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2022-01-14
C’è un esercito di guariti fantasma che il governo insegue con la siringa
Ansa
Non hanno fatto nulla di male, a parte ammalarsi in un Paese che complica tutto. Ma nella lotteria impazzita dei numeri ufficiali, per lungo tempo gonfiati per meglio spaventare il popolo, i «guariti» sono i veri paria della pandemia cinese. Ufficialmente, sono 5 milioni e mezzo, ma tra gli stessi televirologi, come l’ineffabile Massimo Galli, c’è il sospetto che siano tre o quattro milioni in più. Questi fantasmi che la perfetta macchina da guerra del Cts che ispira il ministro Roberto Speranza non sa bene come conteggiare (e se e quando vaccinare, e come e quando «liberare» con il green pass), in realtà sono anche abbandonati a sé stessi perché non si indaga a sufficienza su quale sia il loro stato di salute dopo che hanno sconfitto il Covid. Anche se non mancano le segnalazioni random dei vari specialisti, dagli psicologi ai diabetologi.
Nelle ultime ore, dopo l’esplosione di quarantene vere e presunte, e il manifestarsi di un lockdown di fatto che rischia di minare la ripresa economica, il governo sta finalmente pensando di non enfatizzare più il dato dei contagiati. Un dato sciocco per definizione, perché riguarda dei non malati e si ritorce contro le stesse magnifiche e progressive sorti propagandate dal governo dei migliori e dal vaccinatore capo, il generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo. All’estremo opposto sta il dato meno studiato e strombazzato di tutti, ovvero quello sui cosiddetti guariti. Senza alcuna volontà di colpevolizzare nessun cittadino, visto che sono tutti padroni della propria salute fino a prova contraria, e tenendo presente che in Italia sono quasi vent’anni che siamo bombardati dalla famosa legge sulla privacy e dalle sue certificazioni, alzi la mano chi non conosce, o non sospetta, di qualcuno che ha fatto il Covid e se n’è stato bello zitto. A chi s’è semplicemente chiuso in casa fin quando gli è passata la febbre, va aggiunto anche chi non era sintomatico e, semplicemente, s’è preso il virus a sua insaputa. Su 60 milioni di italiani, i dati ufficiali dicono che finora ci sono stati 7.774.863 casi, con 139.559 morti, 2.134.139 positivi attualmente e 5.500.938 guariti. Insomma, poco più di un cittadino su dieci avrebbe contratto il virus. Almeno, per quel che ne sa il Sistema sanitario nazionale. Che però i casi (e i guariti) siano molti di più, come forse invece i morti sono di meno visto che almeno nella prima fase sono stati imputati al Covid anche infarti e incidenti stradali, è un sospetto che hanno in parecchi. La verità è scappata un paio di mesi fa al professor Massimo Galli, il primario del Sacco di Milano famoso per le battaglie pro vaccino e per essersi poi curato la variante Omicron a casa propria, con le invise cure monoclonali. L’infettivologo ha affermato su La 7 che «stiamo trasformando in no vax molte persone che in realtà non hanno bisogno di essere curate e vaccinate in questo momento». Per poi rivelare che «In Italia abbiamo secondo i dati 4,6 milioni di guariti dal Covid, ma probabilmente sono 7 milioni in tutto». Era il 4 novembre scorso e se attualizziamo il coefficiente usato da Galli, oggi dovremmo essere a non meno di 8,4 milioni di guariti «reali».
Fino a poche settimane fa, gli esperti del governo sostenevano che i sopravvissuti al Covid avessero almeno un anno di tranquillità e che la loro carica di anticorpi fosse molto superiore a quella dei vaccinati. Poi si è sceso a sei mesi, infine li si è spinti a farsi due dosi di vaccino e ora anche il booster, bambini dai 12 anni in su compresi (dietro minaccia del ritorno in Dad). Per molti di loro, almeno per chi è venuto allo scoperto con la malattia, avere il green pass è stato ed è un rebus totale, complice il caos su chi dovesse certificarne (e comunicarne) l’avvenuta guarigione. Da una settimana, per il nuovo certificato verde potenziato serve il proprio medico di base. L’ultima beffa ai fantasmi del virus? Il super green pass è automatico solo per i guariti dal 6 gennaio in poi. E già, perché dopo migliaia di proteste e quesiti, il ministero della Salute ha spiegato che il tampone negativo riattiva il green pass che era stato bloccato al momento del rilevamento della positività, ovvero quello vecchio. Ma per avere il nuovo green pass dei guariti, che fa scattare i sei mesi di libertà, è appunto il medico di base che deve inserire il certificato sulla piattaforma. Con regole così, è chiaro che c’è chi si fa il Covid in religioso silenzio e poi fa finta di nulla.
