
Il jihadista in cravatta acclamato dall’Occidente per la caduta di Assad ora imbarazza Bruxelles, che resta muta davanti al massacro di civili alawiti (dopo averne attribuito la responsabilità alle vittime). Forte condanna invece dalla Casa Bianca.La guerra civile in Siria non è finita e riesplode nel Mediterraneo. Nel fine settimana, gli scontri nella regione costiera di Latakia tra i fedelissimi alawiti dell’ex presidente Assad e le forze di sicurezza del nuovo regime guidato dall’ex terrorista Al Jolani hanno lasciato sul terreno circa 1.450 morti. Avrebbero cominciato i ribelli, che alla fine hanno ucciso 231 soldati governativi. La reazione è stata durissima e almeno 250 nostalgici di Assad sono stati ammazzati. Il problema è che ci sono oltre 970 civili inermi che sono stati massacrati e qui la colpa sarebbe delle forze di sicurezza governative, che si sono fatte aiutare anche da milizie cecene. Gli Stati Uniti, con il segretario di Stato Marco Rubio, non hanno dubbi e condannano l’aggressione di Damasco contro le minoranze. L’Ue balbetta. E del resto come non essere imbarazzati, in Europa, dopo aver salutato un jihadista convinto (e non eletto) come un nuovo alleato?I fatti, in una nazione come la Siria, non sono facili da ricostruire. Bbc e Reuters, però, pur da fuori, nelle ultime ore hanno raccontato che cosa è successo e lo stesso hanno fatto i principali media americani. Tutto sarebbe cominciato giovedì, quando miliziani fedeli al deposto presidente, che proprio in questa regione aveva un delle sue roccaforti, avrebbero ammazzato in un’imboscata 13 poliziotti che si erano recati nella cittadina di Jableh per arrestare un pezzo grosso del regime di Assad. La risposta di Damasco non si è fatta attendere. In tre giorni di scontri, carneficine e sequestri di intere famiglie, nella regione sarebbe stato riportato l’ordine. Il bilancio è più da guerra civile che da operazione di polizia. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, che ha base a Londra e in passato è stato molto duro con i massacri di Assad, in questo weekend sono morte 1.450 persone e di queste ben 973 sarebbero civili disarmati, che sono stati oggetto di esecuzioni sommarie nelle loro case e di operazioni di pulizia etnica, appartenendo a una minoranza religiosa. I soldati morti sarebbero 231 e i miliziani filo Assad circa 250. La Bbc riferisce anche della presenza sul campo di milizie straniere, e in particolare di forze cecene, schierate dalla sicurezza di Al Jolani, che da quando è presidente si è cambiato nome in Ahmed al-Shaara. Prima di addentrarsi nel significato politico di questo massacro, occorre ricordare che in 13 anni di guerra civile Assad e i suoi uomini hanno ucciso oltre 600.000 persone e 12 milioni di siriani sono stati costretti a lasciare le proprie case. Il problema è che, come insegna proprio Assad, non basta mettersi un bel vestito e la cravatta per diventare Churchill o De Gaulles. E quindi Al Jolani, come era facile prevedere, è già figura di grande imbarazzo per chi, nell’Occidente, lo ha accolto come un democratico. Sicuramente, il problema non riguarda gli Stati Uniti, che ieri hanno emesso una condanna netta del massacro avvenuto in Siria. Al Jolani è stato fiancheggiatore di Al Qaeda e gli Usa non dimenticano. Così ieri Marco Rubio, segretario di Stato, non si è rifugiato dietro le difficoltà ad avere notizie ufficiali: «Gli Stati Uniti condannano i terroristi islamisti radicali, inclusi i jihadisti stranieri, che hanno ucciso persone nella Siria occidentale negli ultimi giorni. Gli Stati Uniti sono solidali con le minoranze religiose ed etniche della Siria». Poi, ha affondato il colpo su chi comanda a Damasco: «Le autorità provvisorie della Siria devono ritenere responsabili i perpetratori di questi massacri contro le comunità minoritarie della Siria». Con quasi mille morti inermi, non è dignitoso stare sul vago. Che invece è esattamente quello che ha fatto per ora l’Ue. Da Bruxelles hanno diffuso una nota che «condanna fermamente i recenti attacchi, presumibilmente compiuti da elementi pro-Assad, contro le forze del governo ad interim nelle aree costiere della Siria e ogni forma di violenza contro i civili». Avranno sicuramente modo di ricevere qualche rapporto d’intelligence più accurato e di cambiare idea, in attesa di dotarsi della famosa Difesa comune e della Politica estera unica, ma certo che su Damasco i leader europei stanno giocando con il fuoco. Non avere la forza di prendere le distanze da uno che crede nella Sharia, a occhio un po’ agli antipodi rispetto alle politiche inclusive che piacciono a Bruxelles, è la conferma di una politica europea che da anni balbetta quando deve fronteggiare l’Islam radicale. Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, lo scorso 10 gennaio è volato a Damasco e ha incontrato Al Jolani, al quale ha assicurato che «l’Italia è pronta a fare la sua parte per favorire il processo di riforme in Siria» e che «Vogliamo essere ponte tra la nuova Siria e l’Ue». Una settimana prima, era stata la volta dei ministri di Francia e Germania, Jean Barrot e Annalena Baerbock, che essendo donna non ha avuto l’onore di una stretta di mano da parte del nuovo amico jiadista. Barrot ha espresso l’auspicio di una Siria «sovrana, stabile e pacifica». Subito ascoltato, con il ritorno alla guerra civile e alle atrocità.
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