Oltreoceano, la riserva di credito di cui gode il capo della resistenza si sta esaurendo. Donald Trump, in un’intervista a Politico, nella quale ha attaccato i «deboli» leader dell’Ue, ha liquidato anche Zelensky, invocando il ritorno alle urne nel Paese invaso: «Sì, penso che sia il momento», ha detto. I dirigenti ucraini, ha aggiunto il tycoon, «stanno usando la guerra come pretesto per non tenere elezioni, ma penso che il popolo dovrebbe avere questa scelta. E forse Zelensky vincerebbe. Non so chi vincerebbe. Ma non hanno elezioni da molto tempo. Parlano di democrazia, ma si arriva a un punto in cui non è più una democrazia». Il presidente ucraino, a Repubblica, ha assicurato di essere «sempre pronto» al voto. L’uomo della Casa Bianca ha ricordato che i soldati di Kiev «hanno perso territorio molto prima che io arrivassi. Hanno perso un’intera fascia costiera, una grande fascia costiera. Io sono qui da dieci mesi, ma se torniamo indietro di dieci mesi e diamo un’occhiata, hanno perso tutta quella fascia. Ora è una fascia più grande, una fascia più ampia. Ma hanno perso molto territorio e anche territorio buono. Di certo non si può dire che sia una vittoria». Per Trump, il suo omologo deve accettare la situazione.
Può darsi che il tycoon non conosca la geografia (ha dichiarato che la Crimea è circondata dall’oceano). Ma sulla storia ha ragione da vendere. Le cose, com’è già accaduto nel recente passato, potrebbero peggiorare: se si fosse cercata una soluzione negoziale a marzo 2022, le perdite per l’Ucraina sarebbero state minori; idem, se si fosse tentato di tirare una linea dopo il fiasco della controffensiva del 2023; adesso, mentre sta conquistando avamposti strategici nel Donbass, è logico che Mosca indugi e cerchi di massimizzare i propri guadagni in sede politica. Il tempo è una variabile che gioca a sfavore della resistenza. «I colloqui ora coinvolgono gli Stati Uniti e Kiev», hanno tagliato corto dal Cremlino. «Siamo in attesa dell’esito di queste discussioni».
Il presidente americano, nella conversazione pubblicata ieri da Politico, ha ridimensionato pure le ambizioni ucraine di aderire alla Nato. L’idea degli europei era che l’ingresso di Kiev nell’Alleanza non andasse proibito per Costituzione, bensì dovesse essere rinviato a quando ci sarebbe stato il consenso unanime nell’organizzazione. Mai, probabilmente. Trump ha ribadito che esisteva una tacita intesa, per cui l’Ucraina sarebbe rimasta neutrale, già prima che Vladimir Putin ne facesse una questione esistenziale: «È sempre stato così», ha spiegato The Donald, «ora hanno iniziato a insistere». Lo scenario peggiore sarebbe quello in cui al contentino si dovesse sovrapporre il disimpegno Usa: ci ritroveremmo sul groppone i nemici dello zar, con una Nato privata del sostegno incondizionato degli statunitensi. Intanto, paghiamo Washington per dare a Kiev e «l’Europa viene distrutta»: Trump ci ha sbattuto in faccia il nostro masochismo e si è concesso uno sberleffo, parlando della Nato che lo chiama «papino».
Le élite di Bruxelles appaiono in trappola: scommettono sulla prosecuzione delle ostilità, perché sono ai margini della ridefinizione postbellica dell’architettura di sicurezza del continente. In più, l’Ue ha investito troppi soldi e troppa retorica nella causa. Pertanto, deve aggrapparsi alla minaccia dell’invasione di Putin, che il commissario alla Difesa, Andrius Kubilius, considera addirittura «inevitabile» se l’Ucraina si arrende. Spauracchio agitato per imporre la trovata suicida del prestito di riparazione, finanziato dagli asset russi ma in realtà coperto dai miliardi degli Stati membri. Da questo punto di vista, l’opposizione al piano Trump è stata un autogol: in quel documento era indicata l’unica modalità per l’utilizzo delle risorse congelate, da investire nella ricostruzione delle regioni distrutte dalle bombe, sulla quale Mosca poteva concordare. L’Ue ha rispedito il pacchetto al mittente e adesso, con in mano un conto mostruoso da saldare, i suoi portavoce si vantano perché decidere il destino di quei fondi «richiede effettivamente discussione con l’Ue». L’Italia dovrebbe impegnare 25 miliardi, la Francia 34, la Germania 51, solo per dimostrare che l’Europa esiste. Il presidente del Consiglio Ue, Antonio Costa, ha annunciato che il vertice del 18 dicembre durerà anche tre giorni, se necessari a sbloccare il dossier. «Non faremo in Ucraina quello che altri hanno fatto in Afghanistan», ha tuonato il portoghese. Il ritiro delle truppe Usa fu opera di Joe Biden. Noi, furbi, il nuovo Afghanistan lo vogliamo rendere eterno...
Dietro la solidarietà europea, comunque, si nasconde l’opportunismo. Kaja Kallas, ieri, ha gettato il velo: «Il costo del sostegno all’Ucraina», ha osservato, «impallidisce rispetto a quello che dovremmo spendere per una guerra su vasca scala nell’Unione europea». Tradotto: è meglio spedire in trincea gli alleati, affinché tengano impegnati i russi. Non è lo stesso cinismo, la stessa logica dello Stato cuscinetto di cui ragiona lo zar?
A smascherare le fumisterie dei leader Ue ci ha pensato sempre Trump: «Parlano ma non producono», ha commentato. «E la guerra continua ad andare avanti e avanti». Per suggellare l’umiliazione, la testata che lo ha intervistato ci ha messo del suo: secondo Politico, per trovare l’uomo più potente d’Europa bisogna entrare nello Studio ovale.