2018-12-28
Bloccare la pubertà con i farmaci è abuso di infanti in nome del gender
Molti studi dimostrano che fermare lo sviluppo del corpo degli adolescenti è pericoloso. Inibire gli ormoni per tenere i minorenni imprigionati nella confusione sessuale non riduce né rabbia né insoddisfazione.La disforia di genere (definita più semplicemente «transgender») è una condizione per cui un soggetto, biologicamente maschio (XY) o femmina (XX), si percepisce imprigionato in un corpo che non gli appartiene e cerca di liberarsene, assumendo il corpo del sesso opposto. Si parla di «riassegnazione sessuale», da maschio a femmina o da femmina a maschio. In Italia, il percorso clinico necessario è definito dalla legge 164 dell'aprile 1982, ma oggi il tema del «transgenderismo» è diventato di attualità da quando è stato proposto di affrontare -anche in termini legislativi - il problema dei minorenni affetti da disforia di genere. In concreto, si vorrebbero trattare questi bambini e bambine, prepuberi, con farmaci in grado di bloccare lo sviluppo ormonale puberale, influenzando il funzionamento dell'ipofisi, cioè quella ghiandola connessa al nostro cervello che funge da centrale ormonale di tutto il nostro corpo. L'assunto di partenza è sostanzialmente il seguente: se un bambino (o una bambina) dà segni di disadattamento nei confronti della propria identità sessuata, blocchiamo il normale sviluppo del corpo in senso maschile/femminile, agendo sul suo patrimonio ormonale, cioè inibendo l'azione degli androgeni nei maschi e degli estrogeni nelle femmine, in attesa che - crescendo in età -definiscano meglio la loro condizione personale, così da esprimere una scelta più sicura in ordine a quale sesso vogliono appartenere. Del fenomeno si è occupato l'ultimo numero di Panorama, in questi giorni in edicola, suscitando le reazioni risentite delle associazioni Lgbt. Ritengo che non sia necessario essere specialisti qualificati, bensì normali adulti con un po' di buon senso (meglio se genitori con esperienza di crescita e accudimento di figli) per comprendere le pericolosissime conseguenze di una siffatta «terapia». