vaticano ad indagare sugli strani miracoli di Città-Palazzo, ossessionato dal tentativo di capire se Christian sia una manifestazione terrena della divinità o sia, invece, il più meschino degli impostori. Un dubbio, questo, condiviso con padre Klaus (Ivan Franek), i cui segreti minacciano di sovvertire non già l’ordine di Lino, ma lo scorrere stesso della vita umana. «È un terreno su cui è facile scivolare», quello di Christian, «ci siamo andati con due sole regole: divertirci e schivare le cose già viste, con la consapevolezza di avere un mondo di domande impossibili con le quali confrontarsi e il dovere di farlo senza la pretesa di dare delle risposte», ha detto, nel corso della conferenza stampa che ha accompagnato il lancio della serie Valerio Cillo, sceneggiatore, racchiudendo in poche parole la complessità di un prodotto che approccia la fede in maniera inedita. Non alta, non bassa. Non pretesa filosofica, né parodia. Christian, che su Sky è figlia - spuria e meno grottesca - de Il miracolo di Niccolò Ammaniti, è uno show destinato a un pubblico composito: genitori, figli, adulti e ragazzini, credenti, agnostici, atei, legittimati - tutti - a leggere nei sei episodi quel che più riflette il loro sentire, una storia di fede oppure una pulp fiction ad impronta soprannaturale.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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