- Nel 2018, tra cessazioni e trasformazioni, i contratti sono stati 400.000 in più, di cui 200.000 stabili. In tutto le assunzioni crescono del 5%. La profezia dell'ex capo Inps: «Il dl Dignità lascerà a casa 88.000 persone».
- Pasquale Tridico si tiene tutti gli uomini dell'ex presidente. Il direttore generale Gabriella Di Michele resterà per tre anni. No allo spoils system per Luciano Busacca e Massimo Antichi. Già 60.000 domande per quota 100.
Nel 2018, tra cessazioni e trasformazioni, i contratti sono stati 400.000 in più, di cui 200.000 stabili. In tutto le assunzioni crescono del 5%. La profezia dell'ex capo Inps: «Il dl Dignità lascerà a casa 88.000 persone».Pasquale Tridico si tiene tutti gli uomini dell'ex presidente. Il direttore generale Gabriella Di Michele resterà per tre anni. No allo spoils system per Luciano Busacca e Massimo Antichi. Già 60.000 domande per quota 100. Lo speciale contiene due articoli. Premessa. I dati dell'osservatorio Inps sul lavoro e il precariato non brillano. Il totale della variazione tra cessazioni e nuove assunzioni nel 2018 è stato di 1 milione e 611.000 unità. L'anno prima la cifra era stata di 1 milione e 684.000 contratti. Il saldo è ancora sfavorevole. Dunque non si può festeggiare. Sono però i valori qualitativi a essere interessanti e vanno presi in considerazione per capire che il decreto Dignità non è stato quell'enorme fallimento che Tito Boeri, presidente Inps, appena decaduto, aveva preventivato. Il calcolo aveva creato particolare scalpore perché era finito, prima volta nella storia della Repubblica, direttamente dentro il testo del decreto. Luigi Di Maio aveva denunciato una anonima manina. E l'opposizione ha cavalcato la tesi di Boeri per mesi. In realtà, il calo delle assunzioni scema con il finire dell'anno e soprattutto si può vedere che i contratti a tempo indeterminato hanno un saldo complessivo di circa 200.000 unità. L'anno prima il dato era negativo per quasi 150.000 persone. «Complessivamente le assunzioni, riferite ai soli datori di lavoro privati, nel 2018 sono state 7.424.000: sono aumentate del 5,1% rispetto al 2017. In crescita risultano i contratti a tempo indeterminato (+7,9%), i contratti a tempo determinato (+4,5%), i contratti di apprendistato (+12,1%), i contratti di lavoro stagionale (+6,4%) e i contratti di lavoro intermittente (+7,9%); i contratti in somministrazione risultano pressoché stabili (+0,5%)», si legge nel documento Inps. Per le assunzioni in somministrazione e a tempo determinato la fase di crescita si è conclusa tra luglio e agosto 2018: per i contratti a tempo determinato si registra una dinamica negativa nell'ultimo bimestre; per i contratti di somministrazione il calo è netto e rilevante (attorno al 20%) a partire da agosto.«Nel 2018 si registra, rispetto al 2017, un importante incremento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato», prosegue l'Inps, «che risultano quasi raddoppiate (da 299.000 a 527.000: +228.000, +76,2%)». Il trend di crescita, già elevato fin dai primi mesi dell'anno, evidenzia un'ulteriore accelerazione nell'ultimo bimestre con incrementi tendenziali superiori al 100%. Nel 2018 risultano in contrazione, invece, le conferme dei rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo (-13,1%): tale flessione può essere ricondotta alla scadenza del triennio formativo degli apprendisti assunti nel 2015, anno in cui, a causa della possibilità di utilizzo dell'esonero triennale, le assunzioni con contratto di apprendistato si erano notevolmente ridimensionate. «Sono i primi effetti del decreto Dignità e mi danno tanto entusiasmo per andare avanti su questa strada», ha commentato Di Maio. Una strada da compiere «ancora lunga», visto che «ci sono ancora troppi precari che meritano una vita migliore» ma «oggi, quantomeno, sappiamo di aver preso quella giusta». Di Maio ha colto l'occasione anche per ricordare che era stato «chiamato ministro della disoccupazione» e per attaccare di nuovo il Jobs act, «che ha smantellato i diritti dei lavoratori». Dai dati sulla cassa integrazione, aggiornati invece a gennaio scorso, le ore autorizzate nel mese risultano 15,2 milioni, in diminuzione del 12,3% rispetto allo stesso mese del 2018 (17,3 milioni). Ma rispetto a dicembre 2018 (14 milioni) in aumento dell'8,2%.Sul tema ieri, ovviamente, sono intervenuti anche i sindacati. «Dati in chiaroscuro. Sembra di poter leggere i primi effetti sul mercato del lavoro della congiuntura recessiva che il governo sta affrontando, anziché con misure anticicliche, con il blocco delle infrastrutture e la riduzione degli investimenti su crescita e formazione», ha sentenziato il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra.«Chiediamo al governo un segnale di discontinuità nella politica economica, come abbiamo sottolineato con le proposte contenute nella piattaforma unitaria, con investimenti su infrastrutture materiali e immateriali, politiche industriali, redistribuzione fiscale, nonché modifiche ragionate al decreto Dignità, a partire dalla possibilità per gli accordi collettivi aziendali di specificare le causali per l'utilizzo dei contratti a termine e di somministrazione». Il tema degli investimenti pubblici sarà fondamentale nei prossimi mesi. Per spingere l'economia e pure per scontrarsi con l'Unione europea in tempi di campagna elettorale. Il tutto in una sintesi difficile che si chiama Def e che va scritto entro il 10 aprile.