De Benedetti, o dell’amarezza profonda. Da ex fornitore Fiat, non è riuscito a scalare Fiat e nel 1976 è stato defenestrato da Corso Marconi. La sua Olivetti ha fatto la fine che ha fatto. Si è vestito da editore (impuro) per 22 anni con il gruppo Espresso Repubblica, distruggendo il primo e consegnando il secondo agli Agnelli Elkann. Ha fatto la guerra tutta la vita a Silvio Berlusconi, ma ha perso anche quella perché l’ha impostata sulla superiorità morale e l’altro era più furbo e simpatico. Una volta capito che il rivale sarebbe stato a lungo a Palazzo Chigi come premier, gli propose una bella holding di partecipazioni in comune, fermata solo dalle proteste di Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari. Perché De Benedetti è sempre stato così: disprezza e compra. E se non riesce a comprare, improvvisamente ama e poi prova nuovamente a comprare.
Quello che è stato capace di dire al Foglio nel giorno in cui gli Agnelli Elkann vendono i giornali contiene qualche verità, ma con un grado altissimo di sfacciataggine e maramalderia.
Elkann vende i giornali «anche per tenersi lontano dai magistrati. Vende i giornali per partirsene via dall’Italia». Il presidente di Exor non è la prosecuzione della dinastia Agnelli, ma il suo liquidatore: «La Fiat, la Juve, la Ferrari. Dopo questa faccenda di Repubblica sarà difficile per lui in Italia. Non ha consensi. Non è amato […] Si trasferirà a New York. È cittadino americano di nascita». Tanto per dire, Cdb ha fatto avanti e indietro tutta la vita con la Svizzera e ha avuto problemi con Tangentopoli. Mentre il rapporto dei suoi giornali con le Procure non era certo figlio del disinteresse più adamantino.
L’Ingegnere ha speso parole al miele per Gianni Agnelli, più che altro per la sua «simpatia» e «popolarità», senza ricordarne il monumentale lato offshore. Ma il miele era solo per fare confronti sgradevoli con il nipote. Sempre al Foglio, ha spiegato: «John Elkann non ci ha nemmeno provato a farsi ben volere. E oggi se cammina per le strade di Torino non lo saluta più nessuno». Esattamente come accade a De Benedetti, che gira per il centro mani in tasca, fasciato nei suoi doppiopetti gessati di Caraceni, indossati con l’allure di un capo cantiere. Per inciso, ieri ha invece lodato Urbano Cairo, editore del Corriere e di La7, definito «bravissimo». Anche perché Cdb è di casa dalla Gruber a Ottoemezzo, dove ama pontificare sulla qualunque, politica estera compresa.
Proprio ieri, è morto il genovese Marco Benedetto, un vero figlio del Secolo. Ex giornalista Ansa, ex ufficio stampa Fiat, ex amministratore delegato di Espresso-Repubblica quando il gruppo era quotato in Borsa ed era un gioiello e una potenza. Benedetto non era solo un mastino, ma un grande esperto di giornali. Era l’anello di congiunzione tra gli Agnelli, Cesare Romiti e l’Ingegnere. Senza di lui, Cdb sarebbe stato al massimo il proprietario della Sentinella del Canavese.
De Benedetti seppellirà tutti i rivali, non c’è dubbio. A volte sembra un po’ rude, ma in realtà ha solo un problema di riconoscimenti mancati. Può sembrare acido e velenoso. E quasi sempre inciampa sullo stile. Degli altri. Per esempio, tutti i dipendenti Mediaset e Mondadori amavano il Cavaliere. Tutti i dipendenti del gruppo Espresso amavano il presidente Carlo Caracciolo, editore vero e innamorato dei giornali e dei giornalisti, nonché cognato del predetto «amatissimo» Gianni Agnelli. L’Ingegnere? Pagava i conti a fine anno e nessuno gli diceva mai grazie. Neppure i figli Marco e Rodolfo, con i quali va poco d’accordo e da lui più volte accusati di «non capire niente di editoria». In pubblico e senza a alcuna pietà. La successione di Berlusconi è stata un mezzo capolavoro finanziario, ma soprattutto un esempio di equilibrio e armonia, pur nella vasta famiglia. Il testamento di Cdb, quando sarà, darà da scrivere per mesi.
Anche le imprese di De Benedetti in Belgio e in Francia sono state meno fortunate e meno lodate degli affari che il pallido Elkann ha messo a segno Oltralpe con Exor, Louboutin, Institute Mérieux e tanto altro. E quando Cdb e John si sono associati per i giornali, il primo ha portato in bilancio un contenzioso fiscale pregresso miliardario e il secondo uno stile manageriale da caserma sabauda, incompatibile con la confezione di un prodotto collettivo dell’ingegno.
L’Ingegnere oggi trova elegante sottolineare che Elkann se ne andrà dall’Italia per «stare alla larga dei giudici» e d’altronde «a Torino è già ai servizi sociali, come Berlusconi a Cesano Boscone». E poi John, finito nei guai per l’eredità di Marella Caracciolo, secondo lo psicoterapeuta e fine pedagogo di Dogliani «fa il tutor per ragazzi problematici, ma sarebbe lui ad aver bisogno di un tutor perché tutto quello che ha toccato lo ha rotto». Com’era la storia di quelli che vivono a specchio?