Poi c’è l’altra faccia del fantasma, se così si può definire, ovvero che cosa succede dopo che si è avuto il Covid. Con fatica, dall’estate scorsa, si parla di «long Covid», per indicare una serie di problemi che il virus lascia alle sue spalle, a cominciare da un senso di forte stanchezza, fragilità respiratoria, palpitazioni, dolori articolari, disturbi dell’olfatto e del gusto, depressione. Quanti di questi 5,5 milioni di italiani (o forse 8) hanno patologie causate dal Covid e qual è il confine esatto del concetto di guarigione? Cts e governo ne parlano poco per un motivo molto semplice: non ci sono soldi e medici per affrontare anche questi malanni. Che però possono essere anche molto gravi. Ed è proprio di ieri la notizia che i bambini colpiti dal Covid sono a maggior rischio di diabete, come ha scoperto uno studio dei Cdc (Centers for disease control and prevention) statunitensi su oltre 80.000 ragazzi under 18.
S’avvicina il picco della nuova ondata
Calano, per la prima volta in tre settimane, i ricoveri in terapia intensiva e rallenta la crescita dei letti occupati in area medica. Sono i dati delle realtà ospedaliere del bollettino quotidiano sul Covid, pubblicato ieri dal ministero della Salute.
I nuovi accessi nei reparti ordinari sono stati di 242 persone, aumento inferiore rispetto al +727 del giorno prima, ma sono gli otto ricoveri in meno nelle terapie intensive a invertire una tendenza iniziata quasi un mese fa. Anche il numero dei contagi è in riduzione: 196.224 i nuovi casi (era 220.532 martedì) a fronte di 1.190.567 tamponi: il tasso di positività segna infatti 16,5%, come accade ormai da quasi una settimana. Proprio rispetto agli ultimi sette giorni, il fattore di crescita risulta intorno a 1,04: se si confermasse l’andamento, tecnicamente potremmo essere in una fase tra lo stabile e decrescente della curva. Attualmente, a fronte di 2,2 milioni di positivi, sono quindi 17.309 le persone ricoverate, 1.669 in rianimazione.
Il numero dei decessi (313) ieri ha segnato un nuovo record, tornando ai livelli di maggio, ma sul dato - che è in crescita anche in Gran Bretagna - pesano le mancate registrazioni dei giorni precedenti. Proprio su questo aspetto, l’epidemiologa Stefania Salmaso, in un’intervista alla Stampa osserva che «non sappiamo abbastanza dei decessi Covid», aggiungendo che tante morti potrebbero essere dovute a inefficienze del sistema sanitario. «Bisognerebbe avere ulteriori informazioni, conoscere le comorbodità (altre malattie già presenti, ndr), le tempistiche dei ricoveri, l’eligibilità per trattamenti terapeutici, insomma se ci sono margini di miglioramento del terribile carico di casi fatali giornaliero», secondo l’ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia dell’Iss. Spiega la Salmaso che interpretare i tanti morti come conseguenza del fatto che il Covid sia particolarmente perfido con anziani e fragili «non basta a spiegare la frequenza di decessi. Ci potrebbe essere qualche inefficienza del sistema sanitario, penso per esempio alla quantificazione della quota prevenibile con antivirali entro cinque giorni dall’infezione. Mentre i vaccini sono offerti a tutti, questi farmaci sono a rischio disuguaglianza e serve una campagna sul tema che coinvolga i medici di base».
Non meraviglia il dibattito sull’utilità dei numeri quotidiani della pandemia, visto che, come si ripete da più parti, quasi due terzi dei positivi non è sintomatico e, soprattutto, molti casi si scoprono al momento del ricovero per altre cause, ma finiscono nel calderone del totale. Mentre lo stesso Donato Greco, infettivologo del Cts, sostiene che il bollettino dovrebbe diventare settimanale, Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie), difende i numeri quotidiani perché sono permettono di «intercettare sul nascere i segnali di allerta». Nel coro di chi invita a non contare i positivi, ma a studiare i ricoveri c’è Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv). «Continuare a conteggiare ogni giorno le persone positive a Covid», come se nulla da inizio pandemia fosse cambiato, dice il clinico all’Adnkronos, «non è giusto e rischia di confondere, di terrorizzare e di condizionare la popolazione». Lo specialista suggerisce di focalizzare l’attenzione «sui ricoveri, indicando cioè solo quelli per Covid e non quelli con Covid» visto che, in uno studio su sei ospedali, «in quasi il 30% dei ricoverati con Omicron l’infezione da Sars-Cov-2 viene vista per caso, su pazienti ospedalizzati a causa di altre malattie».
