2024-03-22
Il caso Fini è la lapide della stampa asservita
La casa di Montecarlo svenduta da An al «cognato» dell’ex vicepremier, come la richiesta di condanna a 8 anni per quest’ultimo, sono fatti acclarati, non millanterie. Ma «Repubblica» abbaia, perché la sua parte in commedia era una sola: silurare Berlusconi. Premessa: Gianfranco Fini era il presidente di un partito che ha svenduto una parte del suo patrimonio al «cognato» dello stesso Fini. I soldi per l’acquisto di quella parte di patrimonio (lasciato in eredità da una contessa affinché il partito ne facesse uso per una «buona battaglia») furono versati al «cognato» del capo di An da un concessionario dello Stato assai discusso, che sperava di ottenere condizioni di favore dal governo di cui a quei tempi Fini era vicepremier. Infine, altro tassello da non dimenticare, nel 2010, da presidente della Camera, Fini brigò con l’appoggio del presidente della Repubblica, per far cadere il governo scelto dagli italiani e sostituire l’allora premier, ossia Silvio Berlusconi. I fatti sono ampiamente documentati o da accertamenti della magistratura o da testimonianze dirette. Che il partito di Fini abbia svenduto la casa di Montecarlo al «cognato» di Fini è provato dalle indagini della magistratura che hanno portato non soltanto a un processo, ma alla richiesta di una condanna a 8 anni di carcere per l’ex presidente della Camera. Che il «cognato» dell’ex presidente di An abbia preso i soldi da Francesco Corallo, imprenditore riparato ai Caraibi per sfuggire alle inchieste, è provato dalle inchieste e dalle accuse di riciclaggio che hanno coinvolto l’intera famiglia Fini, vale a dire, oltre a colui che guidò per anni il principale partito di destra, anche la compagna e il padre e il fratello di lei. Quanto al ruolo che Fini svolse nel periodo che precedette la caduta di Berlusconi non solo è risaputo, ma in tanti hanno riferito le trame messe in atto per sgambettare un presidente del Consiglio regolarmente eletto con l’aiuto di un comunista assurto a capo dello Stato.In questa brutta storia, di cui la magistratura sta tirando le somme e che resterà comunque negli annali delle vicende politiche del Paese, c’è poi un aspetto poco sondato. A scoperchiare i traffici e le trame di Fini fu la stampa, ma non tutta la stampa, solo due quotidiani: il Giornale diretto da Vittorio Feltri e Libero che a quei tempi guidavo. Fu il bravissimo Gianmarco Chiocci a raccogliere un’informazione giunta in redazione, a fare i primi accertamenti a Montecarlo e a scoprire che la casa lasciata ad An per finanziare il partito era finita al «cognato» di Gianfranco Fini per un prezzo irrisorio. E sempre Chiocci raccontò delle visite che l’ex presidente di Alleanza nazionale aveva fatto con la moglie per scegliere i mobili con cui arredare la casa nel Principato. Ma mentre il Giornale e Libero raccontavano uno scandalo nazionale che avrebbe dovuto costringere alle immediate dimissioni il presidente della Camera, il resto della stampa dov’era? Che cosa facevano i cani da guardia dell’agorà (la definizione non è mia, ma di un cronistello di Repubblica che si è montato la testa pur non avendola)? Beh, in odio a Berlusconi difendevano Fini. Cioè: invece di indagare su una faccenda che vedeva coinvolto un leader politico, un tizio che dalle Antille Olandesi trafficava con le slot machine e la politica, i giornali dell’establishment chiudevano gli occhi trasformando Fini in vittima. Vi chiedete perché? La risposta è semplice: pur di far fuori il Cavaliere erano disposti a tutto, anche a nascondere la verità. Anche a tacere su ciò che avevano davanti ai propri occhi.A distanza di anni, ora che la magistratura ha accertato i fatti e ha portato Fini e i Tulliani davanti ai giudici, quei giornalisti che si tapparono gli occhi e pure la bocca, invece di chiedere scusa, abbaiano come cani. Evocano bastonature e olio di ricino, parlano di pagine infami, riesumano la macchina della disinformazione e del fango al solo scopo di nascondere il loro fallimento e le loro menzogne. La realtà è che Repubblica, l’organo dei poteri forti, i camerieri di casa De Benedetti prima, di casa Agnelli poi, hanno nascosto le malefatte di Fini per asservire un disegno politico che puntava a eliminare il leader del centrodestra. I fatti hanno dimostrato che il loro non era e non è mai stato un giornalismo libero, ma un giornalismo asservito a un obiettivo: eliminare dalla scena politica un premier liberamente scelto dagli italiani, per sostituirlo prima con Fini e poi con Monti. Per questo hanno taciuto su un presidente della Camera il cui partito aveva svenduto un bene per una «buona battaglia» a qualcuno che desiderava solo la bella vita. Per questo ancora oggi, invece di vergognarsi e chiedere scusa, si nascondono dietro la cortina fumogena. C’è una sola verità che comunque non riusciranno mai a oscurare: su Fini avevano torto. Punto. Altro da aggiungere non c’è.Ps: perché il cronistello senza testa di cui sopra, anziché scrivere sciocchezze e parlare di giornalismo indipendente, non ci racconta la faida di casa Agnelli?
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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