2021-06-19
L’Elba, piccola Trinacria invasa capace di mescolare mare e terra
Cacciucco all'elbana (Getty Images)
Al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo, vi hanno lasciato memoria romani, iberici, etruschi, longobardi, saraceni. Con piatti dai nomi come ventrazzino, sburrita, gurguglione, riso con tranapecori.Con la designazione di Procida a Capitale italiana della cultura per il 2022 si è aperta l'attenzione a quella vasta e misconosciuta realtà delle isole minori di cui è ricco il Bel Paese. Un viaggio che, come da copione, lascerà sorpresi per le svariate scoperte di cui queste piccole realtà sono custodi. L'isola d'Elba è, per certi versi, la capitale dell'arcipelago toscano. Una antica leggenda rimanda le sue origini ad un'epoca classica senza tempo. «Quando la Venere tirrenica uscì dalle onde del mare, dal suo diadema si staccarono sette gemme». Nacquero così le sette isole. Oltre all'Elba, Giglio, Capraia, Gorgona, Pianosa, Giannutri e Montecristo. Assieme danno luogo ad un Parco nazionale che è la più grande area marina d'Europa. Il link immediato delle memorie scolastiche rinvia alla figura di Napoleone Bonaparte che qui vi trascorse, tra il 1814 e il 1815, trecento giorni di un esilio che lo vide passare da Imperatore d'Europa a regnante di questa piccola isola che, con lui, raggiunse, dopo secoli di spartizione tra potenze continentali, una prima unità.Una delle caratteristiche dell'Elba è di essere una sorta di melting pot di storie e popoli diversi, considerata la sua posizione al centro delle molte rotte commerciali del Mediterraneo e quindi oggetto di mire e conflitti militari. Qui hanno lasciato memoria, anche sul piano gastronomico, etruschi, romani, longobardi, iberici, provenzali, come pure liguri, toscani, ma anche siciliani, tanto da esser chiamata un tempo piccola Trinacria. Ce lo spiega bene Valter Giuliani «gli elbani sono sempre stati grandi marinai, ma pessimi pescatori», ecco perché tra le sue insenature gettavano le reti flotte pescatrici provenienti dalla Sicilia come da Ponza, mentre i locali erano impegnati sulle grandi rotte commerciali del tempo. I residenti, al massimo, terminato il lavoro nei campi o in miniera, prendevano la loro barchetta e andavano di bolina a pescare il necessario per la cucina domestica. Pochi sanno che l'Elba è stata una importante fonte mineraria tanto che il nome stesso deriva dal latino ilva, riferimento alla lavorazione del ferro estratto dalle miniere. A questo si aggiunge un microclima estremamente favorevole con il conseguente sviluppo di orti spontanei ed erbe aromatiche che hanno poi fortemente influenzato lo sviluppo di piatti originali tanto che una delle caratteristiche della cucina isolana è una commistione di pesce e di terra sulla costa, ma anche di prodotti di terra con il pesce all'interno. Una fama consolidata da sempre, tanto che lo stesso Plinio il vecchio ebbe a testimoniare, nelle sue memorie, come l'Elba fosse «l'isola del vino buono». Anche per un accorgimento particolare, messo in atto dal buon senso e dall'intuito dei locali. Se per necessità erano costretti a sfruttare ogni centimetro di terra, notarono come affiancando la coltivazione dei legumi alla vite (fave, fagioli) questa era più generosa al grappolo. La scienza moderna dimostrò poi come, alla base, vi fosse un maggior rilascio di azoto, carburante naturale. Per chi desidera approfondire le bellezze dell'isola, una volta sceso dal catamarano d'ordinanza, valgono le parole di Leonardo Romanelli (che sono poi un riassunto riferibile a tutto l'arcipelago): «Un mix di coste selvagge e baie accoglienti. Specchi d'acqua su cui si riflettono montagne ricche di flora e fauna». Se gli elbani non erano un granché come pescatori erano buoni trasformatori della materia prima, a partire dal tonno, con tre tonnare come si usava al tempo, dalla Liguria sin giù alla Sicilia. L'ultima, quella dell'Enfola, chiusa nel 1958. Isola di terra e di mare, con un significativo allevamento di piccole greggi caprine tanto che i caprili sono ancora memoria storica, un significativo esempio in località Macinelle. Nelle