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/boeri-aveva-descritto-linferno-invece-i-posti-fissi-raddoppiano-2629633848.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tridico-si-tiene-tutti-gli-uomini-dellex-presidente" data-post-id="2629633848" data-published-at="1760403559" data-use-pagination="False"> Tridico si tiene tutti gli uomini dell’ex presidente Prima giornata in Inps per Pasquale Tridico. In attesa della nomina a presidente che avverrà fra 60 giorni, il padre del reddito di cittadinanza dovrà occuparsi della riorganizzazione interna dell'istituto. Non sarà comunque per lui un lavoro estremamente gravoso dal momento che le prime linee di impronta marcatamente boeriana avevano già cominciato a ricollocarsi con l'aiuto anche dell'immancabile Stefano Buffagni. Primo su tutti quello che sarebbe in atto da parte del potentissimo ex segretario, Luciano Busacca, promosso dalla gestione Boeri a dirigente generale. Busacca proviene dalla Covip, l'autorità dei fondi pensione, e forse proprio per tale background è sempre andato d'accordo con l'attuale capo che osteggia apertamente quota 100. Busacca nelle ultime settimane si è sentito e incontrato più volte con lo stesso Tridico. Ieri erano a pranzo assieme. Il direttore generale, Gabriella Di Michele, ha cercato sponde nella stessa direzione politica, anche se nelle ultime settimane è stata molto impegnata a indagare sugli articoli pubblicati dalla Verità sulla guerra di spie ai vertici dell'istituto. Il suo incarico resterà saldo almeno per i prossimi tre anni. La Lega non ha nessuna intenzione di intervenire. Sembra aver accettato che l'attuale dg faccia da traghettatore. Interessante sarà comprendere quale ruolo possa ricoprire invece Massimo Antichi. Il suo nome è stato all'attenzione delle cronaca, dopo un articolo della Verità. Boeri avrebbe voluto nominarlo come responsabile dei rapporti con l'Istat, Massimo Antichi. La mossa è stata impedita dall'intervento del collegio dei sindaci. Dirigente di prima fascia, classe 1958, Antichi era considerato vicino al presidente in carico, collaboratore della società di ricerca e divulgazione scientifica fondata da Boeri Lavoce.info - collocato alla direzione del centro studi Inps e a capo del progetto Visit Inps. Tenere i rapporti con l'Istat significa coordinare i flussi di dati e quindi le statistiche. I numeri sono dati di fatto, ma vanno anche interpretati: flussi pessimistici su quota 100 farebbero comodo all'opposizione. Nessuno in realtà in questo momento è in grado di escludere che Antichi possa tornare in gara per quella poltrona. Anche il dirigente generale, Vincenzo Caridi, non sembra temere alcun tipo di spoils system. Dal primo febbraio del 2017 si occupa della centrale acquisti e dovrebbe rimanere al suo posto. Più complicato invece per Tridico e per il sub commissario Francesco Verbaro definire il team che si occupa di quota 100. Le domande per l'accesso al pensionamento con 62 anni di età e 38 di contributi hanno toccato quota 60.704. La maggior parte delle richieste è arrivata dai lavoratori dipendenti, 22.071 domande mentre 21.779 sono arrivate dai lavoratori della gestione pubblica. Oltre 20.000 domande sono state inoltrate da lavoratori con 63 anni di età; 28.319 tra 63 e 65 anni; 12.299 oltre 65 anni di età. Schiacciante la componente maschile: 45.364 le richieste di uomini mentre le donne si fermano a quota 15.430. Si conferma forte il ruolo dei Caf che hanno inoltrato a oggi 54.555 di richieste; 6.149 quelle arrivate dai singoli cittadini. I dati sono serviti anche a creare una geografia delle necessità della penisola. «Smentita la tesi che il reddito di cittadinanza va al Sud e quota 100 al Nord perché i dati dimostrano che gran parte delle domande per la pensione anticipata vengono proprio dal Sud», a spiegarlo è Alberto Brambilla, economista e presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali. «L'analisi», spiega Brambilla, «ci dice due cose. La prima è che c'è una vasta platea di quelli che hanno fatto domanda, che ha i requisiti di anzianità contributiva, ma con cifre basse. Dunque, la pensione che percepirà sarà probabilmente al di sotto del minimo di legge e andrà integrata. Poi, per via del divieto di cumulo di redditi imposto a chi usufruisce di quota 100, molti della classe dei commercianti, artigiani, piccolissimi imprenditori, accederà alla prestazione anticipata ma è probabile che continui a lavorare intestando l'azienda alla moglie o al figlio». Vedremo come l'Inps riuscirà a tracciare tutte le domande.
Anna Falchi (Ansa)
La conduttrice dei «Fatti vostri»: «L’ho sdoganato perché è un complimento spontaneo. Piaghe come stalking e body shaming sono ben altra cosa. Oggi c’è un perbenismo un po’ forzato e gli uomini stanno sulle difensive».
iStock
Il capo del Consorzio, che celebra i 50 anni di attività, racconta i segreti di questo alimento, che può essere dolce o piccante.
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
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