2019-04-28
Bombe, proiettili e incendi. Viaggio nelle violenze anti Carroccio
Da quando Matteo Salvini è ministro, centinaia di raid e intimidazioni ai danni di sedi e eletti Il solo vicepremier è stato oggetto di 227 episodi: dagli insulti, alle minacce di morte.Nel giorno in cui si potrà avere accesso alle intercettazioni della discordia, il premier convocherà il sottosegretario Armando Siri. Che però i grillini, all'epoca del no a Paolo Savona, proposero al Colle per il Mef.Bozza di riforma: presidenti e consigli eletti. Luigi Di Maio: «Idea leghista, no ai poltronifici»Lo speciale contiene tre articoli.«Tanti nemici, molto onore». Chi l'ha detto? Il condottiero tedesco Georg von Frundsberg oppure l'imperatore romano Giulio Cesare? Disputa ancora aperta. Comunque sia: la massima ben si attaglia al ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Che difatti, mesi fa, aveva lestamente fatto suo il motto. Incorrendo, però, nelle funeste ire di chi attribuiva la frase a Benito Mussolini. Polemiche bagatellari. È indubbio che ormai i nemici di Salvini rischino di eguagliare il suo onore. Le ire funeste contro il leader della Lega hanno raggiunto vette inesplorate. Così, dopo dieci mesi vissuti pericolosamente, il Viminale ha tirato le somme di quest'ondata di malevolenza. Il vicepremier ha collezionato 227 intimidazioni e vandalismi, di vario ordine e grado. In pratica, quasi ogni giorno di governo ha portato con sé una pena. Lettere minatorie, missive ornate di cartucce, telefonate d'insulti, scritte ingiuriose, provocatorie incursioni. Episodi spesso seguiti da denunce: 70 solo nell'ultimo anno. A cui vanno sommati, ancora da giugno 2018 a oggi, i 138 atti intimidatori contro politici leghisti. Nonché i 38 danneggiamenti di sedi del Carroccio. Come la bomba carta esplosa il 6 gennaio 2019 a San Valentino Torio, in provincia di Salerno, per cui sono indagati due marocchini. O l'ordigno artigianale scoppiato, due settimane dopo, davanti alla saracinesca degli uffici di Milano. E le bottiglie incendiarie lanciate nell'ultima settimana: prima contro il cancello di un circolo romano e, due giorni fa, sulla serranda della sede di Casoria, nel napoletano. Il bersaglio grosso, negli ultimi dieci mesi, è stato però indubitabilmente lui: Matteo Salvini. E vista l'abbondanza, ci limiteremo a segnalare le squisitezze più salienti dell'anno corrente. Indossiamo l'elmetto. E cominciamo dalla sequela di improperi che imbrattano le nostre città. Si parte da Milano, gennaio 2019. Sul muro di una farmacia del centro, il prode vicepremier è ritratto in divisa da gerarca nazista. Sotto, l'eloquente didascalia: «Salvini fascista». Un grande classico di questi tempi. Pochi giorni dopo, un gruppo di anarchici, indispettito per l'arresto del terrorista Cesare Battisti, opportunamente segnala: «Battisti uomo in manette. Salvini merda in divisa». Ultra legalitario motto seguito dalla A cerchiata: indimenticabile sigla degli anarchici. Alla stessa ineffabile sintesi giungono gli ignoti che, una settimana più tardi, adornano Parma con l'inebriante rima: «Ma quale caso Battisti? Salvini e Di Maio veri terroristi». E, del resto, come non solidarizzare con un pluriomicida? Ancora a Milano, il 19 gennaio 2019, alla stazione Bovisa è invece vergata dai centri sociali una mega scritta contro il 41 bis. Ovvero: il carcere duro. Stavolta il vicepremier diventa «uno sciacallo». Dozzinale. Così come quel «vigliacco» scelto a Lecco. Abusato. O lo «scemo» apparso a Bari. Stantio. E poi «morto», «appeso», «bimbominkia», «boia», «infame». Ogni città, un'ingiuria. Vuoi mettere però con il gioco di parole ideato a Brescia? A corredo di un manifesto che ritrae il ministro, abbigliato con l'amata giubba della polizia, ecco il sontuoso calembour: «La bestia dell'Interno».In molti altri casi, segnala il Viminale, i ribaldi non si sono però limitati all'ignota delazione. E sono passati all'azione. Vedi la trentina di attivisti dei centri sociali andati in scena a Napoli, a fine gennaio, durante una riunione della scuola di formazione politica della Lega. Proteste, slogan, striscioni. Diversivo, in nome dell'evocata democrazia, durato un'oretta. A Trento, qualche giorno dopo, è stato il turno di un collettivo universitario, indispettito per il decreto sicurezza. A Giulianova e dintorni, invece, è salito in cattedra il mai domo movimento anarco-insurrezionalista. L'occorrenza, del resto, era imperdibile: Salvini che arriva in terra d'Abruzzo. Così, durante incontri e comizi, gli irriducibili si sono adoperati: contestazioni, insulti e lanci di uova. Una calorosa accoglienza che ha inspiegabilmente indispettito sia la Digos che i carabinieri. Risultato: nove persone, nell'orbita della locale sinistra antagonista, sono state denunciate. Nessuno però ha eguagliato il festoso benvenuto riservato al vicepremier, due mesi orsono, in occasione della sua vista ai cantieri della Tav. Un centinaio di baldi sovversivi: militanti del centro sociale Askatasuna, movimentisti contrari all'opera e anarchici. Tutti insieme, per un roccioso presidio di dissenso. Finito con tafferugli tra polizia e manifestanti. Mentre a Taranto, ancora lo scorso febbraio, una quarantina di antagonisti si sono limitati a scandire, al cospetto del leader leghista, usuali invettive antigovernative.Infine, non poteva mancare la Resistenza. A Potenza, alcuni simpatizzanti di Potere al popolo, intonano a più riprese Bella ciao, mentre Salvini è sul palco. Vengono denunciati per vilipendio e aver turbato un comizio elettorale. Fino ad arrivare al 25 aprile. Quando a Reggio Calabria, durante i festeggiamenti dell'anniversario della Liberazione, viene esposto lo striscione «Fermiamo Mussalvini». E qui, di fronte all'arguta crasi, non resta che inchinarsi. Ma è solo l'ultima prodezza. Un insulto via l'altro, il ministro dell'Interno ha già totalizzato 227 episodi, tra intimidazioni e vandalismi. Un record inespugnabile nella storia politica italiana. E l'avvilente conta è destinata a proseguire. Intanto, l'atroce sospetto avanza: non è che, alla fine, tutto questo livore finisca per favorire l'odiatissimo Salvini? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bombe-proiettili-e-incendi-viaggio-dentro-10-mesi-di-violenze-contro-la-lega-2635717133.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="domani-e-il-giorno-x-per-il-caso-siri-e-il-m5s-si-dimentica-che-lo-candido" data-post-id="2635717133" data-published-at="1758064544" data-use-pagination="False"> Domani è il giorno X per il caso Siri. E il M5s si dimentica che lo candidò... Ancora 24 ore, al massimo 48, e il tormentone Siri si chiuderà. Tra domani e dopodomani sono in programma l'incontro tra il premier Giuseppe Conte e il sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione, e un Consiglio dei ministri che potrebbe essere infuocato. Intanto, ieri, Conte ha colloquiato da par suo con Corriere della Sera, Repubblica e Stampa: «La fiducia», dice Conte a proposito di Siri, «è questo il tema. Soprattutto in base a questo deciderò. Se la mia determinazione andrà nella direzione delle dimissioni, troverò il modo di scollarlo dalla poltrona. È comprensibile che Salvini difenda Siri, e anche la posizione di Di Maio è fisiologica». Risoluto, determinato, Conte affila lo sguardo che non perdona: «In passato», riflette il premier, «c'è stato qualcuno che ha chiesto le dimissioni via telefono. Io, qualunque decisione prenderò, voglio prima guardarlo negli occhi». Per la prima volta, anche Conte tira in ballo la mafia: «Delle carte», sottolinea Conte, «ho visto poco, solo qualcosa. Vedrò cosa mi verrà portato, ascolterò le spiegazioni che mi verranno fornite. Certamente lo sfondo della mafia è un elemento di cui terrò conto». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, alla Stampa dice la sua sull'assunzione da parte sua di Federico Arata, figlio dell' imprenditore Paolo Arata, indagato per corruzione assieme al sottosegretario Armando Siri. «Federico Arata», argomenta Giorgetti, è indagato? No. E allora qual è il problema? Non ha nemmeno cominciato a lavorare ed è già finito nel tritacarne. Che ne so io della sua famiglia. Voi lo sapevate fino a una settimana fa che c'era questa indagine? Io no». Intanto, ieri, il sito tpi.it ha ricordato come, durante i giorni della formazione del governo, quando il «no» del Capo dello Stato, Sergio Mattarella a Paolo Savona all'Economia fece infuriare Luigi Di Maio, il capo politico del M5s disse a Pomeriggio Cinque: «Avevo fatto arrivare nomi alternativi a Savona, come Bagnai o Siri, nomi della Lega peraltro, ma non andavamo bene perché nel loro passato avevano espresso posizioni critiche sull'Ue». Alessandro Di Battista confermò a La7: «Proposti Siri e Bagnai. Se il Quirinale smentisce, mente». Intanto, domani potrebbe essere rivelato il contenuto dell'intercettazione tra Paolo Arata e il figlio Francesco, che tirerebbero in ballo Siri, e finalmente sarà chiaro a tutti se la famosa frase