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2025-01-26
Polizia ancora in balia dei criminali: due agenti aggrediti da 20 maranza
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Continuano le aggressioni alle forze dell’ordine, segno che il costante innalzamento dei toni sta mettendo sempre più alla prova la coesione sociale del Paese. A Torino, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, Enrico Aimi, membro laico del Csm, ha constatato come il capoluogo piemontese sia segnato da «manifestazioni violente», che hanno provocato numerosi feriti tra le forze dell’ordine, «cui va tutta la nostra solidarietà». «Se non si interviene in maniera determinata», continua, «rischiamo un ritorno agli anni di piombo». Ma Torino, ha anche osservato Aimi, «non è un caso isolato».
Giovedì sera, nel corso di Dritto e rovescio (trasmissione condotta da Paolo Del Debbio su Rete 4), alcuni ragazzi immigrati e figli di seconda generazione, residenti a Milano, hanno sostenuto che, secondo loro, soltanto il 30% delle forze dell’ordine sarebbe «buono», mentre il restante 70% è «corrotto» (per alcuni addirittura il 100%). Convinzioni, come anche quella secondo cui i carabinieri avrebbero incentivi economici ad arrestare le persone, radicate dentro gli animi di tanti giovani, che vedono negli agenti - e nello Stato - il loro principale nemico. E che segnano il clima dentro cui si avvicendano le continue aggressioni di cui sono piene le pagine dei giornali. Le ultime due, in ordine cronologico, riguardano Brescia e Vicenza.
Nella città lombarda, il fatto ha avuto luogo giovedì scorso nella zona della stazione ferroviaria, area ormai un po’ ovunque associata a disordini e pericolo. Due agenti di polizia, nel corso di alcuni controlli, hanno fermato due ragazzi per portarli in Questura al fine di condurre alcune verifiche e notificare una elezione di domicilio legata a una precedente vicenda giudiziaria.
I due giovani, secondo le ricostruzioni, sarebbero saliti sulla volante senza opporre resistenza. Tuttavia, un gruppetto di amici (la cronaca locale parla di circa una ventina di minori) ha accerchiato i poliziotti nel tentativo di liberarli. Prima qualche insulto, poi è stata colpita la vettura e, infine, sono passati alle mani: un diciassettenne di origini tunisine ha provato a colpire un agente, atto da cui è originata una colluttazione per cui entrambi sono finiti a terra, terminata con l’arresto dell’aggressore. Determinante, in questo senso, l’intervento del collega, che ha provveduto ad ammanettarlo per renderlo inoffensivo.
Poco dopo sono arrivati i rinforzi, prontamente chiamati dai poliziotti non appena capito che la situazione stava per precipitare. Al vedere le volanti arrivare, il gruppo di ragazzi si è disperso, ma gli agenti sono comunque riusciti a identificare una decina di essi. I due agenti che hanno subito l’aggressione sono poi finiti all’ospedale per farsi medicare qualche escoriazione, insieme anche al diciassettenne arrestato (che, una volta dimesso, è finito in carcere).
A Vicenza, sempre giovedì, altri due agenti della polizia locale sono rimasti feriti in uno scontro con due cittadini stranieri. L’episodio ha avuto luogo intorno alle 17.30 in una zona, quella del Quadrilatero, che il Giornale di Vicenza definisce una delle «più calde della città». In quel momento, il Nucleo operativo speciale (Nos) e una pattuglia di servizi anti-degrado stavano effettuando controlli mirati contro il traffico di sostanze stupefacenti.
