2024-10-27
Le bugie sulle pensioni servono per fare cassa
Ogni tanto riparte l’assalto ai pensionati, che una parte della stampa e della politica vede come un pozzo senza fondo da cui prelevare soldi a gogò. I giornali prima lanciano l’allarme sulla tenuta dei conti degli enti previdenziali, ipotizzando future bancarotte. Poi puntano il dito contro gli assegni più generosi. Ai partiti quindi, tocca il compito di passare all’incasso, colpendo con una sforbiciata le rivalutazioni o direttamente i trattamenti che la pubblicistica ha ormai facilmente etichettato come d’oro. L’ultimo esempio risale all’altroieri, quando l’Inps ha diffuso i dati sulle prestazioni previdenziali.Sul Corriere è comparsa una radiografia del sistema che era sintetizzata nel seguente modo: «Pensioni: 400 mila assegni sopra i cinquemila euro al mese costano quanto i 4,8 milioni che vivono con meno di mille». In realtà, il redattore ha sbagliato perché, come poi è riportato nell’articolo, per gli assegni pensionistici più ricchi, quelli da 5.000 euro lordi al mese, che sono percepiti da 300.000 italiani e non da 400.000, si spende più che per i 4,8 milioni di pensionati con il vitalizio al minimo. Ma il problema non è il titolo sbagliato del quotidiano di via Solferino, bensì il raffronto fra chi incassa meno e i fortunati che ogni mese si vedono accreditata una presunta pensione da favola. Infatti, mettere in competizione una maggioranza di poveri pensionati con una minoranza di ricchi che se la godono serve solo ad alimentare l’idea che mentre milioni di italiani soffrono qualcuno campa sulla pelle dei più deboli. Però le cose non stanno così e per capirlo sono sufficienti alcuni numeri. Cominciamo dall’insieme dei trattamenti garantiti dall’Inps. Le prestazioni nel suo complesso sono quasi 23 milioni. La maggior parte di questi assegni sono quelli che in gergo vengono definiti Ivs, ovvero derivanti da invalidità, vecchiaia o superstiti. In totale, i pensionati che incassano queste pensioni sono poco meno di 18 milioni. A questi poi bisogna aggiungere alcune centinaia di migliaia di indennità e, soprattutto, 4,5 milioni di prestazioni assistenziali. La fotografia dell’ente previdenziale ci dice poi che tra tutte le pensioni erogate, ce ne sono circa 1,7 milioni che non arrivano a 500 euro. Di qui, dunque, il ragionamento che 300.000 pensionati ricchi, costano più di quasi cinque milioni di pensionati «poveri».Ciò che però il Corriere non dice, ma su cui pure l’indagine dell’Inps sorvola, è quanti contributi hanno pagato nel corso della loro vita lavorativa i 300.000 pensionati con assegno da cinquemila euro lordi e quanti ne hanno versati i 4,8 milioni di pensionati al minimo. Certo, vedendo che quasi 18 milioni di trattamenti rientrano nella categoria Ivs è altamente probabile che siano percepiti da chi ha alle spalle una vita di lavoro. Mentre i 4,5 milioni di prestazioni assistenziali siano incassati da chi non è riuscito a completare il proprio percorso lavorativo. In altre parole, c’è una popolazione di lavoratori che nell’arco di una vita ha pagato fior di contributi e dunque incassa una pensione piena, ricca o meno a seconda dello stipendio che ha ricevuto. C’è poi un’altra popolazione che invece di contributi ne ha messi da parte ben pochi, o perché non ha lavorato trenta o quarant’anni oppure perché ha lavorato ma non ha pagato né le tasse né i contributi. Alberto Brambilla, che in Italia ha scritto fior di libri sulla materia, lo ribadisce spesso. Nella sua ultima ricerca, oltre a osservare che quasi la metà degli italiani non paga le imposte dirette e dunque è a carico dell’altra metà che le paga (e si fa carico della spesa sanitaria pro capite di circa 1.878 euro l’anno anche per quella metà esentasse), ha spiegato che su circa 16 milioni di pensionati (i trattamenti sono 23 milioni, perché c’è chi ne percepisce più d’uno), più di otto milioni ricevono prestazioni integrate e quindi parzialmente o totalmente a carico della fiscalità generale. In più, il 51,28% dei pensionati dichiara il 91,68% dell’Irpef versata da chi è in quiescenza e questo vuol dire che incassa l’assegno più ricco, ma paga anche per quelli che ne ricevono uno più povero che magari non hanno maturato.In altre parole, se qualcuno - giornalisti o politici - pensa di tartassare ancora una volta i contribuenti che hanno lavorato una vita e pagato le tasse, per favorire chi ha fatto altro, mettano da parte l’idea, perché a volte basta poco per scatenare una rivolta. E chi, per esempio Giuliano Amato, ha provato a prendersela con i contribuenti, è passato alla storia come colui che, approfittando della notte, ha depredato i risparmi degli italiani.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)