2024-07-22
Caro Renzi, sulle palle lei è imbattibile
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
Caro Matteo Renzi, le scrivo questa cartolina perché ho molto apprezzato il modo in cui è nata la sua nuova svolta politica: da una palla. Lei, del resto, si sa: è un professionista del settore. Quando c’è di mezzo una palla, non c’è nessuno che la batte. L’altro giorno è riuscito in un’impresa straordinaria: ha lanciato la palla, ma anziché lanciarla agli italiani, come ormai è solito fare da anni, l’ha lanciata a Elly Schlein, che non conoscendola bene l’ha presa per buona.Eravate in campo, giocavate insieme nella Nazionale politici. Lei centrocampista, la segretaria Pd attaccante. Lancio suo, scatto di Elly. Gol. Inutile dire che le sue palle non sono mai buone, neppure per un’amichevole. Infatti il gol è stato annullato per fuorigioco.Lei però ci ha tenuto a fare sapere al mondo che su quella palla, con conseguente abbraccio fra lei e Elly a fine partita, è nato un nuovo asse politico. L’asse della palla, per l’appunto. Lo ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera, dicendo che ora lei vuole «costruire un’alternativa» e una «coalizione organica» con tutti coloro, dai Pd ai 5 stelle, che fino a ieri le facevano schifo. «Renzi si alleerebbe anche con i nazisti dell’Illinois», ha detto Carlo Calenda, che come sempre la sottovaluta: lei si alleerebbe infatti anche con i coccodrilli del Nilo e i tagliatori di testa del Borneo, se lo ritenesse necessario. Persino Conte si è stupito: «Ma come? Finora si era vantato di aver mandato a casa il mio governo e ora divento un suo “interlocutore privilegiato”?», ha detto. Ed è riuscito a darle, persino lui, lezioni di serietà.Ora resta da capire come possa la Schlein accettare le sue palle, dentro il campo e soprattutto fuori. Fino a ieri, infatti, lei l’aveva definita «buffona», «debole», «schiacciata su Conte», leader di un «partito di fuori di testa», un partito che «di sinistra non ha nulla, non sono nemmeno mancini», un «partito delle poltrone». Ha criticato tutte le scelte fatte dal Pd, dal Jobs act al rischio fascismo, dalla decisione della segretaria di candidarsi alle Europee al giustizialismo. E adesso, invece, di colpo il Pd diventa il perno per costruire insieme a lei una «coalizione organica»? Ma sì, una palla e via. Con lei sembra sempre tutto semplice.L’altro giorno, caro Renzi, l’ho vista vestita di tutto punto col costume indiano, un damerino di Bombay, per il matrimonio del figlio di uno dei dieci uomini più ricchi del mondo, Mukesh Ambani, uno che ha un patrimonio di 20 miliardi di dollari e che per maritare il suo piccino ha speso 600 milioni per una festa durata quattro mesi. Mi sembra un buon punto di partenza per un’alleanza davvero di sinistra, vicino al popolo, che sappia raccogliere anche le istanze popolari e grilline. Non le pare? Ma a lei non importa: le basta tirar due calci e via, si cambia. Come quando ha detto: «Se perdo il referendum smetto di far politica» (12 gennaio 2016), «Se perdo il referendum, vado via e non mi vedete più» (20 marzo 2016) e «Se io perdo, con che faccia rimango?» (8 maggio 2016). Ovviamente è rimasto lì, abbarbicato al centrocampo del potere, sempre impegnato a distribuire palle a destra e a manca. Senza accorgersi che è tutto inutile: lei, infatti, per gli italiani è in fuorigioco da un pezzo.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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