Durante le verifiche, un uomo di origini africane avrebbe opposto resistenza, rifiutandosi di fornire i propri documenti. A quel punto, un altro connazionale sarebbe intervenuto in suo soccorso: da lì è partita la colluttazione. Per evitare conseguenze peggiori, nel parapiglia la polizia locale ha fatto ricorso allo spray al peperoncino, ma ciò non è stato bastato a impedire che i due agenti rimanessero feriti: uno è caduto e ha sbattuto la schiena, l’altro è comunque finito in ospedale, benché anch’egli in condizioni non gravi. Con l’intervento delle pattuglie di supporto, i due stranieri sono stati fermati e denunciati. Episodio, questo a Vicenza, che non giunge nuovo: basta fare una semplice ricerca sulla cronaca locale per trovare diversi titoli che denunciano l’ennesima aggressione alle forze dell’ordine.
Due vicende, una in Lombardia l’altra in Veneto, che si inseriscono dunque in un clima sempre più deteriorato. E da cui poi nascono proposte come quella dello scudo penale, di cui probabilmente in un Paese normale non ci sarebbe la minima necessità.
Tuttavia, questi sono di risultati di anni di immigrazione incontrollata: la distruzione del più elementare tessuto sociale, quello basato sul rispetto delle banali regole di civiltà e convivenza. Se nel lungo periodo l’obiettivo deve essere quello di ripristinarlo, anche attraverso la trasmissione di cultura ed educazione (ma quando qualcuno che non sia di sinistra prova a farlo, come nel caso del festival GiovaniAdulti di Torino - sostenuto dall’assessorato alle Politiche sociali della Regione Piemonte -, viene arbitrariamente accusato a reti unificate di fare l’evento «balilla»), nel breve chi si trova tutti i giorni a dover lavorare in un contesto simile - le forze dell’ordine - merita protezione.
Altri migranti imbarcati per l’Albania
Dopo oltre due mesi di stalli politici e giudiziari è ripresa l’operazione Albania. Stando a quanto si apprende, tra venerdì e ieri ci sarebbero state due operazioni di trasbordo di clandestini a bordo della Cassiopea, il pattugliatore della marina militare utilizzato per quello che sarà il terzo trasferimento di richiedenti asilo in Albania, dopo i primi due di ottobre e novembre scorsi.
Nel momento in cui scriviamo, gli stranieri a bordo sono undici, bengalesi ed egiziani, mentre la nave continua a stazionare in acque internazionali a una ventina di miglia a sud di Lampedusa in attesa di caricare altre persone prima di dirigersi verso il porto di San Giovanni di Medua (Shengjin), nell’Albania settentrionale.
Le precedenti volte che il governo aveva tentato di portare i clandestini nelle strutture albanesi deputate al rimpatrio, a ottobre e novembre scorsi, i giudici del tribunale di Roma avevano negato il fermo oltre l’Adriatico dei richiedenti asilo, dichiarando «Paesi non sicuri» quelli da cui quegli immigrati provenivano. Non solo, ne era nato un braccio di ferro tra le toghe e l’esecutivo, ma si era scatenata anche una vera e propria tempesta mediatica.
Questa volta, però, pare che ci si possa attendere un esito diverso, poiché la decisione non spetterà più ai magistrati della sezione immigrazione, ma a quelli della Corte d’appello, come prevede la nuova norma entrata in vigore l’11 gennaio scorso. Il 19 dicembre c’è stata una sentenza della Cassazione che il governo ha valutato come «molto favorevole»: era stato riconosciuto al governo il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi provenga da Paesi designati come sicuri. I giudici non possono quindi sostituirsi al ministro degli Esteri; possono, al più, valutare se la designazione sia legittima ed eventualmente disapplicare il decreto sui Paesi sicuri. Caso per caso, cioè. Maggiori certezze potranno aversi in primavera, quando sarà la Corte europea di giustizia ad esprimersi in materia dei Paesi sicuri. L’iniziativa incassa intanto l’ok del commissario europeo per il Mediterraneo, la croata Dubravka Šuica, secondo cui l’accordo Italia-Albania «è una delle idee innovative che avrebbe potuto aiutare non solo l’Italia, ma anche altri Paesi». Quel che si sa, intanto, è che il piano Albania riparte e punta tutto sull’«effetto deterrenza», quello di cui ha sempre parlato il governo spiegando la ratio dell’accordo promosso con il premier albanese Edi Rama.
