2021-08-06
Da angeli a untori: cacciati e umiliati i medici e gli infermieri senza vaccino
Minacce al personale che ha rifiutato la dose in Alto Adige: «Fuori di qui o chiamiamo i militari». Ignorate le spiegazioni di chi ha particolari problemi di salute, privacy calpestata. I più disperati ora cambiano lavoro.Sono stati per mesi i nostri angeli, luminosi nel buio di una pandemia mal gestita quindi angosciante oltre misura. Adesso, solo perché per le ragioni più diverse non si fanno inoculare un vaccino sperimentale che può prevenire la malattia, non l'infezione da Covid, infermieri e medici sono diventati demoni, degli untori da lasciare a casa senza lavoro e senza stipendio. Potrebbero morire in un luogo chiuso come sorci, utilizzando il lessico erudito del virologo Burioni. Quello che sta accadendo in Alto Adige, con una durezza inspiegabile, è una vera caccia al personale sanitario non vaccinato per sospenderlo senza ascoltare motivazioni. Capita in altre Regioni, ma nella Provincia autonoma amministrata da Arno Kompatscher è una «strage» di infermieri, i primi raggiunti da provvedimenti anche solo verbali mentre partono le lettere indirizzate ai medici. Le testimonianze raccolte dalla Verità descrivono situazioni vergognose e ben spiegano l'imbarbarimento cui stiamo assistendo, con il vaccino diventato discriminante sul luogo di lavoro e nelle relazioni umane.Simone Bauer, 44 anni, ostetrica a Merano, doveva vaccinarsi lo scorso 8 luglio ma poi spostò la data a fine mese perché era ancora indecisa. Lo scorso anno, in piena emergenza, chiusa in uno scafandro soffocante aveva seguito tante partorienti, cercando le parole giuste per tranquillizzare donne terrorizzate di dover mettere al mondo dei figli in reparti dove circolava il Covid. Il 13 luglio, come ogni altro giorno, Simone era in sala parto quando il capo sala l'aveva chiamata fuori. «Mi disse “adesso smetti di lavorare e te ne vai casa"», racconta la signora. «Non credevo alle mie orecchie, risposi che non avevo ricevuto nessun provvedimento. Controllai la Pec e vidi che era stato spedito un'ora prima. Non ci fu nulla da fare, in direzione sanitaria furono irremovibili: se non lasciavo subito l'ospedale avrebbero chiamato i carabinieri». Simone rientrò in sala parto con le lacrime agli occhi, «salutai gestanti e colleghe, mi tolsi il camice e da quel giorno non ho più avuto accesso al reparto». Il 31 luglio si è presentata al centro vaccinale, un medico le ha detto che ha un difetto immunitario e che non se la sente di vaccinarla. L'Asl, imperterrita, ha sospeso dal lavoro e dallo stipendio Simone e altre sei ostetriche dell'ospedale di Merano che non vogliono il siero.«L'ultima volta che mi sono vaccinato contro l'epatite B ho avuto un collasso. Cercai di andarne a fondo e nella clinica universitaria di Monaco, trovarono che ero fortemente allergico a tutti gli additivi contenuti nei vaccini», racconta Walter Fabbricotti, 54 anni, infermiere alla neuroriabilitazione di Vipiteno. Invia il certificato medico alla Asl ma non è sufficiente. «Ho anche spedito via Pec molte domande sul vaccino, ero preoccupato. Nessuno mi ha mai risposto». Il 7 luglio si presenta al lavoro per il turno di notte e il coordinatore gli dice che deve lasciare l'ospedale. «Obietto che non avevo ricevuto la notifica della sospensione, lo ribadisco anche davanti al direttore aziendale: senza un documento scritto passavo io dalla parte del torto, a lasciare il turno». Il direttore chiama i carabinieri che mi chiedono se ho fatto il vaccino, contro ogni regola di privacy. Registro tutto, chiedo anche copia del verbale, non me la danno e spiegano che è meglio che lasci l'ospedale». La sospensiva arriva due giorni dopo, Walter è lasciato a casa assieme alla moglie Miranda, infermiera pure lei, carichi entrambi di anticorpi ma negativi al Covid. «Siamo senza stipendio fino a fine anno, con il divieto di fare altri lavori e con due figli da sfamare. Per fortuna abbiamo un orto e le galline».Elena era infermiera da 20 anni all'ospedale centrale di Bolzano, prima di essere lasciata a casa, sospesa pure dall'albo professionale. È così amareggiata che non vuole comparire con il cognome. Lo scorso anno si era presa il Covid lavorando giorno e notte come i suoi colleghi, l'ha portato a casa contagiando gravemente il marito, curato a domicilio con idrossiclorochina, e i tre figli. «Ancora oggi sono carica di anticorpi IgG anti coronavirus», spiega la quarantaduenne. «Non sono No vax, i miei figli sono tutti vaccinati. Ma con mio marito progettiamo un quarto bambino e non mi sentivo tranquilla a farmi iniettare un siero. L'ho scritto più volte alla direzione sanitaria, chiedendo per posta certificata chiarimenti, rassicurazioni, però la loro regola è non rispondere». Il primo luglio Elena riceve dal caposala una telefonata, in cui le viene detto di non recarsi più in ospedale. La notte seguente era di turno, la signora chiede almeno due righe scritte perché senza una comunicazione formale non può stare a casa dal lavoro. Come tutta risposta, la mattina seguente «ricevo una chiamata dai Nas di Trento. Sono stata invitata a non presentarmi per nessun motivo quella notte in ospedale, pena denuncia penale con tanto di allontanamento forzato», spiega con voce rotta. «Nemmeno fossi una delinquente».Per non essersi vaccinato, Manfred Gantioler, 43 anni, è stato sospeso dal suo incarico di coordinatore del servizio infermieristico del reparto di psichiatria dell'ospedale di Bressanone. «Mi hanno telefonato mentre ero in pausa pranzo, dicendo di andarmene via subito senza aspettare la fine dell'orario di lavoro. Sono disgustato per questo trattamento e per come si sono comportati molti colleghi. Ormai la regola è divide et impera», spiega con voce pacata. Non è arrabbiato, bensì profondamente deluso per il ricatto del vaccino messo in atto, dimenticando il valore professionale dei sanitari. «Ho deciso, quando verrò reintegrato non farò più l'infermiere. È venuta meno la fiducia».