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2025-01-26
Polizia ancora in balia dei criminali: due agenti aggrediti da 20 maranza
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Continuano le aggressioni alle forze dell’ordine, segno che il costante innalzamento dei toni sta mettendo sempre più alla prova la coesione sociale del Paese. A Torino, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, Enrico Aimi, membro laico del Csm, ha constatato come il capoluogo piemontese sia segnato da «manifestazioni violente», che hanno provocato numerosi feriti tra le forze dell’ordine, «cui va tutta la nostra solidarietà». «Se non si interviene in maniera determinata», continua, «rischiamo un ritorno agli anni di piombo». Ma Torino, ha anche osservato Aimi, «non è un caso isolato».
Giovedì sera, nel corso di Dritto e rovescio (trasmissione condotta da Paolo Del Debbio su Rete 4), alcuni ragazzi immigrati e figli di seconda generazione, residenti a Milano, hanno sostenuto che, secondo loro, soltanto il 30% delle forze dell’ordine sarebbe «buono», mentre il restante 70% è «corrotto» (per alcuni addirittura il 100%). Convinzioni, come anche quella secondo cui i carabinieri avrebbero incentivi economici ad arrestare le persone, radicate dentro gli animi di tanti giovani, che vedono negli agenti - e nello Stato - il loro principale nemico. E che segnano il clima dentro cui si avvicendano le continue aggressioni di cui sono piene le pagine dei giornali. Le ultime due, in ordine cronologico, riguardano Brescia e Vicenza.
Nella città lombarda, il fatto ha avuto luogo giovedì scorso nella zona della stazione ferroviaria, area ormai un po’ ovunque associata a disordini e pericolo. Due agenti di polizia, nel corso di alcuni controlli, hanno fermato due ragazzi per portarli in Questura al fine di condurre alcune verifiche e notificare una elezione di domicilio legata a una precedente vicenda giudiziaria.
I due giovani, secondo le ricostruzioni, sarebbero saliti sulla volante senza opporre resistenza. Tuttavia, un gruppetto di amici (la cronaca locale parla di circa una ventina di minori) ha accerchiato i poliziotti nel tentativo di liberarli. Prima qualche insulto, poi è stata colpita la vettura e, infine, sono passati alle mani: un diciassettenne di origini tunisine ha provato a colpire un agente, atto da cui è originata una colluttazione per cui entrambi sono finiti a terra, terminata con l’arresto dell’aggressore. Determinante, in questo senso, l’intervento del collega, che ha provveduto ad ammanettarlo per renderlo inoffensivo.
Poco dopo sono arrivati i rinforzi, prontamente chiamati dai poliziotti non appena capito che la situazione stava per precipitare. Al vedere le volanti arrivare, il gruppo di ragazzi si è disperso, ma gli agenti sono comunque riusciti a identificare una decina di essi. I due agenti che hanno subito l’aggressione sono poi finiti all’ospedale per farsi medicare qualche escoriazione, insieme anche al diciassettenne arrestato (che, una volta dimesso, è finito in carcere).
A Vicenza, sempre giovedì, altri due agenti della polizia locale sono rimasti feriti in uno scontro con due cittadini stranieri. L’episodio ha avuto luogo intorno alle 17.30 in una zona, quella del Quadrilatero, che il Giornale di Vicenza definisce una delle «più calde della città». In quel momento, il Nucleo operativo speciale (Nos) e una pattuglia di servizi anti-degrado stavano effettuando controlli mirati contro il traffico di sostanze stupefacenti.
Durante le verifiche, un uomo di origini africane avrebbe opposto resistenza, rifiutandosi di fornire i propri documenti. A quel punto, un altro connazionale sarebbe intervenuto in suo soccorso: da lì è partita la colluttazione. Per evitare conseguenze peggiori, nel parapiglia la polizia locale ha fatto ricorso allo spray al peperoncino, ma ciò non è stato bastato a impedire che i due agenti rimanessero feriti: uno è caduto e ha sbattuto la schiena, l’altro è comunque finito in ospedale, benché anch’egli in condizioni non gravi. Con l’intervento delle pattuglie di supporto, i due stranieri sono stati fermati e denunciati. Episodio, questo a Vicenza, che non giunge nuovo: basta fare una semplice ricerca sulla cronaca locale per trovare diversi titoli che denunciano l’ennesima aggressione alle forze dell’ordine.