Nei primi 24 giorni del 2025 sono sbarcate 1.742 persone, in aumento rispetto alle 1.298 dello stesso periodo del 2024. Il picco si è avuto il 20 gennaio (494 arrivi), mentre il comandante della polizia giudiziaria libica, Osama Njeem Almasri, si trovava nel carcere delle Vallette a Torino. Per contrastare i flussi irregolari è necessaria un’adeguata collaborazione tra Paesi da cui partono le imbarcazioni usate da scafisti e trafficanti di uomini, Libia e Tunisia in primis.
Come funziona adesso? Maschi, adulti, senza vulnerabilità, in buona salute e provenienti da Paesi sicuri che verranno soccorsi in acque territoriali italiane o sbarcheranno sulle nostre coste saranno trasferiti a bordo del Cassiopea, dove si svolgerà un primo screening sommario con una verifica delle loro condizioni. Il pattugliatore li porterà quindi nel porto di Schengjin, dove è stato allestito l’hotspot italiano. Poi si avvieranno le procedure di identificazione. Nella stessa giornata i richiedenti asilo saranno trasferiti nel vicino centro di Gjader, dove saranno trattenuti in attesa dell’esito delle loro domande.
Intanto sono 127 i migranti sbarcati ieri a Lampedusa, mentre venerdì ci sono stati 10 approdi, per un totale di 469 persone. Dopo i trasferimenti disposti dalla prefettura di Agrigento, il centro ospita 386 persone. Ieri sera sono stati spostati 290 migranti.
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L’ultimo caso violento a Brescia, dove un gruppo di stranieri ha accerchiato una volante durante un arresto, ferendo i tutori dell’ordine. A Vicenza un’operazione anti droga è finita con l’assalto da parte di due africani.Altri migranti imbarcati per l’Albania. Secondo trasferimento sulla Cassiopea, che porterà gli irregolari a Shengjin. Per ora a bordo in 11, tra egiziani e bengalesi. Oltre 450 sbarcati a Lampedusa in due giorni.Lo speciale contiene due articoli.Continuano le aggressioni alle forze dell’ordine, segno che il costante innalzamento dei toni sta mettendo sempre più alla prova la coesione sociale del Paese. A Torino, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, Enrico Aimi, membro laico del Csm, ha constatato come il capoluogo piemontese sia segnato da «manifestazioni violente», che hanno provocato numerosi feriti tra le forze dell’ordine, «cui va tutta la nostra solidarietà». «Se non si interviene in maniera determinata», continua, «rischiamo un ritorno agli anni di piombo». Ma Torino, ha anche osservato Aimi, «non è un caso isolato». Giovedì sera, nel corso di Dritto e rovescio (trasmissione condotta da Paolo Del Debbio su Rete 4), alcuni ragazzi immigrati e figli di seconda generazione, residenti a Milano, hanno sostenuto che, secondo loro, soltanto il 30% delle forze dell’ordine sarebbe «buono», mentre il restante 70% è «corrotto» (per alcuni addirittura il 100%). Convinzioni, come anche quella secondo cui i carabinieri avrebbero incentivi economici ad arrestare le persone, radicate dentro gli animi di tanti giovani, che vedono negli agenti - e nello Stato - il loro principale nemico. E che segnano il clima dentro cui si avvicendano le continue aggressioni di cui sono piene le pagine dei giornali. Le ultime due, in ordine cronologico, riguardano Brescia e Vicenza. Nella città lombarda, il fatto ha avuto luogo giovedì scorso nella zona della stazione ferroviaria, area ormai un po’ ovunque associata a disordini e pericolo. Due agenti di polizia, nel corso di alcuni controlli, hanno fermato due ragazzi per portarli in Questura al fine di condurre alcune verifiche e notificare una elezione di domicilio legata a una precedente vicenda giudiziaria. I due giovani, secondo le ricostruzioni, sarebbero saliti sulla volante senza opporre resistenza. Tuttavia, un gruppetto