2022-11-08
La «capitana» Carola è tornata: è un sessantenne (e non ha i rasta)
La querelle sugli sbarchi lancia il nuovo mito della sinistra senza frontiere: Joachim Ebeling, comandante della Humanity 1. Pure lui tedesco, già al timone della Alan Kurdi. E con la stessa fame di notorietà di Rackete.Della collega Carola, certo, non ha la presenza scenica. A partire dall’inconfondibile chioma rasta da corsara, diventata un simbolo per le aspiranti speronatrici del pianeta. E nemmeno la fresca e sprezzante gioventù, in effetti. Eppure Joachim Ebeling, comandante della Humanity 1, è già una leggenda del controverso capitolo: lotte tra Ong e tutori italiani dell’ordine. Escluse fattezze e anagrafe, restano comunque considerevoli le similitudini con l’ex capitana Rackete, mitica eroina della Sea Watch. I ribaldi natali, intanto. Anche lui, 59 anni ben portati, è tedesco di Germania. Di Brema, per l’esattezza. E pure lui, nell’ordine: conduce una nave da cui non può far scendere i migranti rimasti a bordo, ha ingaggiato un vigoroso braccio di ferro con le nostre autorità, annuncia epiche battaglie legali. Ma soprattutto, pure il maturo collega si offre con generosità a telecamere e taccuini. Per spiegare le proprie inscalfibili ragioni, nonché azzannare chi osa vietare il suolo siciliano.È il Komandante Carolo, insomma. L’ultimo titano riemerso dal mare per sfidare a duello, ancora una volta, il governo italiano. Quando è arrivato l’ordine di allontanarsi con i 35 sopravvissuti «non fragili», a differenza dei 144 sbarcati tra donne e minorenni, ha avuto una sola parola. Anzi quattro. No, no, ancora no. Il coraggioso progenitore della stirpe dei contestatori teutonici segue unicamente le imposizioni di flutti e correnti: «Obbedisco solo alla legge del mare» informa in una tempestosa intervista a Repubblica. Joachim, dunque, si presenta: «Sono un capitano esperto, con anni di mare alle spalle». Una ventina, per l’esattezza. Non si è certo pentito di aver accettato l’incarico sulla Humanity 1. Ci mancherebbe. Ma questa, per lui, è una situazione inedita. Nonostante il curriculum notevole: è già stato al comando della Alan Kurdi, altra nave Ong sequestrata in passato. Mai però avrebbe immaginato: «Sono a disagio». Anche perché, codice sottocoperta, assicura di aver seguito soltanto la legge. Meno quella italiana, s’intende. «Siamo costretti ad assistere inermi alla violazione dei diritti fondamentali delle persone. Un’operazione di salvataggio si conclude quando tutti i naufraghi sono in un luogo sicuro». Se invece dovesse sloggiare dal porto di Catania, garantisce, «violerebbe una serie infinita di leggi e convenzioni internazionali».Carolo condivide con Carola pure l’incrollabile autostima. Lei spiegava: «Io mi sentivo dalla parte giusta della storia. Il muro invisibile eretto in mare contraddiceva le leggi internazionali marittime. Per sbarazzarsene, qualcuno doveva avere la forza di abbatterlo». Lui ragguaglia: «Sono sicuro che stiamo facendo la cosa giusta». Dunque, cannoneggia: «Lo sbarco dei naufraghi nel luogo sicuro più vicino è un obbligo. E il nuovo governo italiano non può cambiare il diritto internazionale del mare a proprio piacimento». E le norme nazionali? Il principio di sovranità? La difesa dei confini? Quisquilie. Così come l’incidentale coincidenza: dopo aver prestato soccorso, l’Italia ora chiede di farsi carico delle persone rimaste a bordo al paese battente bandiera. La Germania, appunto. Avrebbe il dovere di accogliere i disperati. Ma il Komandante di Berna non sente ragioni. A Catania è. E a Catania resta. «È stata fatta una selezione disumana e illegittima dei sopravvissuti, che si basa su un decreto illegale». A questo punto, visti i toni assonanti, l’evocativa domanda s’impone: ma il Komandante e l’ex capitana hanno mai bazzicato insieme? «Non la conosco personalmente, solo tramite i media» rivela il condottiero della Humanity 1.Ma è come se i due se la intendessero da sempre. Anche lui cammina sicuro sull’esile filo della notorietà mediatica. E se si confida con il quotidiano progressista romano, non si sottrae neppure al più compassato Corriere della Sera. L’ennesima intervista da leggenda: «Ci sono due tipi di marinai: quelli che hanno paura del mare, e quelli che hanno il terrore del porto». Indovinate a quale categoria appartiene il temerario Komandante? «Alla seconda» riferisce. «Ma questa volta farò un’eccezione. Da questo molo non mi muoverò». Sembra di sentire la mitologica collega. Anche il Corrierone, quindi, non può esimersi dal paragone con Carola. Il vecchio lupo di mare riesce a sorriderne, nonostante le avversità: «Non scherziamo. Non ho il taglio di capelli adatto io...».Joachim difatti è stempiatino. Ma è pure meno arcigno. A tratti, sembra gigionesco. E non può contare su un nemico giurato altrettanto spavaldo e di richiamo: l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, finito persino a processo. Stavolta, a prima vista, manca quel duello titanico che ha fatto entrare la speronatrice tedesca nella leggenda. Gloria imperitura. Ma per la valorosa della Sea Watch il mare ormai è lontano: «Non è necessario stare su una nave per combattere le ingiustizie» giurava lo scorso febbraio. Adesso duella per l’ambiente. Nell’ultimo avvistamento, la polizia l’ha fermata vestita da pinguino, arrampicata su un albero. Protestava per salvare una foresta secolare. In mare, però, c’è ancora chi segue la sua scia. L’avvincente saga del Komandante Carolo è appena cominciata.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco