2020-05-10
Bonafede e il «sistema Potenza» al ministero
Molti dei fedelissimi del Guardasigilli provengono dai tribunali lucani. Oltre a Francesco Basentini, preferito a Nino Di Matteo per il Dap, anche il vice capo di gabinetto Leonardo Pucci, che all'università di Firenze frequentava sia il grillino sia il futuro premier Giuseppe Conte.C'è stato un momento ben preciso in cui il distretto della Corte d'appello di Potenza aveva un certo peso specifico nel mondo della giustizia. Per una congiuntura astrale ancora più di una toga potentina si è trovata a lavorare a stretto contatto con il ministro Alfonso Bonafede. Oltre all'ex procuratore aggiunto Francesco Basentini, preferito al Dap al posto di Nino Di Matteo e dimessosi dopo le polemiche sulle rivolte nelle carceri e sulle scarcerazioni dei boss, è partito per Roma a settembre 2018 anche Gerardo Salvia, classe 1977, all'epoca pm a Potenza, a disposizione del ministro che lo aveva ricollocato nel suo gabinetto. È rimasto lì fino al 15 gennaio scorso, per rientrare in Procura a Potenza, questa volta con delega antimafia e antiterrorismo. Negli uffici di via Arenula ci sono anche un altro paio di toghe passate da Potenza. Mariangela Magariello ebbe una piccola parte ai tempi degli scontri tra la Procura di Salerno, che indagava su quella di Catanzaro, che a sua volta indagava su quella di Potenza. Correva l'anno 2007 e la giovanissima Magariello, da pm potentino, si ritrovò a testimoniare su più di una questione che aveva vissuto in quello che all'epoca veniva descritto come un distretto giudiziario melmoso e paludato. E poi c'è Gemma Tuccillo, ex presidente del Tribunale per i minorenni di Potenza. È capo dipartimento per la giustizia minorile, ma dal 2017 (il guardasigilli era Andrea Orlando). Il vice della Tuccillo è Claudio Scorza, anche lui passato per il distretto di Potenza: era il presidente del collegio penale di Lagonegro ai tempi del processo in cui rimase incagliato l'ufficiale delle Fiamme gialle che indagò sul cardinale di Napoli Michele Giordano. A gennaio 2020, mentre aveva un incarico in Corte d'appello a Firenze, è approdato anche lui al ministero della Giustizia. Da Firenze proviene anche uno dei giudici a cui Il Fatto Quotidiano sembra attribuire un ruolo di primo piano nelle relazioni tra l'ambiente giudiziario potentino e il Guardasigilli: Leonardo Pucci, classe 1977 come Salvia. Pucci, fiorentino, al momento della «chiamata» di Bonafede era al Tribunale di Arezzo, dove si era trasferito da Potenza. Con Basentini aveva stretto molto. Il primo magistrato antimafia, lui giudice del lavoro. Al bar del Palazzo di giustizia erano spesso insieme. Nelle pause pranzo. E anche nelle uscite serali. Pucci è coetaneo anche di Bonafede (lui è del 1977, il ministro del 1976). «I due», secondo La Nazione, «si conoscono dai tempi dell'università, quando è nata una consuetudine anche con l'attuale premier Giuseppe Conte, che nella facoltà di legge di Firenze insegnava diritto civile». Pucci, insomma, sarebbe stato assistente volontario di Giuseppi all'università. Poi si è ritrovato ai vertici della Giustizia: vice capo di gabinetto. «Conosco bene Basentini ma non sono stato il suo sponsor», commenta Pucci. Nella polemica di questi giorni gli è stato attribuito il ruolo di consigliori di Bonafede nella retromarcia su Di Matteo. Pucci, però, smentisce: «Non ci sono state sponsorizzazioni, che io sappia. Né per uno né per gli altri». Ma al centro del triangolo tra Pucci e Basentini c'è anche un altro magistrato, che sulla stampa passa per essere un amico di entrambi: Luigi Spina, membro del Csm che si è dimesso per l'inchiesta su Luca Palamara. Di certo i tre hanno in comune la stessa corrente: Unicost. Sarà anche per questo che Di Matteo, indipendente ma candidato al Csm dalla corrente di Piercamillo Davigo, ha sparato alzo zero negli ultimi giorni. E proprio dall'inchiesta su Palamara filtra un'intercettazione di Spina nei giorni più caldi, quelli durante i quali gli indagati parlano di un esposto contro l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Spina deve incontrare Palamara e, emerge dalle intercettazioni, gli mette fretta perché poi dovrà andare a cena con Basentini. Ma Spina, è la ricostruzione dei pm di Perugia, è anche colui che dovrà agganciare i laici del M5s al Csm. L'altro snodo di questa storia, infatti, passa all'interno dei 5 stelle. Prima delle elezioni regionali in Basilicata, il candidato pentastellato alla presidenza della Regione Antonio Mattia lancia una bomba: «Se vinciamo l'assessore alla Sanità sarà un magistrato». Poi i 5 stelle usciranno dalle urne con le ossa rotte e il nome del magistrato è rimasto nel cassetto. Ma il toto magistrato che si era innescato sulla stampa non ha fatto del bene all'immagine della magistratura del distretto. Il leader lucano dei Radicali Maurizio Bolognetti, da anni in prima linea nella denuncia sulle commistioni tra magistrati e politici, ne ha fatto una delle sue battaglie. Siccome i 5 stelle il nome della toga non lo tiravano fuori, l'ha chiesto alla Corte d'appello (ma ha mandato ben tre esposti anche al Csm). La risposta, arrivata durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, è stata che un nome non c'era. A quel punto il radicale ha dato del bugiardo a Mattia, nel frattempo diventato un facilitatore. «Ma nel merito non mi ha mai risposto», spiega ora alla Verità Bolognetti, che si chiede ancora come siano andate davvero le cose.