Due vicende, una in Lombardia l’altra in Veneto, che si inseriscono dunque in un clima sempre più deteriorato. E da cui poi nascono proposte come quella dello scudo penale, di cui probabilmente in un Paese normale non ci sarebbe la minima necessità.
Tuttavia, questi sono di risultati di anni di immigrazione incontrollata: la distruzione del più elementare tessuto sociale, quello basato sul rispetto delle banali regole di civiltà e convivenza. Se nel lungo periodo l’obiettivo deve essere quello di ripristinarlo, anche attraverso la trasmissione di cultura ed educazione (ma quando qualcuno che non sia di sinistra prova a farlo, come nel caso del festival GiovaniAdulti di Torino - sostenuto dall’assessorato alle Politiche sociali della Regione Piemonte -, viene arbitrariamente accusato a reti unificate di fare l’evento «balilla»), nel breve chi si trova tutti i giorni a dover lavorare in un contesto simile - le forze dell’ordine - merita protezione.
Altri migranti imbarcati per l’Albania
Dopo oltre due mesi di stalli politici e giudiziari è ripresa l’operazione Albania. Stando a quanto si apprende, tra venerdì e ieri ci sarebbero state due operazioni di trasbordo di clandestini a bordo della Cassiopea, il pattugliatore della marina militare utilizzato per quello che sarà il terzo trasferimento di richiedenti asilo in Albania, dopo i primi due di ottobre e novembre scorsi.
Nel momento in cui scriviamo, gli stranieri a bordo sono undici, bengalesi ed egiziani, mentre la nave continua a stazionare in acque internazionali a una ventina di miglia a sud di Lampedusa in attesa di caricare altre persone prima di dirigersi verso il porto di San Giovanni di Medua (Shengjin), nell’Albania settentrionale.
Le precedenti volte che il governo aveva tentato di portare i clandestini nelle strutture albanesi deputate al rimpatrio, a ottobre e novembre scorsi, i giudici del tribunale di Roma avevano negato il fermo oltre l’Adriatico dei richiedenti asilo, dichiarando «Paesi non sicuri» quelli da cui quegli immigrati provenivano. Non solo, ne era nato un braccio di ferro tra le toghe e l’esecutivo, ma si era scatenata anche una vera e propria tempesta mediatica.
Questa volta, però, pare che ci si possa attendere un esito diverso, poiché la decisione non spetterà più ai magistrati della sezione immigrazione, ma a quelli della Corte d’appello, come prevede la nuova norma entrata in vigore l’11 gennaio scorso. Il 19 dicembre c’è stata una sentenza della Cassazione che il governo ha valutato come «molto favorevole»: era stato riconosciuto al governo il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi provenga da Paesi designati come sicuri. I giudici non possono quindi sostituirsi al ministro degli Esteri; possono, al più, valutare se la designazione sia legittima ed eventualmente disapplicare il decreto sui Paesi sicuri. Caso per caso, cioè. Maggiori certezze potranno aversi in primavera, quando sarà la Corte europea di giustizia ad esprimersi in materia dei Paesi sicuri. L’iniziativa incassa intanto l’ok del commissario europeo per il Mediterraneo, la croata Dubravka Šuica, secondo cui l’accordo Italia-Albania «è una delle idee innovative che avrebbe potuto aiutare non solo l’Italia, ma anche altri Paesi». Quel che si sa, intanto, è che il piano Albania riparte e punta tutto sull’«effetto deterrenza», quello di cui ha sempre parlato il governo spiegando la ratio dell’accordo promosso con il premier albanese Edi Rama.
Nei primi 24 giorni del 2025 sono sbarcate 1.742 persone, in aumento rispetto alle 1.298 dello stesso periodo del 2024. Il picco si è avuto il 20 gennaio (494 arrivi), mentre il comandante della polizia giudiziaria libica, Osama Njeem Almasri, si trovava nel carcere delle Vallette a Torino. Per contrastare i flussi irregolari è necessaria un’adeguata collaborazione tra Paesi da cui partono le imbarcazioni usate da scafisti e trafficanti di uomini, Libia e Tunisia in primis.
Come funziona adesso? Maschi, adulti, senza vulnerabilità, in buona salute e provenienti da Paesi sicuri che verranno soccorsi in acque territoriali italiane o sbarcheranno sulle nostre coste saranno trasferiti a bordo del Cassiopea, dove si svolgerà un primo screening sommario con una verifica delle loro condizioni. Il pattugliatore li porterà quindi nel porto di Schengjin, dove è stato allestito l’hotspot italiano. Poi si avvieranno le procedure di identificazione. Nella stessa giornata i richiedenti asilo saranno trasferiti nel vicino centro di Gjader, dove saranno trattenuti in attesa dell’esito delle loro domande.
Intanto sono 127 i migranti sbarcati ieri a Lampedusa, mentre venerdì ci sono stati 10 approdi, per un totale di 469 persone. Dopo i trasferimenti disposti dalla prefettura di Agrigento, il centro ospita 386 persone. Ieri sera sono stati spostati 290 migranti.
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L’ultimo caso violento a Brescia, dove un gruppo di stranieri ha accerchiato una volante durante un arresto, ferendo i tutori dell’ordine. A Vicenza un’operazione anti droga è finita con l’assalto da parte di due africani.Altri migranti imbarcati per l’Albania. Secondo trasferimento sulla Cassiopea, che porterà gli irregolari a Shengjin. Per ora a bordo in 11, tra egiziani e bengalesi. Oltre 450 sbarcati a Lampedusa in due giorni.Lo speciale contiene due articoli.Continuano le aggressioni alle forze dell’ordine, segno che il costante innalzamento dei toni sta mettendo sempre più alla prova la coesione sociale del Paese. A Torino, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, Enrico Aimi, membro laico del Csm, ha constatato come il capoluogo piemontese sia segnato da «manifestazioni violente», che hanno provocato numerosi feriti tra le forze dell’ordine, «cui va tutta la nostra solidarietà». «Se non si interviene in maniera determinata», continua, «rischiamo un ritorno agli anni di piombo». Ma Torino, ha anche osservato Aimi, «non è un caso isolato». Giovedì sera, nel corso di Dritto e rovescio (trasmissione condotta da Paolo Del Debbio su Rete 4), alcuni ragazzi immigrati e figli di seconda generazione, residenti a Milano, hanno sostenuto che, secondo loro, soltanto il 30% delle forze dell’ordine sarebbe «buono», mentre il restante 70% è «corrotto» (per alcuni addirittura il 100%). Convinzioni, come anche quella secondo cui i carabinieri avrebbero incentivi economici ad arrestare le persone, radicate dentro gli animi di tanti giovani, che vedono negli agenti - e nello Stato - il loro principale nemico. E che segnano il clima dentro cui si avvicendano le continue aggressioni di cui sono piene le pagine dei giornali. Le ultime due, in ordine cronologico, riguardano Brescia e Vicenza. Nella città lombarda, il fatto ha avuto luogo giovedì scorso nella zona della stazione ferroviaria, area ormai un po’ ovunque associata a disordini e pericolo. Due agenti di polizia, nel corso di alcuni controlli, hanno fermato due ragazzi per portarli in Questura al fine di condurre alcune verifiche e notificare una elezione di domicilio legata a una precedente vicenda giudiziaria. I due giovani, secondo le ricostruzioni, sarebbero saliti sulla volante senza opporre resistenza. Tuttavia, un gruppetto di amici (la cronaca locale parla di circa una ventina di minori) ha accerchiato i poliziotti nel tentativo di liberarli. Prima qualche insulto, poi è stata colpita la vettura e, infine, sono passati alle mani: un diciassettenne di origini tunisine ha provato a colpire un agente, atto da cui è originata una colluttazione per cui entrambi sono finiti a terra, terminata con l’arresto dell’aggressore. Determinante, in questo senso, l’intervento del collega, che ha provveduto ad ammanettarlo per renderlo inoffensivo. Poco dopo sono arrivati i rinforzi, prontamente chiamati dai poliziotti non appena capito che la situazione stava per precipitare. Al vedere le volanti arrivare, il gruppo di ragazzi si è disperso, ma gli agenti sono comunque riusciti a identificare una decina di essi. I due agenti che hanno subito l’aggressione sono poi finiti all’ospedale per farsi medicare qualche escoriazione, insieme anche al diciassettenne arrestato (che, una volta dimesso, è finito in carcere). A Vicenza, sempre giovedì, altri due agenti della polizia locale sono rimasti feriti in uno scontro con due cittadini stranieri. L’episodio ha avuto luogo intorno alle 17.30 in una zona, quella del Quadrilatero, che il Giornale di Vicenza definisce una delle «più calde della città». In quel momento, il Nucleo operativo speciale (Nos) e una pattuglia di servizi anti-degrado stavano effettuando controlli mirati contro il traffico di sostanze stupefacenti. Durante le verifiche, un uomo di origini africane avrebbe opposto resistenza, rifiutandosi di fornire i propri documenti. A quel punto, un altro connazionale sarebbe intervenuto in suo soccorso: da lì è partita la colluttazione. Per evitare conseguenze peggiori, nel parapiglia la polizia locale ha fatto ricorso allo spray al peperoncino, ma ciò non è stato bastato a impedire che i due agenti rimanessero feriti: uno è caduto e ha sbattuto la schiena, l’altro è comunque finito in ospedale, benché anch’egli in condizioni non gravi. Con l’intervento delle pattuglie di supporto, i due stranieri sono stati fermati e denunciati. Episodio, questo a Vicenza, che non giunge nuovo: basta fare una semplice ricerca sulla cronaca locale per trovare diversi titoli che denunciano l’ennesima aggressione alle forze dell’ordine. Due vicende, una in Lombardia l’altra in Veneto, che si inseriscono dunque in un clima sempre più deteriorato. E da cui poi nascono proposte come quella dello scudo penale, di cui probabilmente in un Paese normale non ci sarebbe la minima necessità. Tuttavia, questi sono di risultati di anni di immigrazione incontrollata: la distruzione del più elementare tessuto sociale, quello basato sul rispetto delle banali regole di civiltà e convivenza. Se nel lungo periodo l’obiettivo deve essere quello di ripristinarlo, anche attraverso la trasmissione di cultura ed educazione (ma quando qualcuno che non sia di sinistra prova a farlo, come nel caso del festival GiovaniAdulti di Torino - sostenuto dall’assessorato alle Politiche sociali della Regione Piemonte -, viene arbitrariamente accusato a reti unificate di fare l’evento «balilla»), nel breve chi si trova tutti i giorni a dover lavorare in un contesto simile - le forze dell’ordine - merita protezione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/brescia-agenti-aggrediti-da-maranza-2670996842.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altri-migranti-imbarcati-per-lalbania" data-post-id="2670996842" data-published-at="1737851698" data-use-pagination="False"> Altri migranti imbarcati per l’Albania Dopo oltre due mesi di stalli politici e giudiziari è ripresa l’operazione Albania. Stando a quanto si apprende, tra venerdì e ieri ci sarebbero state due operazioni di trasbordo di clandestini a bordo della Cassiopea, il pattugliatore della marina militare utilizzato per quello che sarà il terzo trasferimento di richiedenti asilo in Albania, dopo i primi due di ottobre e novembre scorsi. Nel momento in cui scriviamo, gli stranieri a bordo sono undici, bengalesi ed egiziani, mentre la nave continua a stazionare in acque internazionali a una ventina di miglia a sud di Lampedusa in attesa di caricare altre persone prima di dirigersi verso il porto di San Giovanni di Medua (Shengjin), nell’Albania settentrionale. Le precedenti volte che il governo aveva tentato di portare i clandestini nelle strutture albanesi deputate al rimpatrio, a ottobre e novembre scorsi, i giudici del tribunale di Roma avevano negato il fermo oltre l’Adriatico dei richiedenti asilo, dichiarando «Paesi non sicuri» quelli da cui quegli immigrati provenivano. Non solo, ne era nato un braccio di ferro tra le toghe e l’esecutivo, ma si era scatenata anche una vera e propria tempesta mediatica. Questa volta, però, pare che ci si possa attendere un esito diverso, poiché la decisione non spetterà più ai magistrati della sezione immigrazione, ma a quelli della Corte d’appello, come prevede la nuova norma entrata in vigore l’11 gennaio scorso. Il 19 dicembre c’è stata una sentenza della Cassazione che il governo ha valutato come «molto favorevole»: era stato riconosciuto al governo il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi provenga da Paesi designati come sicuri. I giudici non possono quindi sostituirsi al ministro degli Esteri; possono, al più, valutare se la designazione sia legittima ed eventualmente disapplicare il