2024-07-18
California hippie? No, trans. Il cambio di sesso a scuola tenuto all’oscuro dei genitori
Con la nuova legge dello Stato dem, gli insegnanti possono tacere le tendenze gender fluid dei minorenni. È la vetta del delirio woke, tanto che Elon Musk decide di cambiare Stato.Per Elon Musk è stata «l’ultima goccia», l’insulto finale che lo ha spinto a spostare le sedi di SpaceX e X in Texas. E in effetti la legge firmata lunedì dal governatore della California Gavin Newsom è quanto di più inquietante e distopico la cultura woke potesse produrre. Si tratta, in buona sostanza, di una norma che impedisce alle scuole di obbligare gli insegnanti a informare i genitori quando un ragazzino o una ragazzina chiede di farsi chiamare con un altro nome. Significa che se un minorenne si convince di voler cambiare genere e pretende di essere chiamato in modo diverso o di essere indicato con un pronome corrispondente al sesso opposto, i docenti non saranno tenuti a renderlo noto alla sua famiglia: la transizione può iniziare all’insaputa di papà e mamma. Secondo Brandon Richards, portavoce del governatore californiano, «questa legge aiuta a mantenere i bambini al sicuro proteggendo al tempo stesso il ruolo fondamentale dei genitori. Protegge la relazione figlio-genitore impedendo ai politici e al personale scolastico di intervenire in modo inappropriato nelle questioni familiari e tentando di controllare se, quando e come le famiglie hanno conversazioni profondamente personali».Della stessa opinione sono numerose organizzazioni Lgbt, le quali ritengono che la norma serva a proteggere la privacy degli studenti transgender, «soprattutto quelli che temono di non essere supportati dalle loro famiglie. Rob Bonta, procuratore generale della California che assieme al governatore si è battuto per l’approvazione della legge, sostiene addirittura che informare i genitori delle scelte dei figli sull’identità di genere vorrebbe dire costringere ragazzi e ragazze a un «outing forzato». A ben vedere siamo nel pieno di una delle tante «guerre culturali» che negli ultimi anni stanno scuotendo gli Stati Uniti. Il conflitto si è innescato quando il consiglio scolastico del Chino Valley Unified School District ha approvato un regolamento che prevedeva l’obbligo di coinvolgere le famiglie ogni volta che uno studente avesse manifestato l’intenzione di cambiare genere. Tale regolamento stabiliva che i genitori dovessero essere informati entro tre giorni qualora i dipendenti della scuola fossero venuti a conoscenza della richiesta di uno studente di essere considerato di un sesso diverso da quello presente nei registri ufficiali. Come spiega il New York Times, «politiche simili sono state attuate in Stati conservatori, ad esempio il Tennessee e la Carolina del Nord, come parte di un vasto movimento per i diritti dei genitori sostenuto dalle organizzazioni conservatrici. Ma i leader liberal della California considerano queste politiche dei consigli scolastici incursioni indesiderate, che costringono all’emarginazione gli studenti transgender e non binari».Il procuratore generale Bonta è stato il primo a intervenire contro il distretto scolastico della Chino Valley, chiedendo una ordinanza del tribunale per bloccare il regolamento appena votato. A suo dire, «per troppi bambini transgender e giovani gender nonconforming, la scuola è l’unico rifugio sicuro, un posto lontano da casa dove possono trovare supporto, sicurezza, privacy. Dobbiamo proteggerlo». Che cosa significhi per lui protezione è presto detto: tenere le famiglie all’oscuro.Con tutta evidenza, in un modo non ancora impazzito su una faccenda di questo tipo nemmeno si discuterebbe. Di fatto, la nuova legge californiana permette ai ragazzini di incamminarsi sulla strada del cambiamento di sesso senza che i loro genitori siano consultati. È l’estremo approdo del cosiddetto «approccio affermativo»: la volontà del singolo diventa legge e a nessuno, nemmeno a padre e madre, è concesso muovere critiche, opporsi o intervenire in qualche modo. Le famiglie vengono esautorate, lo Stato - in una sorta di delirio sovietoide - spadroneggia e trionfa imponendo contro ogni logica l’ideologia woke. Si dà per scontato che un ragazzino sia per forza nel giusto e vada assecondato se dice di voler cambiare sesso, anche se gli studi più recenti e autorevoli dimostrano che, nell’arco di pochi anni, la grandissima parte dei minorenni abbandona l’idea della transizione. Il rischio, più che concreto, è che qualcuno sia spinto a compiere scelte irreversibili senza valutazioni adeguate e senza tenere conto delle pesanti conseguenze. Queste sono le vette a cui giunge il culto dell’individuo che, a partire dal secondo dopoguerra, ha preso piede in California, non a caso la terra in cui sono fiorite tutte le più strampalate controculture d’Occidente, il luogo che ha partorito quella che Richard Barbrook e Andy Cameron hanno battezzato «l’ideologia californiana». Ovvero un accoppiamento perverso fra lo yuppismo carrierista e certe degenerazioni hippie. Certo, la battaglia culturale non è ancora conclusa, i politici conservatori hanno già annunciato che si opporranno alla nuova legge pro trans portandola, se necessario, davanti alla Corte suprema. Nel frattempo, però, la norma potrebbe avere il tempo di causare parecchi danni. E di rovinare la vita a qualche bambino, trasformandolo in una vittima da sacrificare sull’altare dell’eroticamente corretto.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)