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2022-11-10
Cambia il Superbonus, sale la flat tax. 50 miliardi per rivalutare le pensioni
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Il Superbonus edilizio «sarà rivisto in modo selettivo» perché questo governo «non ritiene equo destinare una massa di risorse così ingente a una limitatissima fetta di cittadini italiani, in modo indistinto per reddito e per prima e seconda casa, queste risorse potevano essere destinate in un altro modo». È inoltre allo studio l’estensione della soglia di ricavi e compensi che consente alle partite Iva di aderire al regime forfetario e un regime sostitutivo opzionale, la cosiddetta flat tax incrementale.
Dall’audizione del neo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, davanti alle commissioni speciali congiunte sulla Nadef cominciano a emergere i dettagli e il perimetro della manovra. Il documento di programmazione economica e finanziaria sarà presentato nell’arco massimo di tre settimane. Ieri, però, Giorgetti ha annunciato che verrà rivisto il Superbonus 110%. Sul tavolo del anche l’ampliamento della flat tax incrementale. Ovvero, spiega il ministro, la possibile «estensione della soglia di ricavi e compensi che consente ai soggetti titolari di partita Iva di aderire al regime forfetario e un regime sostitutivo opzionale per i contribuenti titolari di redditi da lavoro o di impresa non aderenti al regime forfetario che potranno assoggettare ad aliquota del 15% una quota dell’incremento di reddito registrato nel 2022 rispetto al maggiore tra i medesimi redditi dichiarati e assoggettati all’Irpef nei tre anni d’imposta precedenti». Per il futuro il governo pensa anche ad un intervento sugli extraprofitti «Sicuramente ci sarà una proposta da parte del governo sugli extraprofitti», spiega Giorgetti, «stiamo cercando di mettere a terra un sistema che funzioni». Al vaglio anche la possibilità di introdurre una misura simile a quella tedesca che consenta alle imprese di riconoscere ai dipendenti una indennità fino a 3.000 euro con esenzione totale delle tasse.
Oggi, intanto, il Consiglio dei ministri darà il via libera al quarto decreto Aiuti da 9,1 miliardi, che confermerà fino a fine anno il credito di imposta per le imprese e la riduzione delle accise sui carburanti. «Il governo sta verificando la possibilità di impiegare le risorse disponibili della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento europei per misure di riduzioni dei costi energetici di imprese e famiglie», ha anticipato ieri Giorgetti. La sfida vera è sulla manovra 2023: i circa 21 miliardi a disposizione verranno impiegati per fronteggiare l’emergenza energia, rinnovando le attuali misure anche nei primi mesi dell’anno prossimo. Per altro resta davvero poco. Il quadro è chiaro: «Le stime prefigurano una variazione negativa del Pil per l’ultima parte dell’anno» e per il 2023 «si prevede una variazione dello 0,3%, più contenuta rispetto a quanto ipotizzato a fine settembre», dice Giorgetti. All’incertezza delle prospettive economiche - con chiari rischi al ribasso, come conferma l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) - si sommano altre due voci di spesa: quella delle pensioni, che di qui al 2025 peseranno per oltre 50 miliardi anche per effetto del meccanismo di indicizzazione all’inflazione, e appunto il Superbonus, che al 2026 costerà 37,8 miliardi di euro in più del previsto, un dato che a fine anno potrebbe salire ancora. In particolare, per gli anni 2023-2026, spiega il ministro: «I maggiori oneri determinano un maggior onere, con il conseguente peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno, che potrebbe pregiudicare l’adozione di altre tipologie di intervento. Peraltro, la stima degli oneri per il Superbonus 110% potrebbe subire un ulteriore incremento a fine anno considerando anche i dati al 30 settembre pubblicati da Enea».
In sostanza, «bisognerà trovare delle forme di compensazione nello stesso settore, bisognerà diminuire alcune forme di aiuto per aumentarne altre in ambito fiscale e lo stesso vale per gli interventi in materia previdenziale». Le nuove stime di inflazione, ha sottolineato il titolare del Mef, determinano «una diversa ipotesi di indicizzazione, che comporta maggiori oneri per 7,1 miliardi nel 2024 e 5,6 miliardi nel 2025. Se consideriamo il periodo 2022-2025, la spesa per pensioni assorbirà risorse per oltre 50 miliardi». A questo proposito, ieri Giorgetti ha anche firmato il decreto che dispone, a partire dal 1° gennaio, un adeguamento pari a +7,3% delle pensioni.
