Dopo il crollo del 5 agosto, il Nikkei è risalito: ora è a sei punti dai massimi storici. Il Paese beneficia di riforme che aumentano la redditività delle imprese e di prezzi convenienti. Però pesa la dipendenza dai capitali esteri.
Dopo il crollo del 5 agosto, il Nikkei è risalito: ora è a sei punti dai massimi storici. Il Paese beneficia di riforme che aumentano la redditività delle imprese e di prezzi convenienti. Però pesa la dipendenza dai capitali esteri.Il mercato azionario giapponese ha vissuto negli ultimi anni una fase di forte ripresa dopo decenni di stallo. Questa «rinascita» ha attirato l’attenzione degli investitori globali, ma la volatilità di agosto, con il crollo record dell’indice Nikkei, ha messo in luce come nel breve termine possano esplodere alcune fragilità legate a fattori sia endogeni sia esogeni. L’exploit del mercato azionario giapponese è stato alimentato negli ultimi anni da diversi fattori, tra cui la debolezza dello yen. La svalutazione della valuta nipponica, pari a quasi il 40% in cinque anni, ha reso le esportazioni più competitive e ha gonfiato gli utili delle multinazionali quotate. Tuttavia, questa politica ha messo a dura prova gli investitori obbligazionari, che in passato consideravano lo yen un porto sicuro. Il 5 agosto l’indice Nikkei ha subito il crollo più significativo dal 1987, con un calo del 12,4%. «La frenesia di vendite è stata innescata da deludenti dati economici statunitensi e soprattutto dall’impennata dello yen, alimentando timori di un rallentamento globale. Questo evento ha evidenziato la dipendenza del Giappone dai flussi di capitale esteri e la vulnerabilità del mercato azionario alle dinamiche di carry trade, pratica speculativa che consiste nel prendere a prestito del denaro in Paesi con tassi di interesse più bassi, per cambiarlo in valuta di Paesi con un rendimento degli investimenti maggiore», spiega Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert scf.A ogni modo, nonostante la turbolenza, il mercato azionario giapponese ha mostrato una certa resilienza, recuperando parte delle perdite nelle settimane successive. L’indice Nikkei è ora scambiato sopra circa il 15% dai minimi e a circa il 6% dai massimi storici. In particolare, l’indice di riferimento Nikkei ha guadagnato il 41% nell’ultimo quinquennio (e circa il 100% se si fosse investito sull’azionario giapponese coprendo il rischio cambio) grazie all’entusiasmo per le riforme aziendali. A marzo del 2024 la Borsa giapponese aveva superato il massimo storico di quota 40.000 per la prima volta nella sua storia, ponendo fine al mercato ribassista durato quasi due decenni e iniziato a quota 39.000 quando scoppiò la bolla nel dicembre 1989.Fra gli investitori eccellenti che avevano puntato sul Giappone c’era anche Warren Buffett che nell’estate del 2020 aveva scommesso in particolare su diverse società giapponesi. Tra i fattori che hanno sostenuto la ripresa azionaria «made in Japan» ci sono le riforme aziendali dal governo d Shinzo Abe che hanno portato a una maggiore efficienza e redditività delle imprese, con un conseguente aumento dei dividendi e dei programmi di buyback. Vanno poi notate le valutazioni interessanti delle società quotate. Nonostante la ripresa, le azioni giapponesi continuano a essere scambiate a multipli inferiori rispetto ad altri mercati sviluppati. Inoltre, non va dimenticata la forza dei settori chiave come quello automobilistico e dell’Intelligenza artificiale, che continuano a registrare solidi risultati, sostenuti anche dalla debolezza dello yen.
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