2019-04-18
Calenda in tv sbraita falsità su quota 100
L'ex ministro di Matteo Renzi, in lista con il Pd, da Giovanni Floris ha attaccato la misura del governo: «Costa uno sproposito». Ma a regime si tratta di 28 miliardi, sempre meno dei 30 sborsati per rimediare al disastro della Fornero. Un'altra fesseria con il marchio del competente.Ci sono politici la cui presenza nei talk show è inversamente proporzionale al numero di voti presi in campagna elettorale. Uno di questi risponde al nome di Carlo Calenda, il quale pur non essendo neppure riuscito a farsi eleggere in Parlamento, è sempre in qualche salotto televisivo a dettare legge. Il piacere di stare davanti alle telecamere dev'essere una passione sviluppata da bambino, quando il nonno Luigi Comencini gli fece recitare la parte dello scolaro in un film da lui diretto. Sta di fatto che Calenda pontifica quasi ogni giorno e non da scolaro, ma da professore, e lo fa con l'arroganza di chi si crede davvero un'autorità in cattedra. Seppur a distanza di collegamento tv, a me è capitato di incontrarlo l'altra sera durante la puntata di Dimartedì, dove il nostro sproloquiava contro quota 100, ossia contro la deroga alla legge Fornero che consente, a chi abbia 62 anni e 38 di contributi, di andare in pensione in cambio di un taglio all'assegno Inps. Calenda, che per aver fatto due anni il ministro ha presentato una domanda per ottenere una buonuscita da 40.000 euro, al solo sentir parlare di pensione (naturalmente degli altri) si è innervosito, descrivendo quota 100 come il peggiore dei disastri possibili. Secondo lui, consentire il riposo di persone che hanno lavorato per 38 anni è un'indecenza, anzi «uno sproposito di denaro» che, sottinteso, è dato a chi dovrebbe essere incatenato al posto di lavoro. Per lui invece, di mandare in pensione chi abbia 62 anni e 38 di contributi, sarebbe stato sufficiente completare le salvaguardie, cioè le misure per porre riparo al clamoroso errore del governo tecnico guidato da Mario Monti.All'ex ministro dello Sviluppo economico mi sono permesso di obiettare che tra i richiedenti quota 100 ci sono molti che il lavoro non ce l'hanno, perché lo hanno perso e non riescono a trovarne un altro, ricordando che anche gli esodati provocati dalla riforma Fornero erano costati «uno sproposito di denaro», tanto per usare le sue parole. Anzi, a un certo punto, gli ho chiesto quanto fossero costate le famose salvaguardie. Calenda prima ha parlato di sei o sette salvaguardie (sono state otto) e poi ha buttato lì una cifra fra i 2 e i 3 miliardi, dimostrando di non sapere nulla dell'argomento. Probabilmente dev'essersi reso conto egli stesso di annaspare, per cui ha cercato di salvarsi dicendo che ricordava le cose del suo ministero, non quello degli altri. Peggio il tacon del buso direbbero in Veneto, perché è come dire che lavoro e pensioni non sono di alcun interesse per il ministero dello Sviluppo economico.Ma Carletto il meglio lo ha dato quando in suo soccorso è arrivato Giovanni Floris, il quale, come se fosse il supremo giudice della Cassazione, ha sentenziato che le salvaguardie sono costate in totale 12 miliardi, mentre quota cento ne costerebbe 28 a scadenza e dunque quest'ultima sarebbe il peggio del peggio. A questo punto, avendo io osservato che le salvaguardie in realtà sono costate più di quota 100, Calenda, dall'alto della sua incompetenza appena dichiarata, ha cominciato a urlarmi: «Hai detto una fesseria». Non si è capito quale fosse la mia fesseria, ma questo è irrilevante. Ciò che invece ha una certa rilevanza sono i dati che l'ex ministro, che si candida a tornare alla guida del Paese, anzi dell'Europa, ha dimostrato di non sapere. Per conoscere quale sia stato l'impatto sul bilancio dello Stato degli errori della riforma Fornero, amplificati dagli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi otto anni, è sufficiente rileggersi le cifre messe in fila da Alberto Brambilla qualche giorno fa sul Corriere della Sera. Il presidente del centro studi Itinerari previdenziali, considerato uno dei maggiori esperti della materia, lunedì scorso spiegava che le otto salvaguardie hanno riguardato 120.000 persone e sono costate, secondo stime dell'Inps, 17 miliardi, cioè il 15 per cento dei risparmi previsti dalla Fornero. Ma non è tutto. Secondo l'esperto, dal 2012 a oggi, sono oltre 340.000 i lavoratori che hanno potuto - grazie ai governi Letta, Renzi e Gentiloni - andare in pensione con anticipo sui famosi 67 anni. Tutto ciò per via di una serie di deroghe, tipo Ape, Opzione donna, e Precoci. Costo totale di queste «eccezioni» alla Fornero: 30 miliardi, ossia un po' di più di quanto costerebbe quota 100 a regime e se tutti gli aventi diritto ne volessero beneficiare. A questo punto si impone una domanda: ma il Calenda che definisce la possibilità di anticipare la pensione «uno sproposito di denaro» è lo stesso che faceva il ministro con Renzi e Gentiloni? E perché lo sproposito speso dai suoi governi dev'essere meglio di quello del governo Conte? Beh, la risposta è ovvia: perché tra i ministri dell'epoca c'era Carletto, un tipo che ha una tale considerazione di sé da aver dettato al Pd le condizioni per prendere la tessera. Applausi. Ma di voti neanche l'ombra.