decreto sui Paesi sicuri. Caso per caso, cioè. Maggiori certezze potranno aversi in primavera, quando sarà la Corte europea di giustizia ad esprimersi in materia dei Paesi sicuri. L’iniziativa incassa intanto l’ok del commissario europeo per il Mediterraneo, la croata Dubravka Šuica, secondo cui l’accordo Italia-Albania «è una delle idee innovative che avrebbe potuto aiutare non solo l’Italia, ma anche altri Paesi». Quel che si sa, intanto, è che il piano Albania riparte e punta tutto sull’«effetto deterrenza», quello di cui ha sempre parlato il governo spiegando la ratio dell’accordo promosso con il premier albanese Edi Rama. Nei primi 24 giorni del 2025 sono sbarcate 1.742 persone, in aumento rispetto alle 1.298 dello stesso periodo del 2024. Il picco si è avuto il 20 gennaio (494 arrivi), mentre il comandante della polizia giudiziaria libica, Osama Njeem Almasri, si trovava nel carcere delle Vallette a Torino. Per contrastare i flussi irregolari è necessaria un’adeguata collaborazione tra Paesi da cui partono le imbarcazioni usate da scafisti e trafficanti di uomini, Libia e Tunisia in primis. Come funziona adesso? Maschi, adulti, senza vulnerabilità, in buona salute e provenienti da Paesi sicuri che verranno soccorsi in acque territoriali italiane o sbarcheranno sulle nostre coste saranno trasferiti a bordo del Cassiopea, dove si svolgerà un primo screening sommario con una verifica delle loro condizioni. Il pattugliatore li porterà quindi nel porto di Schengjin, dove è stato allestito l’hotspot italiano. Poi si avvieranno le procedure di identificazione. Nella stessa giornata i richiedenti asilo saranno trasferiti nel vicino centro di Gjader, dove saranno trattenuti in attesa dell’esito delle loro domande. Intanto sono 127 i migranti sbarcati ieri a Lampedusa, mentre venerdì ci sono stati 10 approdi, per un totale di 469 persone. Dopo i trasferimenti disposti dalla prefettura di Agrigento, il centro ospita 386 persone. Ieri sera sono stati spostati 290 migranti.
MR. BRAINWASH, Banksy thrower, opera unica su carta, 2022
Contrariamente a quanto si possa pensare, la street art, così straordinariamente attuale e rivoluzionaria, affonda le sue radici negli albori della storia: si può dire che parta dalle incisioni rupestri (i graffiti primitivi sono temi ricorrenti in molti street artist contemporanei) e millenni dopo, passando per le pitture murali medievali, i murales politici del dopoguerra e il « muralismo » messicano di Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, approdi nella New York ( o meglio, nel suo sottosuolo…) di fine anni ’60, dove tag, firme e strani simboli si moltiplicano sui treni e sui muri delle metropolitane, espressione di quella nuova forma d’arte che prende il nome di writing, quell’arte urbana che è la «parente più prossima » della street art, meno simbolica e più figurativa.
E quando si parla di street art, il primo nome che viene in mente è in assoluto quello di Banksy, la figura più enigmatica della scena artistica contemporanea, che ha fatto del mistero la sua cifra espressiva. Banksy è «l‘ artista che non c’è » ma che lascia ovunque il segno del suo passaggio, con una comunicazione che si muove con intelligenza tra arte e media: i suoi profili social sono il primo canale di diffusione e le sue opere, spesso realizzate con stencil (una maschera normografica su cui viene applicata una vernice, così da ottenere un'immagine sullo spazio retrostante), sono interventi rapidi nello spazio urbano, capaci di coniugare arte e messaggio politico. Quella di Bansky è un’arte clandestina, quasi abusiva, fulminea, che compare dal nulla un po’ovunque, in primis sui grandi scenari di guerra, dal muro che divide Israele e Palestina ai palazzi bombardati in Ucraina. Le sue immagini, dall’iconica Balloon Girl (la ragazzina con un palloncino rosso a forma di cuore) ai soldati che disegnano il segno della pace, dai bambini con maschere antigas, alle ragazzine che abbracciano armi da guerra, sono ironiche e dissacranti, a volte disturbanti, ma lanciano sempre messaggi politici e chiare invettive contro i potenti del mondo.
Ed è proprio il misterioso artista (forse) di Bristol il fulcro della mostra a Conegliano, curata da Daniel Buso e organizzata da ARTIKA in collaborazione con Deodato Arte e la suggestiva cittadina veneta.