Il taglio cuneo fiscale, oggetto anche dell’incontro con i sindacati, verrà «in qualche modo» riproposto, mentre l’opzione di andare in pensione con 41 anni di contributi «non è esclusa» ma la logica da seguire per finanziare la misura sarà comunque quella di trovare le coperture compensando con riduzioni in qualche altra voce della previdenza e dell’assistenza. «Qualche economia può derivare dal reddito di cittadinanza e dalla sua manutenzione, qualche voce potrà essere finanziata in altro modo», ha spiegato ieri il ministro dell’Economia.
«Impossibile realizzare il Recovery nei tempi previsti senza modifiche»
«Spenderemo al meglio i 68,9 miliardi a fondo perduto e i 122,6 miliardi concessi a prestito all’Italia dal Next generation Eu. Senza ritardi e senza sprechi, e concordando con la Commissione europea gli aggiustamenti necessari per ottimizzare la spesa, alla luce soprattutto del rincaro dei prezzi delle materie prime e della crisi energetica. Perché queste materie si affrontano con un approccio pragmatico, non ideologico». Così aveva parlato Giorgia Meloni davanti alle Camere nel suo discorso di insediamento lo scorso 25 ottobre. Ieri il neo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha tenuto il punto intervenendo in un’altra sede istituzionale, quella delle commissioni speciali riunite di Camera e Senato: sul Pnrr «ribadisco la nostra ferma determinazione a portarlo a terra nel modo migliore possibile nei tempi più brevi possibili», ma «a quadro normativo attuale il piano così come approvato non si riesce a fare nei tempi previsti. Urge una modifica del quadro normativo e auspico che la discussione in sede europea», in particolare su Repower Eu, «arrivi più presto possibile a una positiva conclusione. Questo ci permetterebbe di rendere realistico e implementabile il piano».
La Meloni e il suo esecutivo non hanno intenzione di riscrivere o di stravolgere il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma nella messa a terra del Pnrr e della manovra finanziaria non si potrà non tener conto dei nuovi dati che implacabilmente continuano a rappresentare una situazione economica completamente stravolta rispetto a quella in cui ci trovavamo quando è stato chiuso l’accordo. Le materie prime hanno subito un rincaro anche del 35% e l’indice dei prezzi al consumo aumenta del 3,5% su base mensile e dell’11,9% su base annua; +58,8% per abitazioni, acqua, elettricità e carburanti.
Sulla possibilità che il Repower possa aprire la discussione a una revisione del Pnrr, da Bruxelles gli ha fatto eco il collega Raffaele Fitto. In un punto stampa a margine dell’incontro avuto ieri con gli eurodeputati italiani, il ministro per gli Affari Ue, la coesione e il Pnrr ha sottolineato come il Repower Eu per l’Italia abbia «anche dei limiti» e che allo stesso tempo «il Pnrr è stato programmato prima dello scoppio della guerra». La seconda questione, ha poi aggiunto «è legata alla disponibilità finanziaria che altri Paesi hanno di poter accedere alla quota residua dei prestiti». Per Fitto «il tema degli investimenti è quello centrale. Quindi serve una maggiore flessibilità su quel fronte, una richiesta che l’Italia ha sempre fatto e che va riproposta. Ci confronteremo spero positivamente con il commissario Paolo Gentiloni e con la Commissione» guidata da Ursula von der Leyen «per individuare un percorso nell’interesse del nostro Paese», ha chiosato. L’agenda resta serrata. L’Italia deve raggiungere 55 obiettivi al 31 dicembre di quest’anno. «Al momento ne abbiamo raggiunti, centrati con certezza 25, sui gli altri 30 ci sono delle situazioni differenti», ha spiegato Fitto. Ricordando anche la scadenza del giugno del prossimo anno «perché un malvezzo che dobbiamo modificare è quello di aspettare il mese prima per fare il conto di ciò che manca», ha aggiunto, «Noi dobbiamo raggiungere gli obiettivi del 31 dicembre di quest’anno ma da subito porci gli obiettivi a giugno del 2023 per evitare quest’affanno che non aiuta e non risolve le questioni», ha evidenziato il ministro.