diverse varianti. Chiuso per la mungitura delle capre, a grottino per la produzione di ricotte e formaggi, vi è poi l'asilo, ovvero il grigolo, per isolare i capretti durante lo svezzamento. Una golosità frattagliante inaspettata tra questi luoghi, il ventrazzino. Trippa di capra ripiena (di pancetta, parmigiano, menta e basilico) tipica merenda degli uomini al pascolo. Formaggio caratteristico il baccellone, fresco di salatura, ideale in abbinamento con i baccelli delle fave, ma anche con i piselli baccelloni (cioè dai semi molto grandi), tipici dell'isola. La panzanella di Portoferraio ha una storia che rinvia all'antico presidio militare. Il pane raffermo, un tempo, si chiamava pan di munizione e dava luogo al cappon di galera, bagnato e condito con verdure, tonnina (residui della lavorazione del tonno) e acciughe. Si trattava di gallette in dotazione alla marineria granducale, segno distintivo «di militanza» i ventiquattro fori sulla superficie, un modo pratico per favorire una veloce essicazione. Dalle barche dei pescatori spesso arrivava in cucina il polpo, poi bollito, che tradizione voleva prima battuto su di uno scanno di legno, un modo per rinviare a riti ancestrali, quali la lotta contro i mostri marini frutto della mitologia trasmessa per via orale. Dopo tanto battere, però, il tutto condito e consumato elegantemente a tiro di forchetta. Attenzione, se il cameriere vi fa l'occhiolino proponendovi gli spaghetti Margherita non vuole rifilarvi gli avanzi di una pizza … spaghettata, ma è un modo elegante per presentare l'arrivo di pasta e granceola, chiamata margherita da queste parti. Meno polpa della più aristocratica aragosta, ma ben superiore al gusto. Comodamente seduti con vista sulla rena perché negarsi un pasto dei minatori, ad esempio con la sburrita, una zuppa di pesce aromatizzata con erbe e verdure, la cui marcia in più la cogliete, oltre che al palato, all'olfatto, grazie ai profumi di mare e macchia mediterranea. Elbano Benassi è stato lo storico sindaco del secondo dopoguerra, pioniere dello sviluppo turistico dell'isola, sue le penne in barca, magari facili anche da replicare tra lo sciacquio delle onde, a base di vongole, besciamella, rosso d'uovo, peperoncino. Un instant classic talmente radicato che ogni trattore si picca di prepararne una rilettura personale (occhio però, se vi trovate la panna è una versione tarocca). Altro giro di giostra con il gurguglione, una zuppa di verdure tradizione di Porto Azzurro, traccia giunta a noi della dominazione spagnola, tanto che i locali lo chiamano anche gaspaccio, un tempo di buona compagnia nella gavetta che accompagnava al lavoro minatori e contadini. Curioso il riso con tranapecori, un'erba spontanea che, per l'odore di latte che secerne dalle sue foglie, ricorda il latte di pecora. Siamo in terra livornese, non può mancare la rilettura locale del cacciucco, meno ingredienti del cugino di terraferma, ma con una liturgia di preparazione particolarmente meticolosa. Il preferito da Napoleone. Particolarmente apprezzato, nei suoi tour ad usum catodico, da Alessandro Borghese. Il merluzzo lo si può trovare assemblato in diversi modi. Vi è lo stoccafisso alla riese (sulle coste orientali), di origini ibero moresca, frutto delle rotte commerciali del tempo, con acciughe, cipolla, pinoli e capperi, anche se per altri, invece, è di derivazione ebraica, retaggio degli ebrei sefarditi scampati a Livorno. Divertente lo strappetto di baccalà, bocconcelli letteralmente strappati a mano, come liturgia culinaria comanda, e poi marinato agli agrumi, servito su crostoni di pane. Un tributo alla civiltà rurale, dove bisognava trovare l'ideale equilibro tra tempo libero dal lavoro e denaro in tasca, il baccalà con i ceci. Capita ancora, passeggiando per i borghi isolani, di trovare fuori dai negozi di alimentari delle vaschette d'acqua ripiene di ceci secchi e baccalà in ammollo. Un modo pratico di risparmiare tempo e acqua, posto che i ceci si insaporivano con il sale del baccalà. Tolti dalla borsa della spesa, una volta ai fornelli, il piatto era pronto in poco tempo.
Charlie Kirk (Getty Images)