La Mostra, Keith Haring e Obey
Ricca di 80 opere, con focus sulla figura di Bansky ( particolarmente significativa la sua Kids on Guns, un'opera del 2013 che rappresenta due bambini stilizzati in cima a una montagna di armi, simbolo della lotta contro la violenza), la mostra si articola attorno a quattro grandi temi - ribellione, pacifismo, consumismo e critica al sistema – ed ospita, oltre all’enigmatico artista britannico, altri due guru della street art: Keith Haring e Shepard Fairey, in arte Obey.
Convinto che «l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare» Haring (morto prematuramente nel 1990, a soli 32 anni, stroncato dall’AIDS) ha creato un nuovo linguaggio comunicativo caratterizzato da tematiche legate alla politica e alla società, facendo degli omini stilizzati e del segno grafico nero i suoi tratti distintivi; Fairey, in arte Obey, attualmente uno degli street artist più importanti ( e discussi) al mondo, si è fin da subito reso conto di come la società in cui è nato e cresciuto lo abbia condotto all’obbedienza senza che lui se ne rendesse conto: da qui la scelta di chiamarsi Obey , che significa obbedire.
Bansky, Haring , Obey, praticamente la storia della street art racchiusa in una mostra che non è solo un'esposizione di opere d'arte, ma anche un'occasione per riflettere sulle contraddizioni di questo oramai popolarissimo movimento artistico e sul suo ruolo nella società contemporanea. Alla domanda se un’arte nata per contestare il sistema possa oggi essere esposta nei musei, venduta all’asta e diventare oggetto di mercato, non vengono offerte risposte, ma contributi per stimolare una riflessione personale in ogni visitatore. Perché, in fondo, anche questa è la forza della Street Art: porre questioni più che dare certezze...
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Da sx in alto: americani della 92ª Divisione, alpini della Divisione «Monterosa», paracadutisti tedeschi e la frazione di Sommocolonia oggi. Garfagnana, 26 dicembre 1944
La battaglia della Garfagnana, nota come Operazione «Wintergewitter» (tempesta invernale) fu l’ultima controffensiva delle forze dell’Asse sul fronte italiano. Iniziò la notte tra Natale e Santo Stefano del 1944 per terminare tre giorni più tardi. L’obiettivo, pur presentando scarse se non nulle possibilità di raggiungerlo, era quello di arrestare l’avanzata alleata lungo il fronte della linea Gotica allora in stallo per l’inverno rallentando l’avanzata degli angloamericani che puntavano verso Bologna e la Pianura Padana. Il teatro delle operazioni fu la valle del Serchio nella Garfagnana, in provincia di Lucca, dove gli americani del 92° Infantry Regiment, i famosi «Buffalo Soldiers» a maggioranza afroamericana, si erano acquartierati nei giorni precedenti al Natale, ritenendo le ostilità in pausa. L’effetto sorpresa era proprio il punto cardine dell’operazione pianificata dal comando tedesco guidato dal generale Otto Fretter-Pico. Le forze dell’Asse consistevano sostanzialmente di reparti da montagna, i «Gebirgsjaeger» tedeschi e gli alpini italiani della Divisione «Monterosa», uno dei primi reparti addestrati in Germania dopo la nascita della Repubblica Sociale. L’attacco fu fissato per la mezzanotte, tra il 25 e il 26 dicembre e procedette speditamente. I reparti speciali tedeschi e gli alpini iniziarono una manovra di accerchiamento da Montebono per Bobbio, Tiglio e Pian di Coreglia, mentre un reparto leggero prendeva in poche ore Sommocolonia. Contemporaneamente tutti i reparti si muovono, compreso un nucleo del Battaglione «San Marco», che in poco tempo occupava Molazzana. Entro la sera di Santo Stefano la linea dei Buffalo Soldiers era sfondata, mentre i reparti americani arretravano in massa. I prigionieri erano circa 250, mentre numerose armi e munizioni venivano requisite. Anche vettovaglie e generi di conforto cadevano nelle mani degli attaccanti.
