2023-02-17
Pietrangelo Buttafuoco: «Il circolino di sinistra vuole al Salone del libro i teatrini di Sanremo»
Pietrangelo Buttafuoco (Getty Images)
Lo scrittore sull’evento di Torino: «Invitano autori trans nella sezione delle scuole. È una “ridotta” dei progressisti, è cosa loro. Sono comici».guidata dal ministro Gennaro Sangiuliano, «agiografo di Putin», come ha scritto qualche partigiano della ultima ora) vorrebbe mettere le mani. E come sapete, anche solo sfiorare qualcosa che la sinistra giudichi di sua esclusiva proprietà non è possibile, non è accettabile, non è democratico. In che cosa consisterebbe il tentativo di golpe nero? Nel fatto che sia stato suggerito dal ministero di affiancare al direttore designato del Salone (Paolo Giordano, della nobile casata Einaudi) un comitato editoriale in cui inserire - pensate! - ben tre o quattro eversori fasssisti.Qualche giornalista coraggioso ha pure indicato i nomi di alcuni dei pericolosi nemici del popolo segnalati dal ministero: Giordano Bruno Guerri, Marcello Veneziani, Alessandro Campi, addirittura il sottoscritto. E poi Pietrangelo Buttafuoco, che di polemiche sulla kermesse torinese ne ha già vissuta una. Precisamente nel 2019, quando uno dei consulenti del Salone, Christian Raimo, compose una lista di proscrizione con i nomi degli impresentabili destrorsi da escludere dalla manifestazione. Alla fine Raimo si dimise, ma riuscì a far cacciare (cosa inaudita nella storia della fiera letteraria) l’editore Altaforte.«In quella occasione», dice Buttafuoco alla Verità, «mi difesero personalmente Nicola Lagioia - che poi volle accompagnarmi all’incontro di cui ero protagonista - e Antonio Manzini, un autore di libri di grande successo ed erede di Andrea Camilleri. Ambedue si mobilitarono immediatamente. Ci tengo a ricordare che io al Salone sono stato presente dall’inizio, da sempre, in tutte le forme. Ci sono stato da libraio, da autore, da presentatore di libri, ci sono stato da inviato per i giornali e poi da conferenziere. L’unica volta in cui ci furono problemi fu, appunto, quella che hai citato, quando un consulente chiese che io non fossi ammesso a Torino. Ricordo anche che l’allora sindaco, Chiara Appendino, mi chiamò per scusarsi. Tutto questo mi fa pensare che quello era un consulente, ricopriva né più né meno il ruolo che dovrebbero o avrebbero dovuto avere i componenti di questo comitato editoriale di cui si parla in questi giorni».Hanno fatto anche il tuo nome, fra gli altri. «Secondo me giornalisti privi di fantasia hanno sparato dei nomi a casaccio. Io vorrei fare un ragionamento serio. Per prima cosa, vorrei dire che il Salone del libro è benemerito e meritorio perché nasce sulla fatica inaudita dei librai, la categoria meno tutelata e ai quali viene dato il minimo».A partire dai giovani e meno giovani che normalmente lavorano agli stand... «Sì. E allora mi viene da pensare che la persona, in assoluto, più coerente con la storia del Salone sia Giuseppe Culicchia».Uno scrittore, e anche molto bravo. «Sì, ma ti dico subito perché, secondo me, lui è il migliore. Innanzitutto è di Torino e questo è un aspetto anche secondario. Il fatto è che lui nel Salone, da quando questo è nato, ha fatto di tutto: è stato volontario, ha lavorato negli stand, ha gestito l’arrivo delle scolaresche, è stato autore. Cioè, quel mondo lo conosce alla perfezione. Ha un grande difetto, forse, agli occhi degli ottimati: non appartiene alla parrocchietta».Ed eccoci al vero nodo della questione. Culicchia è uno difficilmente incasellabile. Non fa parte dei circoletti di potere che pretendono di comandare per diritto divino. E, per la fetta di