virgolettata pubblicata da Corriere e Repubblica, «Ci è costato 30.000 euro», riferita a Siri, non esiste, come confermato a più riprese da autorevoli fonti della Procura capitolina alla Verità. Venerdì scorso la Procura di Roma ha trasmesso ai giudici della Libertà una informativa della Dia di Trapani in cui sarebbe presente, tra l'altro, l'intercettazione: «Contiamo», ha detto ieri l'avvocato Gaetano Scalise, difensore di Arata, «di prendere l'atto depositato dalla Procura all'inizio della prossima settimana. Al momento il Tribunale del Riesame non ha ancora fissato l'udienza dopo la nostra istanza e quindi non è stato possibile neanche visionare il materiale depositato dai pubblici ministeri». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bombe-proiettili-e-incendi-viaggio-dentro-10-mesi-di-violenze-contro-la-lega-2635717133.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="un-nuovo-fronte-spacca-i-gialloblu-le-province-da-resuscitare" data-post-id="2635717133" data-published-at="1758064544" data-use-pagination="False"> Un nuovo fronte spacca i gialloblù. Le Province da resuscitare La bozza delle linee guida per la riforma degli enti locali in preparazione da parte del governo contiene il ritorno di presidenti di Provincia e consigli provinciali eletti a suffragio universale, e si scatena la (solita) polemica tra Lega e M5s, con i pentastellati che scaricano la responsabilità sui leghisti, questi ultimi che rispondono che il M5s sapeva tutto, e il premier che promette di occuparsene al ritorno dalla Cina. La bagarre inizia ieri mattina, quando il Sole 24 Ore rivela il contenuto della bozza della riforma, alla quale hanno lavorato il sottosegretario leghista Stefano Candiani e il viceministro all'Economia del M5s Laura Castelli : «La Provincia», si legge nel testo, «ha un presidente, eletto a suffragio universale dai cittadini dei Comuni che compongono il territorio provinciale, e una giunta da esso nominata. A coadiuvare il presidente ci sarà il consiglio con poteri di indirizzo e controllo, eletto a suffragio universale». In sostanza, tornano circa 2.500 poltrone, quelle che erano state abolite dalla riforma targata Graziano Delrio. Riforma pasticciata, certo, ma pasticciato è anche il modo con il quale, di fronte agli attacchi delle opposizioni, Lega e M5s commentano l'indiscrezione. «Pur di andare contro alle scelte del nostro governo», attacca tra gli altri Matteo Renzi, «fanno risorgere le vecchie Province. Questo è il governo del cambiamento: diminuiscono i posti di lavoro, aumentano le poltrone». Poche ore e arriva il consueto «non ne sapevo niente» di Luigi Di Maio: «Per me», attacca il capo politico del M5s, «le Province si tagliano. Punto. Ogni poltronificio per noi deve essere abolito. Efficienza e snellimento, questi devono essere i fari. Questa è la linea del M5s. Chiedete alla Lega. Gli sprechi si tagliano, è sempre stato così per il M5s, e con tutta la burocrazia che abbiamo le Province vanno abolite. L'obiettivo», aggiunge Di Maio, «è eliminare ciò che non è indispensabile e reperire risorse per abbassare subito le tasse a imprese e famiglie». «In merito a quanto riportato dal Sole 24 Ore», fanno sapere fonti pentastellate, «si tratta di una riforma del Testo unito enti locali portata avanti dalla Lega sulla quale il M5s non è assolutamente d'accordo. Leggiamo che la Lega continua a parlare di una bozza sulle Province. È vero, la bozza esiste, è della Lega e noi non la condividevamo ieri né la condividiamo oggi. Le Province vanno abolite. Gli sprechi vanno tagliati. Punto». Alle fonti del M5s rispondono le fonti della Lega, altra consuetudine di questo governo sempre più bifronte e soprattutto bifonte: «Il M5s», fanno sapere dai piani alti del Carroccio, «non può cambiare idea ogni giorno su tutto. Oggi tocca alle Province, distrutte da Renzi con gravi danni per i cittadini e per la manutenzione di scuole e strade. Un viceministro del M5s lavora per rafforzarle, un altro ministro del M5s lavora per chiuderle. L'Italia ha bisogno di un sì e di serietà, non di confusione». In serata, da Biella, la stoccata di Salvini: «Vogliamo dare i servizi ai cittadini. Se i Comuni non riescono a farlo, servono le Province. L'abolizione è una buffonata di Renzi, che ha portato disastri soprattutto nelle scuole e alle strade. Io voglio che in tutta Italia ritornino condizioni normali». Da Pechino, il premier Giuseppe Conte prende tempo: «Il dibattito sulle Province? Lo affronteremo quando ritorneremo».