Intanto, nel documento presentato ieri in audizione dal presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, presso le commissioni speciali di Senato e Camera, si legge che «la realizzazione, in particolare, della crescita attesa per gli investimenti nel 2023 (34,7%) necessiterà di uno sforzo straordinario da parte di tutti i soggetti attuatori».
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Giancarlo Giorgetti: «Aliquota al 15% per il reddito aggiuntivo rispetto alla media dei 3 anni precedenti anche per i dipendenti. Risparmi dalla revisione del sussidio grillino e degli incentivi edilizi». Firmato l’adeguamento delle pensioni: +7,3% da gennaio. Oggi l’Aiuti 4.Il titolare del Tesoro sul Recovery: «Urgenti nuove norme. L’Ue deve decidere il prima possibile».Lo speciale contiene due articoli.Il Superbonus edilizio «sarà rivisto in modo selettivo» perché questo governo «non ritiene equo destinare una massa di risorse così ingente a una limitatissima fetta di cittadini italiani, in modo indistinto per reddito e per prima e seconda casa, queste risorse potevano essere destinate in un altro modo». È inoltre allo studio l’estensione della soglia di ricavi e compensi che consente alle partite Iva di aderire al regime forfetario e un regime sostitutivo opzionale, la cosiddetta flat tax incrementale. Dall’audizione del neo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, davanti alle commissioni speciali congiunte sulla Nadef cominciano a emergere i dettagli e il perimetro della manovra. Il documento di programmazione economica e finanziaria sarà presentato nell’arco massimo di tre settimane. Ieri, però, Giorgetti ha annunciato che verrà rivisto il Superbonus 110%. Sul tavolo del anche l’ampliamento della flat tax incrementale. Ovvero, spiega il ministro, la possibile «estensione della soglia di ricavi e compensi che consente ai soggetti titolari di partita Iva di aderire al regime forfetario e un regime sostitutivo opzionale per i contribuenti titolari di redditi da lavoro o di impresa non aderenti al regime forfetario che potranno assoggettare ad aliquota del 15% una quota dell’incremento di reddito registrato nel 2022 rispetto al maggiore tra i medesimi redditi dichiarati e assoggettati all’Irpef nei tre anni d’imposta precedenti». Per il futuro il governo pensa anche ad un intervento sugli extraprofitti «Sicuramente ci sarà una proposta da parte del governo sugli extraprofitti», spiega Giorgetti, «stiamo cercando di mettere a terra un sistema che funzioni». Al vaglio anche la possibilità di introdurre una misura simile a quella tedesca che consenta alle imprese di riconoscere ai dipendenti una indennità fino a 3.000 euro con esenzione totale delle tasse. Oggi, intanto, il Consiglio dei ministri darà il via libera al quarto decreto Aiuti da 9,1 miliardi, che confermerà fino a fine anno il credito di imposta per le imprese e la riduzione delle accise sui carburanti. «Il governo sta verificando la possibilità di impiegare le risorse disponibili della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento europei per misure di riduzioni dei costi energetici di imprese e famiglie», ha anticipato ieri Giorgetti. La sfida vera è sulla manovra 2023: i circa 21 miliardi a disposizione verranno impiegati per fronteggiare l’emergenza energia, rinnovando le attuali misure anche nei primi mesi dell’anno prossimo. Per altro resta davvero poco. Il quadro è chiaro: «Le stime prefigurano una variazione negativa del Pil per l’ultima parte dell’anno» e per il 2023 «si prevede una variazione dello 0,3%, più contenuta rispetto a quanto ipotizzato a fine settembre», dice Giorgetti. All’incertezza delle prospettive economiche - con chiari rischi al ribasso, come conferma l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) - si sommano altre due voci di spesa: quella delle pensioni, che di qui al 2025 peseranno per oltre 50 miliardi anche per effetto del meccanismo di indicizzazione all’inflazione, e appunto il Superbonus, che al 2026 costerà 37,8 miliardi di euro in più del previsto, un dato che a fine anno potrebbe salire ancora. In particolare, per gli anni 2023-2026, spiega il ministro: «I maggiori oneri determinano un maggior onere, con il conseguente peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno, che potrebbe pregiudicare l’adozione di altre tipologie di intervento. Peraltro, la stima degli oneri per il Superbonus 110% potrebbe subire un ulteriore incremento a fine anno considerando anche i dati al 30 settembre pubblicati da Enea». In