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Per i conteggi ufficiali, a superare la malattia è stato un italiano su dieci. Ma tra asintomatici e «imboscati», la cifra potrebbe quasi raddoppiare. La politica non li monitora, né valuta se sia utile imporre loro altre dosi.Per la prima volta da circa un mese calano gli ingressi in terapia intensiva. Comincia a rallentare pure la crescita dei casi. Tuttavia i decessi tornano al livello di maggio 2021.Lo speciale contiene due articoliNon hanno fatto nulla di male, a parte ammalarsi in un Paese che complica tutto. Ma nella lotteria impazzita dei numeri ufficiali, per lungo tempo gonfiati per meglio spaventare il popolo, i «guariti» sono i veri paria della pandemia cinese. Ufficialmente, sono 5 milioni e mezzo, ma tra gli stessi televirologi, come l’ineffabile Massimo Galli, c’è il sospetto che siano tre o quattro milioni in più. Questi fantasmi che la perfetta macchina da guerra del Cts che ispira il ministro Roberto Speranza non sa bene come conteggiare (e se e quando vaccinare, e come e quando «liberare» con il green pass), in realtà sono anche abbandonati a sé stessi perché non si indaga a sufficienza su quale sia il loro stato di salute dopo che hanno sconfitto il Covid. Anche se non mancano le segnalazioni random dei vari specialisti, dagli psicologi ai diabetologi. Nelle ultime ore, dopo l’esplosione di quarantene vere e presunte, e il manifestarsi di un lockdown di fatto che rischia di minare la ripresa economica, il governo sta finalmente pensando di non enfatizzare più il dato dei contagiati. Un dato sciocco per definizione, perché riguarda dei non malati e si ritorce contro le stesse magnifiche e progressive sorti propagandate dal governo dei migliori e dal vaccinatore capo, il generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo. All’estremo opposto sta il dato meno studiato e strombazzato di tutti, ovvero quello sui cosiddetti guariti. Senza alcuna volontà di colpevolizzare nessun cittadino, visto che sono tutti padroni della propria salute fino a prova contraria, e tenendo presente che in Italia sono quasi vent’anni che siamo bombardati dalla famosa legge sulla privacy e dalle sue certificazioni, alzi la mano chi non conosce, o non sospetta, di qualcuno che ha fatto il Covid e se n’è stato bello zitto. A chi s’è semplicemente chiuso in casa fin quando gli è passata la febbre, va aggiunto anche chi non era sintomatico e, semplicemente, s’è preso il virus a sua insaputa. Su 60 milioni di italiani, i dati ufficiali dicono che finora ci sono stati 7.774.863 casi, con 139.559 morti, 2.134.139 positivi attualmente e 5.500.938 guariti. Insomma, poco più di un cittadino su dieci avrebbe contratto il virus. Almeno, per quel che ne sa il Sistema sanitario nazionale. Che però i casi (e i guariti) siano molti di più, come forse invece i morti sono di meno visto che almeno nella prima fase sono stati imputati al Covid anche infarti e incidenti stradali, è un sospetto che hanno in parecchi. La verità è scappata un paio di mesi fa al professor Massimo Galli, il primario del Sacco di Milano famoso per le battaglie pro vaccino e per essersi poi curato la variante Omicron a casa propria, con le invise cure monoclonali. L’infettivologo ha affermato su La 7 che «stiamo trasformando in no vax molte persone che in realtà non hanno bisogno di essere curate e vaccinate in questo momento». Per poi rivelare che «In Italia abbiamo secondo i dati 4,6 milioni di guariti dal Covid, ma probabilmente sono 7 milioni in tutto». Era il 4 novembre scorso e se attualizziamo il coefficiente usato da Galli, oggi dovremmo essere a non meno di 8,4 milioni di guariti «reali». Fino a poche settimane fa, gli esperti del governo sostenevano che i sopravvissuti al Covid avessero almeno un anno di tranquillità e che la loro carica di anticorpi fosse molto superiore a quella dei vaccinati. Poi si è sceso a sei mesi, infine li si è spinti a farsi due dosi di vaccino e ora anche il booster, bambini dai 12 anni in su compresi (dietro minaccia del ritorno in Dad). Per molti di loro, almeno per chi è venuto allo scoperto con la malattia, avere il green pass è stato ed è un rebus totale, complice il caos su chi dovesse certificarne (e comunicarne) l’avvenuta guarigione. Da una settimana, per il nuovo certificato verde potenziato serve il proprio medico di base. L’ultima beffa ai fantasmi del virus? Il super green pass è automatico solo per i guariti dal 6 gennaio in poi. E già, perché dopo migliaia di proteste e quesiti, il ministero della Salute ha spiegato che il tampone negativo riattiva il green pass che era stato bloccato al momento del rilevamento della positività, ovvero quello vecchio. Ma per avere il nuovo green pass dei guariti, che fa scattare i sei mesi di libertà, è appunto il medico di base che deve inserire il certificato sulla piattaforma. Con regole così, è chiaro che c’è chi si fa il Covid in religioso silenzio e poi fa finta