di amici (la cronaca locale parla di circa una ventina di minori) ha accerchiato i poliziotti nel tentativo di liberarli. Prima qualche insulto, poi è stata colpita la vettura e, infine, sono passati alle mani: un diciassettenne di origini tunisine ha provato a colpire un agente, atto da cui è originata una colluttazione per cui entrambi sono finiti a terra, terminata con l’arresto dell’aggressore. Determinante, in questo senso, l’intervento del collega, che ha provveduto ad ammanettarlo per renderlo inoffensivo. Poco dopo sono arrivati i rinforzi, prontamente chiamati dai poliziotti non appena capito che la situazione stava per precipitare. Al vedere le volanti arrivare, il gruppo di ragazzi si è disperso, ma gli agenti sono comunque riusciti a identificare una decina di essi. I due agenti che hanno subito l’aggressione sono poi finiti all’ospedale per farsi medicare qualche escoriazione, insieme anche al diciassettenne arrestato (che, una volta dimesso, è finito in carcere). A Vicenza, sempre giovedì, altri due agenti della polizia locale sono rimasti feriti in uno scontro con due cittadini stranieri. L’episodio ha avuto luogo intorno alle 17.30 in una zona, quella del Quadrilatero, che il Giornale di Vicenza definisce una delle «più calde della città». In quel momento, il Nucleo operativo speciale (Nos) e una pattuglia di servizi anti-degrado stavano effettuando controlli mirati contro il traffico di sostanze stupefacenti. Durante le verifiche, un uomo di origini africane avrebbe opposto resistenza, rifiutandosi di fornire i propri documenti. A quel punto, un altro connazionale sarebbe intervenuto in suo soccorso: da lì è partita la colluttazione. Per evitare conseguenze peggiori, nel parapiglia la polizia locale ha fatto ricorso allo spray al peperoncino, ma ciò non è stato bastato a impedire che i due agenti rimanessero feriti: uno è caduto e ha sbattuto la schiena, l’altro è comunque finito in ospedale, benché anch’egli in condizioni non gravi. Con l’intervento delle pattuglie di supporto, i due stranieri sono stati fermati e denunciati. Episodio, questo a Vicenza, che non giunge nuovo: basta fare una semplice ricerca sulla cronaca locale per trovare diversi titoli che denunciano l’ennesima aggressione alle forze dell’ordine. Due vicende, una in Lombardia l’altra in Veneto, che si inseriscono dunque in un clima sempre più deteriorato. E da cui poi nascono proposte come quella dello scudo penale, di cui probabilmente in un Paese normale non ci sarebbe la minima necessità. Tuttavia, questi sono di risultati di anni di immigrazione incontrollata: la distruzione del più elementare tessuto sociale, quello basato sul rispetto delle banali regole di civiltà e convivenza. Se nel lungo periodo l’obiettivo deve essere quello di ripristinarlo, anche attraverso la trasmissione di cultura ed educazione (ma quando qualcuno che non sia di sinistra prova a farlo, come nel caso del festival GiovaniAdulti di Torino - sostenuto dall’assessorato alle Politiche sociali della Regione Piemonte -, viene arbitrariamente accusato a reti unificate di fare l’evento «balilla»), nel breve chi si trova tutti i giorni a dover lavorare in un contesto simile - le forze dell’ordine - merita protezione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/brescia-agenti-aggrediti-da-maranza-2670996842.