2018-04-11
Il deputato leghista Claudio Borghi sgomina una banda di falsari
L'economista ascoltato da Matteo Salvini si è insospettito per l'inflazione di opere Volumi dell'artista Dadamaino e ha avvisato i carabinieri. Così sono stati fermati dei professionisti che smerciavano tarocchi, con quotazioni che oscillavano tra 30.000 e 100.000 euro.Non poteva che essere un'inchiesta dadaista. Piena di quadri falsi, di certificazioni volatili, di collezionisti truffati, di soldi veri sborsati dagli allocchi (circa 20 milioni di euro) e di buchi, in quanto le opere tarocche rappresentano i Volumi di Dadamaino, la sublime signora dell'astrattismo lombardo degli anni Cinquanta e Sessanta che all'anagrafe di Milano, ma solo lì, era conosciuta come Edoarda Emilia Maino. Un'artista trascinante e alternativa, che dopo aver conosciuto Lucio Fontana smise di dipingere vasi di fiori da tinello ed entrò nella storia dell'arte con i Volumi, una serie di idropitture su tele monocrome caratterizzate da squarci ovoidali nei quali intravedere «la fine del pittore e dei suoi strumenti». La vera parola fine sull'epoca l'avrebbe messa Piero Manzoni con la sua Merde d'artiste.Buchi, tanti buchi, troppi buchi si aggiravano per il mercato. Per i collezionisti che fino al 2010 avevano fatto una fatica improba a recuperare opere di Dadamaino, improvvisamente fu come entrare tutti i giorni in pasticceria. Non c'era rassegna che non proponesse dei Volumi; non c'era galleria che non fosse in grado di trovarne di nuovi. E questa improvvisa inflazione di tele dell'artista morta nel 2004 (i carabinieri ne hanno recuperate 90 di troppo su 456 accertate) determinò un imponente ritorno di fiamma: gallerie di New York, Londra e Parigi ricominciarono a esporre, i clienti a comprare e il fenomeno portò alle stelle i valori. Le aste battevano i buchi fino a 60.000 euro l'uno e c'era la corsa a prenderli.Tutto questo fino a quando, nel 2014, uno Sherlock Holmes del collezionismo non ha dato la dritta giusta al Nucleo tutela del patrimonio culturale dei carabinieri di Monza, che ha aperto un'inchiesta durata quattro anni e sfociata una settimana fa in 12 denunce per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di opere d'arte nei confronti di addetti ed esperti, capitanati dal professor Flaminio Gualdoni, critico d'arte, già direttore scientifico dell'archivio dell'artista a Somma Lombardo in provincia di Varese. L'esperto è accusato di aver fornito la certificazione di autenticità dei falsi. L'uomo che ha dato l'input ai carabinieri, evidentemente mosso dall'idiosincrasia professionale per l'esagerata inflazione, è Claudio Borghi Aquilini, economista, parlamentare, responsabile economico della Lega. Dai buchi di bilancio a quelli nella tela, chi l'avrebbe mai detto? «In realtà avrebbe potuto arrivarci chiunque. I movimenti di quei quadri sul mercato erano clamorosi», spiega Borghi Aquilini. «Il primo a sospettare qualcosa fu un mio amico, l'avvocato Luca Dezzani, compagno di scorribande artistiche nel periodo dell'astrattismo informale. Quando si va per aste, si ama quel mondo e un po' lo si conosce, non è difficile cogliere strane derive. La mia passione è nota, faccio l'economista per vivere e il collezionista per piacere».Borghi Aquilini ha un astratto di Manlio Rho sul profilo Twitter e un autoritratto al posto del volto di Alessandro Volta nel biglietto da 10.000 lire in quello Facebook. Collezionista o economista che teorizza il ritorno alla lira, dipende dai momenti. Ma qui c'era una truffa da smascherare. «Era impossibile tacere, improvvisamente hanno cominciato a piovere buchi di Dadamaino. Avevo molte perplessità. Le avevo anche esternate nelle conversazioni dei forum su Finanza online, prendendomi rimbrotti e qualche insulto da parte di acquirenti felici e di rappresentanti del mondo dell'arte. In questi casi sono le proporzioni a fare la differenza: se i falsari avessero immesso sul mercato dieci Volumi non se ne sarebbe accorto nessuno, ma quasi 500 non ha senso, gli è scappata la mano. Ogni poco arrivava la telefonata di un amico eccitato: ma lo sai che mi hanno proposto un affare, un Dadamaino? E io a mettermi le mani nei capelli».L'Edoarda, donna fuori dagli schemi, avrebbe sorriso davanti allo scandalo. Laureata in medicina senza mai esercitare, al centro del mondo artistico della Milano che si ritrovava nel quartiere di Brera al bar Giamaica, ancora oggi rappresenta un punto di riferimento di quell'astrattismo meraviglioso, essenziale, che discende dal razionalismo architettonico nato sulle rive del lago di Como.Messi sulla strada giusta, i carabinieri della squadra del maggiore Francesco Provenza hanno lavorato sotto traccia a lungo prima di tirare in secca la rete. A rimanere impigliati, professionisti stimati, nomi noti fra Ivrea e Lodi, fra Novara e Bergamo. Tutti denunciati con l'aggravante della transnazionalità perché le opere venivano smerciate all'estero. Mancano gli autori materiali dei falsi, ma l'Arma non dispera di dare loro un nome. Tra gli imputati ci sono anche il presidente di una importante fondazione culturale e i tre titolari di una galleria di Gorgonzola, nel Milanese, che avrebbe immesso sul mercato le opere false vendendole, e che nel frattempo è finita in liquidazione. I buchi tarocchi venivano valutati in media dai 30.000 ai 60.000 euro con punte di 100.000 alle aste più eccitate. Tutti accompagnati da certificazioni fasulle, che inducevano i collezionisti meno esperti ad aprire il portafoglio con fiducia.«C'erano autentici luminari che difendevano a spada tratta l'autenticità di queste opere», ricorda Borghi Aquilini con una punta di indignazione. «E case d'asta di prestigio che le mettevano nei lotti senza problemi, nascondendosi dietro l'autentica da parte dell'Archivio ufficiale dell'artista. La vergogna più grande era vedere le gallerie più quotate al mondo esporre i quadri e proporli senza alcuna regola di prudenza e consapevolezza». Li presentavano come buchi d'autore e invece erano buchi nell'acqua.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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