di nulla. Poi c’è l’altra faccia del fantasma, se così si può definire, ovvero che cosa succede dopo che si è avuto il Covid. Con fatica, dall’estate scorsa, si parla di «long Covid», per indicare una serie di problemi che il virus lascia alle sue spalle, a cominciare da un senso di forte stanchezza, fragilità respiratoria, palpitazioni, dolori articolari, disturbi dell’olfatto e del gusto, depressione. Quanti di questi 5,5 milioni di italiani (o forse 8) hanno patologie causate dal Covid e qual è il confine esatto del concetto di guarigione? Cts e governo ne parlano poco per un motivo molto semplice: non ci sono soldi e medici per affrontare anche questi malanni. Che però possono essere anche molto gravi. Ed è proprio di ieri la notizia che i bambini colpiti dal Covid sono a maggior rischio di diabete, come ha scoperto uno studio dei Cdc (Centers for disease control and prevention) statunitensi su oltre 80.000 ragazzi under 18. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ce-un-esercito-di-guariti-fantasma-che-il-governo-insegue-con-la-siringa-2656397375.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="savvicina-il-picco-della-nuova-ondata" data-post-id="2656397375" data-published-at="1642029864" data-use-pagination="False"> S’avvicina il picco della nuova ondata Calano, per la prima volta in tre settimane, i ricoveri in terapia intensiva e rallenta la crescita dei letti occupati in area medica. Sono i dati delle realtà ospedaliere del bollettino quotidiano sul Covid, pubblicato ieri dal ministero della Salute. I nuovi accessi nei reparti ordinari sono stati di 242 persone, aumento inferiore rispetto al +727 del giorno prima, ma sono gli otto ricoveri in meno nelle terapie intensive a invertire una tendenza iniziata quasi un mese fa. Anche il numero dei contagi è in riduzione: 196.224 i nuovi casi (era 220.532 martedì) a fronte di 1.190.567 tamponi: il tasso di positività segna infatti 16,5%, come accade ormai da quasi una settimana. Proprio rispetto agli ultimi sette giorni, il fattore di crescita risulta intorno a 1,04: se si confermasse l’andamento, tecnicamente potremmo essere in una fase tra lo stabile e decrescente della curva. Attualmente, a fronte di 2,2 milioni di positivi, sono quindi 17.309 le persone ricoverate, 1.669 in rianimazione. Il numero dei decessi (313) ieri ha segnato un nuovo record, tornando ai livelli di maggio, ma sul dato - che è in crescita anche in Gran Bretagna - pesano le mancate registrazioni dei giorni precedenti. Proprio su questo aspetto, l’epidemiologa Stefania Salmaso, in un’intervista alla Stampa osserva che «non sappiamo abbastanza dei decessi Covid», aggiungendo che tante morti potrebbero essere dovute a inefficienze del sistema sanitario. «Bisognerebbe avere ulteriori informazioni, conoscere le comorbodità (altre malattie già presenti, ndr), le tempistiche dei ricoveri, l’eligibilità per trattamenti terapeutici, insomma se ci sono margini di miglioramento del terribile carico di casi fatali giornaliero», secondo l’ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia dell’Iss. Spiega la Salmaso che interpretare i tanti morti come conseguenza del fatto che il Covid sia particolarmente perfido con anziani e fragili «non basta a spiegare la frequenza di decessi. Ci potrebbe essere qualche inefficienza del sistema sanitario, penso per esempio alla quantificazione della quota prevenibile con antivirali entro cinque giorni dall’infezione. Mentre i vaccini sono offerti a tutti, questi farmaci sono a rischio disuguaglianza e serve una campagna sul tema che coinvolga i medici di base». Non meraviglia il dibattito sull’utilità dei numeri quotidiani della pandemia, visto che, come si ripete da più parti, quasi due terzi dei positivi non è sintomatico e, soprattutto, molti casi si scoprono al momento del ricovero per altre cause, ma finiscono nel calderone del totale. Mentre lo stesso Donato Greco, infettivologo del Cts, sostiene che il bollettino dovrebbe diventare settimanale, Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie), difende i numeri quotidiani perché sono permettono di «intercettare sul nascere i segnali di allerta». Nel coro di chi invita a non contare i positivi, ma a studiare i ricoveri c’è Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv). «Continuare a conteggiare ogni giorno le persone positive a Covid», come se nulla da inizio pandemia fosse cambiato, dice il clinico all’Adnkronos, «non è giusto e rischia di confondere, di terrorizzare e di condizionare la popolazione». Lo specialista suggerisce di focalizzare l’attenzione «sui ricoveri, indicando cioè solo quelli per Covid e non quelli con Covid» visto che, in uno studio su sei ospedali, «in quasi il 30% dei ricoverati con Omicron l’infezione da Sars-Cov-2 viene vista per caso, su pazienti ospedalizzati a causa di altre malattie».
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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