sostanza, «bisognerà trovare delle forme di compensazione nello stesso settore, bisognerà diminuire alcune forme di aiuto per aumentarne altre in ambito fiscale e lo stesso vale per gli interventi in materia previdenziale». Le nuove stime di inflazione, ha sottolineato il titolare del Mef, determinano «una diversa ipotesi di indicizzazione, che comporta maggiori oneri per 7,1 miliardi nel 2024 e 5,6 miliardi nel 2025. Se consideriamo il periodo 2022-2025, la spesa per pensioni assorbirà risorse per oltre 50 miliardi». A questo proposito, ieri Giorgetti ha anche firmato il decreto che dispone, a partire dal 1° gennaio, un adeguamento pari a +7,3% delle pensioni.Il taglio cuneo fiscale, oggetto anche dell’incontro con i sindacati, verrà «in qualche modo» riproposto, mentre l’opzione di andare in pensione con 41 anni di contributi «non è esclusa» ma la logica da seguire per finanziare la misura sarà comunque quella di trovare le coperture compensando con riduzioni in qualche altra voce della previdenza e dell’assistenza. «Qualche economia può derivare dal reddito di cittadinanza e dalla sua manutenzione, qualche voce potrà essere finanziata in altro modo», ha spiegato ieri il ministro dell’Economia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cambia-superbonus-flat-tax-pensioni-2658626023.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="impossibile-realizzare-il-recovery-nei-tempi-previsti-senza-modifiche" data-post-id="2658626023" data-published-at="1668058645" data-use-pagination="False"> «Impossibile realizzare il Recovery nei tempi previsti senza modifiche» «Spenderemo al meglio i 68,9 miliardi a fondo perduto e i 122,6 miliardi concessi a prestito all’Italia dal Next generation Eu. 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Questo ci permetterebbe di rendere realistico e implementabile il piano». La Meloni e il suo esecutivo non hanno intenzione di riscrivere o di stravolgere il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma nella messa a terra del Pnrr e della manovra finanziaria non si potrà non tener conto dei nuovi dati che implacabilmente continuano a rappresentare una situazione economica completamente stravolta rispetto a quella in cui ci trovavamo quando è stato chiuso l’accordo. Le materie prime hanno subito un rincaro anche del 35% e l’indice dei prezzi al consumo aumenta del 3,5% su base mensile e dell’11,9% su base annua; +58,8% per abitazioni, acqua, elettricità e carburanti. Sulla possibilità che il Repower possa aprire la discussione a una revisione del Pnrr, da Bruxelles gli ha fatto eco il collega Raffaele Fitto. In un punto stampa a margine dell’incontro avuto ieri con gli eurodeputati italiani, il ministro per gli Affari Ue, la coesione e il Pnrr ha sottolineato come il Repower Eu per l’Italia abbia «anche dei limiti» e che allo stesso tempo «il Pnrr è stato programmato prima dello scoppio della guerra». La seconda questione, ha poi aggiunto «è legata alla disponibilità finanziaria che altri Paesi hanno di poter accedere alla quota residua dei prestiti». Per Fitto «il tema degli investimenti è quello centrale. Quindi serve una maggiore flessibilità su quel fronte, una richiesta che l’Italia ha sempre fatto e che va riproposta. Ci confronteremo spero positivamente con il commissario Paolo Gentiloni e con la Commissione» guidata da Ursula von der Leyen «per individuare un percorso nell’interesse del nostro Paese», ha chiosato. L’agenda resta serrata. L’Italia deve raggiungere 55 obiettivi al 31 dicembre di quest’anno. «Al momento ne abbiamo raggiunti, centrati con certezza 25, sui gli altri 30 ci sono delle situazioni differenti», ha spiegato Fitto. Ricordando anche la scadenza del giugno del prossimo anno «perché un malvezzo che dobbiamo modificare è quello di aspettare il mese prima per fare il conto di ciò che manca», ha aggiunto, «Noi dobbiamo raggiungere gli obiettivi del 31 dicembre di quest’anno ma da subito porci gli obiettivi a giugno del 2023 per evitare quest’affanno che non aiuta e non risolve le questioni», ha evidenziato il ministro. Intanto, nel documento presentato ieri in audizione dal presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, presso le commissioni speciali di Senato e Camera, si legge che «la realizzazione, in particolare, della crescita attesa per gli investimenti nel 2023 (34,7%) necessiterà di uno sforzo straordinario da parte di tutti i soggetti attuatori».
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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