
Il piatto figlio del Mediterraneo è il simbolo culinario di Livorno e guai a togliere una «c» dal nome. Può essere preparato con 13 pesci o cinque, tutti rigorosamente «cenerentola». Ha origini turche, ma la città labronica ha sfornato le sue leggende.Attenti signori veneti che vi mangiate le doppie (la mama, la bisteca, el leto…) e fate tappa a Livorno per gustare il vero cacciucco, piatto sacro alla patria labronica. Vi suggeriamo di allungare bene le labbra al momento della comanda e ordinare un «cacciucco», con cinque «c». Se ve ne scappano sei, non preoccupatevi: a Livorno è meglio abbondare che scarseggiare.Guai a togliere una «c» al cacciucco livornese. Basta un attimo di disattenzione, un inciampo palatale e si commette, sia pure inconsapevolmente, il massimo affronto: dire «caciucco». Togliere al piatto leggendario una «c» equivale, per un livornese, a togliere l’onore a qualcuno di famiglia. È una mutilazione inconcepibile. Come privare il Davide di Michelangelo degli attributi.A dissacrare il piatto simbolo, a tavola, della città fondata da Ercole Labrone si rischia di finire incatenati con i Quattro Mori al monumento di Ferdinando de’ Medici in piazza Micheli. E stiano attenti gli adriatici a non chiamarlo «brodetto di pesce». Passi zuppa, ma brodetto proprio no. Il brodetto appartiene alla costa italica dove sorge il sole e ha gli stessi rosei colori dell’aurora. Il cacciucco è tramontano, ha nelle vene il rosso fuoco del sole che va giù nel Tirreno.C’è una terza possibile offesa al cacciucco e riguarda il vino da abbinargli. Bianco o rosso? Su questo punto, anche a Livorno, i pareri si dividono. I duri e puri pretendono il rosso e, più precisamente, il Chianti, gli eno-equazionisti (pesce uguale vino bianco) no. A ogni modo, il peccato è veniale: l’assoluzione con formula dubitativa è assicurata.Il cacciucco, a Livorno, non è solo un piatto di mare. È il mare. È figlio del Mediterraneo. Così come la città tirrenica nacque da un melting pot di razze alla fine del Cinquecento, quando Ferdinando I de’ Medici emanò le «Livornine», una serie di privilegi con cui si invitavano «mercanti di qualsivoglia nazione, levantini, ponentini, spagnuoli, portughesi, greci, todeschi et italiani, hebrei, turchi, mori, armeni, persiani et altri» a popolare il borgo con le garanzie di libertà religiosa ed economica, così è il cacciucco: un melting pot di pesci che parlano lingue ittiche diverse ma stanno bene insieme per l’ultimo tuffo nel pentolone di brodo ben aromatizzato.Nella quale marmitta nuotano - si fa per dire - pesci da zuppa rigorosamente con la lisca: triglia, gallinella, scorfano, il bruttissimo pesce prete, la tracina, il cappone di mare; crostacei: mazzancolle, cicale di mare, gamberi; pesci da taglio: palombo, grongo, gattuccio; pesci e molluschi di scoglio o di sabbia: calamaro, polpo, seppia, cozze, arselle, vongole. Tutti insieme appassionatamente, per un gusto incredibile.Il nome è di origine turca: cacciucco deriva da küçük, parola che indica una mescolanza di pesci piccoli. Quanti di loro devono entrare nella pignatta? La tradizione parla di 13 tipi diversi. Un’altra ricetta è meno largheggiante: il cacciucco si fa con almeno cinque pesci differenti, uno per ogni «c».Anche l’Accademia italiana della cucina, nel 2001, certificò, dopo accurate ricerche storiche, una ricetta «5C» raccomandando di preparare il cacciucco con almeno cinque qualità diverse di pesce, scegliendo tra il pescato di scoglio, calamari, seppie, cicale di mare, mazzancolle (o scampi o gamberi), palombo o nocciolo, murena, pesce da minestra (scorfano, cappone, gallinella, parlotto, tracina, pesce prete). I pesci vanno cotti in un brodo di pomodoro e vino rosso, aromatizzato con aglio, cipolla, salvia, peperoncino e prezzemolo. Il tutto va accompagnato con pane agliato e abbrustolito, ammorbidito nel brodo.La storia conferma: il cacciucco, oggi inserito nella prestigiosa lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali toscani (Pat), nasce