sinistra che rivendica per sé il Salone, questo è un problema. «Per loro è come il Festival di Sanremo, devono stupire con gli effetti speciali. Il Salone è una ridotta che vogliono difendere assolutamente. Ora, io dico: ti pare normale che, fino all’ultima riunione dei consulenti della manifestazione, non abbiano parlato d’altro che di questioni di genere, di inviti a scrittrici trans, oltretutto nella parte dedicata alle scuole? Vogliono ripetere tutti i giochi di fuoco, traslati in ambito editoriale, delle sceneggiate viste a Sanremo. Chissà, forse vanno anche capiti. Pensano che quei parametri costituiscano il codice universale valido per tutti, invece lo sappiamo bene che non è così».Qui, però, il dibattito non riguarda gli argomenti da trattare. Si grida al complotto di destra perché sono stati suggeriti dei nomi. Come si fa a respingere persone come Marcello Veneziani o Giordano Bruno Guerri o Alessandro Campi? «Oltretutto Alessandro Campi ha scritto ultimamente un libro che è un manuale di antifascismo».Tra l’altro. «Vedi, ci sono circoli di potere che funzionano per riflesso condizionato. Loro vanno in automatico. Il caso Campi è emblematico: non conta la realtà, conta solo la narrazione che costoro si sono scritti. C’è un ben preciso meccanismo psicologico. Ora, veramente questi presunti progressisti ritengono di essere superiori: antropologicamente superiori, culturalmente superiori. Hanno introiettato l’istinto classista in assoluto, se dovessero inverare la Repubblica di Platone la renderebbero una Ztl fatta di tisane, di gattare, di professoresse col cerchietto e di compassati vegliardi che dispensano le loro massime, tutte secondo cautela. E quindi, quando arriva qualcun altro, per dirla con Revelli, la cultura - gridano - deve essere “libera dalla politica”. Sono comici».La cultura deve essere libera della politica che non sia la nostra, sarebbe più giusto dire... «Nicola Lagioia, che è bravissimo, venne scelto da Massimo Bray che è altrettanto bravissimo. Perché mai Gennaro Sangiuliano - che è bravissimo pure lui - non può mettere becco sul Salone, magari indicando il bravissimo Giuseppe Culicchia oppure Danco Singer, già braccio destro di Umberto Eco, ancora oggi direttore del fortunato Festival della comunicazione di Camogli, oppure Evelina Christillin, che ha le carte in regola? Forse, rispetto al ministro di ieri - Bray - quello di oggi, Sangiuliano, non ha l’accesso alla Ztl?». La sensazione, però, è che la politica c’entri fino a un certo punto. Questa è una faccenda di potere, non di visioni diverse: gli amici del circolino vanno bene, tutti gli altri no a prescindere dalle loro posizioni. «Sì, sì è tutto lì. Sinceramente, è un po come con la Rai: bisogna lasciar fare a loro...».Ora parlano di libertà e indipendenza del Salone da preservare. Il caso di Altaforte fu emblematico: non era mai successo che fosse cacciato un editore. Forse tutta questa libertà con la precedente gestione non c’era. «Bisogna considerare questo: l’isteria è aumentata in questo ultimo periodo. Prima non era così. Prima, tranquillamente, nella casa editrice simbolo di quella che è stata l’egemonia culturale, avevi delle garanzie di qualità e di libertà oggi impossibili. Voglio dire: Renzo De Felice è stato pubblicato dall’editore Einaudi. Ora l’isteria è quadruplicata perché, nel frattempo, si è incistato un atteggiamento di intolleranza totale. Anche questo è un regalino che ci arriva dall’America: la cancel culture, il pensiero unico. Quindi oggi è peggiorata la situazione. Nemmeno nell’Italia del Dopoguerra, che aveva la memoria della guerra civile, c’erano questi atteggiamenti».