2023-12-10
La carta Draghi arriva perché Ursula vacilla
Ursula von der Leyen e Mario Draghi (Ansa)
In casa Ppe la Von der Leyen resta il candidato principale per guidare la Commissione, ma la sua figura è in declino. Le alternative sono Kyriakos Mitsotakis e Roberta Metsola, che spingerebbero il partito a destra. Giorgia Meloni per ora aspetta. In caso di stallo più chance per Mr Bce.Mario Draghi sarà il prossimo presidente della Commissione Ue? È questa l’ipotesi che sta circolando da alcuni giorni e a cui Claudio Antonelli ha dedicato un’ampia analisi ieri su queste colonne. Ovviamente per ora si tratta di un’ipotesi, peraltro smentita come d’obbligo dal diretto interessato. La strada di Mr Bce verso la guida della Commissione potrebbe essere l’esito di un possibile stallo politico successivo alle elezioni europee di giugno. Ma andiamo con ordine.Secondo quanto risulta alla Verità, in casa Ppe l’ipotesi al momento più forte resta sempre quella di un secondo mandato di Ursula von der Leyen. Con ogni probabilità sarà dunque lei lo Spitzenkandidat dei popolari. Il punto è che, rispetto a pochi mesi fa, la sua candidatura sembra oggi meno solida. E iniziano a circolare papabili nomi alternativi: in particolare, si parla del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, e del presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola.È abbastanza chiaro che questi due profili tenderebbero a portare il Ppe più a destra rispetto alla Von der Leyen. L’attuale presidente della Commissione resterebbe infatti al suo posto grazie o a una riedizione tale e quale della «maggioranza Ursula» o a un eventuale allargamento di tale maggioranza all’Ecr. Mitsotakis e la Metsola potrebbero invece guardare a quell’ala di Ppe che mostra un orientamento più vicino ai conservatori e che è quindi meno incline ad accordi con il Pse. Un elemento, questo, che rende più difficile per la Metsola e Mitsotakis cercare di arrivare alla guida della Commissione attraverso lo schema della «maggioranza Ursula». Senza poi trascurare i tentativi di sgambetto: sarà un caso, ma sono stati appena pubblicati degli sms tra la Metsola e la sua ex vice Eva Kaili, nonostante non sembri trattarsi di materiale penalmente rilevante.A ciò va aggiunta un’ulteriore considerazione. Il gruppo Identità e democrazia probabilmente acquisirà seggi alle prossime elezioni europee. Potranno anche non piacere alcune sue posizioni, ma questa compagine trova comunque l’appoggio di vari mondi che chiedono un’Unione europea meno invasiva. Mondi, soprattutto economici e imprenditoriali, che temono l’ideologia e il radicalismo di certe svolte green alla Frans Timmermans (ogni riferimento alla controversa Legge Natura non è puramente casuale). Non è tra l’altro detto che, dopo il voto di giugno, Id manterrà dimensioni tali da continuare a rendere facilmente possibile lo scenario di una conventio ad excludendum ai suoi danni. Ebbene, che cosa accadrebbe se questo gruppo a giugno conseguisse delle dimensioni importanti? Va da sé che, prima delle elezioni, nessuno ammetterà di voler intavolare delle trattative per un’alleanza con Id. È però lecito chiedersi che cosa potrebbe accadere dopo il voto. Qualunque popolare che voglia cercare di «spodestare» la Von der Leyen e portare il Ppe più a destra non potrà infatti non prendere in considerazione l’apertura sia all’Ecr sia a Id. Ad oggi, l’unica maggioranza possibile in grado di estromettere il Pse è quella che vede teoricamente insieme popolari, Ecr, Id e liberali macroniani. Fantapolitica? Forse sì, per il momento. Si tratta tuttavia di uno scenario che, dopo giugno, potrebbe farsi assai più concreto. A questo punto, non è detto che una Metsola o un Mitsotakis chiuderebbero necessariamente la porta in faccia a Identità e democrazia.Ma il Ppe non è l’unico che deve lavorare di strategia: Giorgia Meloni, che è presidente dell’Ecr, sta facendo altrettanto. Anche il suo gruppo guadagnerà seggi a giugno. Tuttavia la posizione del premier è particolarmente delicata. Il primo scenario è che accetti di farsi cooptare nella «maggioranza Ursula» o direttamente o, più probabilmente, tramite appoggio esterno. Questa eventualità non le garantisce incisività e la metterebbe nella scomoda posizione di dover governare con il Pse. Il secondo scenario è che cerchi di convincere l’ala destra del Ppe a mollare la Von der Leyen e a costruire un’alleanza alternativa. A questo punto, la Meloni dovrebbe però saper dosare cooperazione e competizione con Id. Per ora, i sondaggi di «Europe Elects» dicono che sia Ecr sia Id cresceranno ma che il primo dovrebbe alla fine detenere una trentina di seggi in più del secondo. La Meloni avrebbe quindi forza maggiore nell’Europarlamento, ma a livello di governi potrebbe incontrare dei problemi: Vox in Spagna ha performato sotto le aspettative, mentre Diritto e Giustizia in Polonia è stato alla fine scavalcato dalla coalizione di Donald Tusk. Dall’altra parte, è chiaro che Matteo Salvini spera che in Olanda diventi premier Geert Wilders, il cui Pvv fa parte di Id. La Meloni, dal canto suo, gode di relazioni internazionali solide soprattutto con gli Usa. Tuttavia va tenuto conto del fatto che il 5 novembre si terranno le presidenziali statunitensi e che quindi il mondo americano resterà per così dire «congelato» proprio nelle settimane e nei mesi cruciali per la formazione della nuova Commissione europea. Tutto questo per dire che difficilmente Fdi e Lega conteranno di più in Ue se sceglieranno di pestarsi i piedi a vicenda. Se l’ipotesi di una fusione dei gruppi resta al momento quasi impensabile, la strada di una cooperazione leale è possibile. Lo scenario è altrimenti quello, come detto, di uno stallo post elettorale. Quello stallo che potrebbe portare Draghi alla guida della Commissione: si tratta di un’eventualità che al momento risulta caldeggiata soprattutto dalla Francia. E qui sorgerebbe un dilemma per la Meloni. Se si intestasse Draghi, rischierebbe di alimentare polemiche antiestablishment. Qualora non lo facesse, rischierebbe di spingere l’eventuale capo del nuovo esecutivo europeo tra le braccia di Parigi. L’incognita riguarda anche Mr Bce. Quale maggioranza sosterrebbe la sua eventuale Commissione? Per ora solo una cosa sembra certa: la forza di Draghi cresce man mano che la Von der Leyen si indebolisce.
Jose Mourinho (Getty Images)