povero, in barca o sul molo dove i pescatori lo preparavano per sé con i pesci invenduti, quelli considerati di poco o nessun pregio, pesci proletari. Pesci cenerentola che, una volta cotti in una sorta di brodo di pomodoro e vino rosso, con cipolla, peperoncino, prezzemolo e altri odori, diventavano una pietanza principesca.Pesci «’gnoranti» li chiamava Fabio Canova, il mitico Bombetta titolare dell’omonimo ristorante viareggino. Perché sì, esiste anche un cacciucco viareggino che è poi quello livornese con minime variazioni. Li cita entrambi, fornendo le relative ricette, Pellegrino Artusi nella sua bibbia gastronomica, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, puntualizzando che la versione livornese ha un colore rosso intenso ed è fatto con pesce povero: sogliole, pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie «che in Toscana si chiamano cicale» e altre varietà di stagione. Secondo lui il cacciucco viareggino «è assai meno gustoso ma più leggiero e digeribile». Per Bombetta, che del cacciucco era considerato il re, le due zuppe di pesce erano tali e quali, solo che il viareggino era meno rosso, con meno pomodoro. Il pesce da mettere nella pentola? «Tracina, scorfano, gallinella, cappone, insomma il pesce più ‘gnorante perché più è ‘gnorante il pesce e meglio viene il cacciucco, e qualche gambero o sparnocchio».A fare la fortuna del cacciucco della Versilia furono due pittori viareggini, Lorenzo Viani e Cristoforo Mercati che nel 1936 furono invitati dal potente ras livornese Costanzo Ciano, padre di Galeazzo e consuocero di Benito Mussolini, a una memorabile cacciuccata. Il cacciucco di Viareggio esisteva già da tempo, vedi il libro di Artusi la cui prima edizione risale al 1891 e, prima ancora, l’attestazione riportata da Giuseppe Rigutini ne le Giunte ed osservazioni al Vocabolario dell’uso toscano di Pietro Fanfani. Ma fu Viani a incoronarlo re delle trattorie e dei grandi ristoranti situati sul lungomare di Viareggio, negli anni d’oro tra il primo e il secondo conflitto mondiale, quando la Perla della Versilia era il punto di riferimento vacanziero di intellettuali, artisti, aristocratici e (neo)ricchi borghesi. Cristoforo Mercati, pittore futurista, aeropoeta e scrittore con lo pseudonimo di Krimer, pubblicò un libro d’arte intitolato Cacciucco con i disegni dell’amicone di scorribande gastroletterarie Lorenzo Viani.Come tutti i grandi piatti italiani, anche la zuppa di pesce livornese vanta un’origine leggendaria. Sono addirittura tre le storie che si raccontano. La prima vuole che il cacciucco sia stato inventato dal guardiano della lanterna, il faro del porto, in seguito a un ordine superiore che gli proibiva di friggere il pesce: ogni goccia di olio che gli veniva messo a disposizione doveva servire ad alimentare la luce del faro. Il guardiano obbediente, ma goloso e geniale, inventò una ricetta che non richiedeva olio. Ancora adesso per fare il cacciucco si usa pochissimo olio d’oliva.Un’altra storia fa nascere il cacciucco dalla generosità dei pescatori che soccorrono la moglie e i tre figli di un collega scomparso in mare donando, ognuno, il pesce invenduto alla vedova e agli orfani che soffrono la fame.La donna prese quel pesce e lo cucinò con erbe dell’orto e pomodoro inondando, dice la leggenda, le strade di Livorno di un profumo delizioso e irresistibile tanto che i vicini accorsero per imparare come fare quella golosità.La terza storia parla di un ragazzo turco di nome Ahmet, bravissimo a cucinare una zuppa di pesce realizzata con i pescetti che il babbo pescatore non riusciva a vendere. Il ragazzino, una volta diventato giovanotto in grado di realizzare i suoi sogni, andò a vivere a Livorno, la lontana città di mare che aveva sentito magnificare nei racconti dei marinai turchi che frequentavano il suo locale. A Livorno aprì un’osteria che chiamò Küçük, dove ripropose con grande successo il piatto che cucinava all’altro capo del Mediterraneo.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






