2025-11-10
Brunetta, le basteranno 256.000 euro all’anno?
Caro professor Brunetta, le scrivo per esprimerle la mia solidarietà dopo che ha dovuto rinunciare al «doveroso» aumento di stipendio. Purtroppo appena è uscita la notizia, tutti l’hanno attaccata: è sembrato brutto che l’uomo che si era opposto al salario minimo a 9 euro stabilisse per sé il salario massimo a 311.000 euro, cioè 60.000 euro in più di quanto prende ora. Qualcuno è arrivato addirittura a considerarlo un riflusso di casta, un privilegio, persino un atto di arroganza. Ma come si permettono? Non sanno, questi screanzati, che quei 60.000 euro in più erano soltanto «doveroso adempimento», come sta scritto a chiare lettere nel comunicato Cnel? Ci si può arrabbiare con chi fa un «dempimento», per di più «doveroso»? Niente, erano tutti contro. Persino a Palazzo Chigi si sono infuriati. E così l’hanno costretta a venire meno al «doveroso adempimento» di alzarsi lo stipendio. Posso immaginare quanto ne stia soffrendo uno come lei, che a certi doveri non si è mai sottratto. Ma insomma che cosa vogliono ancora? Già è stata dura dover rinunciare al premio Nobel per l’economia, che come è noto le sarebbe spettato di diritto. Ora deve anche rinunciare a 60.000 euro di aumento, per altro «doverosi»? Le siamo vicini nella sofferenza: si deve accontentare di 256.000 euro l’anno (circa 20.000 euro al mese) che, per altro, lei incassa oltre alla sua pensione in virtù di apposita norma, approvata ad hoc. Prima infatti era vietato per i pensionati ricevere incarichi pubblici retribuiti. Poi nel decreto Pnrr fu attaccata nottetempo una leggina, e zac saltò fuori lo stipendio per lei. Doveroso, ovviamente. Nato a Venezia nel 1950, figlio di un ambulante, cresciuto vendendo gondolette ai turisti, liceo classico, poi laurea in scienze politiche e specializzazione in economia, professore associato dal 1982, dal 1999 europarlamentare, dal 2008 al 2022 parlamentare, già ministro della Pubblica amministrazione, lei è diventato celebre per le sue uscite fumantine. I dipendenti pubblici? «Fannulloni». I poliziotti? «Panzoni». Le donne? «Amanti del potere». I precari? «La parte peggiore dell’Italia». Qualche tempo fa un lavoratore cercò di intervenire durante un suo comizio e lei reagì da par suo: «Non ti lascio parlare perché comando io. Continua a fare il tappezziere, dipendente». Quando si dice avere il socialismo nel sangue. Durante la pandemia esaltò il green pass: «Misura geniale». E esultò all’idea che ci volesse finalmente un permesso per «andare in banca, alle poste, all’Inps». «A chi non si vaccina dovremmo impedire la socialità», aggiunse poi. Amante dei giornalisti («Lei è un cretino», disse in diretta a un collega de La7), fautore di bizzarre idee costituzionali («Se non avessimo la Calabria, saremmo primi in Europa»), in passato criticò il Cnel, noto carrozzone inutile, più volte a rischio di abolizione: «Un’etichetta sotto cui non c’è niente di importante», disse. Cambiò idea quando si accorse che, invece, sotto l’etichetta qualcosa c’era: una poltrona per le sue nobili terga sbattute fuori dal Parlamento. Il carrozzone inutile divenne così utilissimo per darle (con norma ad hoc) uno stipendio. Mi spiace che ora sia stato costretto a rinunciare all’aumento, ma conoscendola sono sicuro che, prima o poi, in qualche modo ci riproverà. Come biasimarla? Il dovere prima di tutto.
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