Gli americani praticamente non reagirono, ma si spostarono in massa verso la linea difensiva di Bagni di Lucca. Per un breve tempo sembrò (soprattutto agli italiani, mentre i tedeschi sembravano paghi della riuscita sorpresa) che il fronte potesse cedere fino in Versilia e verso Livorno. L’ordine di Fretter-Pico di arrestare l’avanzata fu una doccia fredda. Le ragioni dell'arresto risiedevano principalmente nella difficoltà di mantenere le posizioni, la scarsità ormai cronica di uomini e munizioni (c’era solo l’artiglieria, nessun carro armato e soprattutto nessun supporto dall’Aviazione, praticamente sparita dai cieli del Nord Italia). Gli americani invece avevano il dominio assoluto del cielo, con i cacciabombardieri che potevano decollare dai vicini aeroporti della Toscana occupata, come quelli di Grosseto e Rosignano. Tra il 27 e il 30 dicembre 1944 i P-47 Thunderbolt dell’Usaf bombardarono a tappeto, mietendo vittime soprattutto tra la popolazione civile. La linea difensiva dell’Asse ritornò nei giorni successivi alle posizioni di partenza, mentre il fronte si assestava fino all’inizio del febbraio 1945 quando gli alleati lanciarono l’operazione «Fourth Term», che portò in pochi giorni alla conquista della Garfagnana. Durante l’operazione «Wintergewitter» lo scontro più violento si verificò nell’abitato di Sommocolonia dove la guarnigione americana perse quasi tutti gli uomini, compreso il proprio comandante tenente John R. Fox che, vistosi ormai circondato dai tedeschi, chiese all’artiglieria della 92ª di sparare sull’abitato nel tentativo disperato di rallentare l’attacco a sorpresa. Morì sotto le macerie della sua postazione e solamente nel 1997 fu insignito della medaglia d’onore.
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Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
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Secondo i calcoli di Facile.it, il 2025 si chiuderà con un calo di circa 50 euro per la rata mensile di un mutuo variabile standard, scesa da 666 euro di inizio anno a circa 617 euro. Un movimento coerente con il progressivo rientro delle componenti di costo indicizzate (Euribor) e con l’aspettativa di stabilizzazione di breve periodo.
Sul versante dei mutui a tasso fisso, il 2025 è stato invece caratterizzato da un lieve aumento dei costi per i nuovi mutuatari, in larga parte legato alla risalita dell’indice IRS (il riferimento tipico per i fissi). A gennaio 2025 l’IRS a 25 anni è stato in media pari a 2,4%; nell’ultimo mese è arrivato al 3,1%. L’effetto, almeno parziale, si è trasferito sulle nuove offerte: per un finanziamento standard la rata risulta oggi più alta di circa 40 euro rispetto a inizio anno.
«Il 2025 è stato un anno positivo sul fronte dei tassi dei mutui: i variabili sono scesi a seguito dei tagli della Bce, mentre i fissi, seppur in lieve aumento, offrono comunque buone condizioni per chi vuole tutelarsi da possibili futuri aumenti di rata. Oggi, quindi, l’aspirante mutuatario può godere di un’ampia offerta di soluzioni: scegliere il tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», spiegano gli esperti di Facile.it
Guardando in avanti, un’indicazione operativa sui variabili arriva dai Futures sugli Euribor (aggiornati al 10 dicembre 2025): per il 2026 non vengono prezzate grandi variazioni. L’Euribor a 3 mesi, oggi sotto il 2,1%, è atteso su livelli simili anche nel prossimo anno.
«In questo momento il mercato non prevede ulteriori tagli da parte della BCE nel 2026 e al netto di qualche piccola oscillazione al rialzo verso fine anno, nei prossimi 12 mesi le rate dovrebbero rimanere tendenzialmente stabili», continuano gli esperti di Facile.it
Lo snodo resta l’inflazione: se dovesse tornare ad accelerare, non si potrebbero escludere nuove mosse restrittive della Bce, con un impatto immediato sugli indici e quindi sulle rate dei variabili. Più difficile, invece, «leggere» i fissi: finché i rendimenti dei titoli europei resteranno in salita, è complicato immaginare una traiettoria diversa per gli Irs e, a cascata, per i mutui collegati.
Per chi deve scegliere adesso, lo scenario è nettamente diverso rispetto a inizio anno. Nel 2025, il tasso variabile è tornato mediamente più conveniente. Secondo l’analisi** di Facile.it sulle migliori offerte online, per un mutuo da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%) i variabili partono da un TAN del 2,54%, con rata di 554,5 euro. A parità di profilo, i fissi partono da un TAN del 3,10%, con rata di 604 euro: circa 50 euro in più al mese.
«Scegliere oggi un tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», concludono gli esperti di Facile.it.
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