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altri-migranti-imbarcati-per-lalbania" data-post-id="2670996842" data-published-at="1737851698" data-use-pagination="False"> Altri migranti imbarcati per l’Albania Dopo oltre due mesi di stalli politici e giudiziari è ripresa l’operazione Albania. Stando a quanto si apprende, tra venerdì e ieri ci sarebbero state due operazioni di trasbordo di clandestini a bordo della Cassiopea, il pattugliatore della marina militare utilizzato per quello che sarà il terzo trasferimento di richiedenti asilo in Albania, dopo i primi due di ottobre e novembre scorsi. Nel momento in cui scriviamo, gli stranieri a bordo sono undici, bengalesi ed egiziani, mentre la nave continua a stazionare in acque internazionali a una ventina di miglia a sud di Lampedusa in attesa di caricare altre persone prima di dirigersi verso il porto di San Giovanni di Medua (Shengjin), nell’Albania settentrionale. Le precedenti volte che il governo aveva tentato di portare i clandestini nelle strutture albanesi deputate al rimpatrio, a ottobre e novembre scorsi, i giudici del tribunale di Roma avevano negato il fermo oltre l’Adriatico dei richiedenti asilo, dichiarando «Paesi non sicuri» quelli da cui quegli immigrati provenivano. Non solo, ne era nato un braccio di ferro tra le toghe e l’esecutivo, ma si era scatenata anche una vera e propria tempesta mediatica. Questa volta, però, pare che ci si possa attendere un esito diverso, poiché la decisione non spetterà più ai magistrati della sezione immigrazione, ma a quelli della Corte d’appello, come prevede la nuova norma entrata in vigore l’11 gennaio scorso. Il 19 dicembre c’è stata una sentenza della Cassazione che il governo ha valutato come «molto favorevole»: era stato riconosciuto al governo il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi provenga da Paesi designati come sicuri. I giudici non possono quindi sostituirsi al ministro degli Esteri; possono, al più, valutare se la designazione sia legittima ed eventualmente disapplicare il decreto sui Paesi sicuri. Caso per caso, cioè. Maggiori certezze potranno aversi in primavera, quando sarà la Corte europea di giustizia ad esprimersi in materia dei Paesi sicuri. L’iniziativa incassa intanto l’ok del commissario europeo per il Mediterraneo, la croata Dubravka Šuica, secondo cui l’accordo Italia-Albania «è una delle idee innovative che avrebbe potuto aiutare non solo l’Italia, ma anche altri Paesi». Quel che si sa, intanto, è che il piano Albania riparte e punta tutto sull’«effetto deterrenza», quello di cui ha sempre parlato il governo spiegando la ratio dell’accordo promosso con il premier albanese Edi Rama. Nei primi 24 giorni del 2025 sono sbarcate 1.742 persone, in aumento rispetto alle 1.298 dello stesso periodo del 2024. Il picco si è avuto il 20 gennaio (494 arrivi), mentre il comandante della polizia giudiziaria libica, Osama Njeem Almasri, si trovava nel carcere delle Vallette a Torino. Per contrastare i flussi irregolari è necessaria un’adeguata collaborazione tra Paesi da cui partono le imbarcazioni usate da scafisti e trafficanti di uomini, Libia e Tunisia in primis. Come funziona adesso? Maschi, adulti, senza vulnerabilità, in buona salute e provenienti da Paesi sicuri che verranno soccorsi in acque territoriali italiane o sbarcheranno sulle nostre coste saranno trasferiti a bordo del Cassiopea, dove si svolgerà un primo screening sommario con una verifica delle loro condizioni. Il pattugliatore li porterà quindi nel porto di Schengjin, dove è stato allestito l’hotspot italiano. Poi si avvieranno le procedure di identificazione. Nella stessa giornata i richiedenti asilo saranno trasferiti nel vicino centro di Gjader, dove saranno trattenuti in attesa dell’esito delle loro domande. Intanto sono 127 i migranti sbarcati ieri a Lampedusa, mentre venerdì ci sono stati 10 approdi, per un totale di 469 persone. Dopo i trasferimenti disposti dalla prefettura di Agrigento, il centro ospita 386 persone. Ieri sera sono stati spostati 290 migranti.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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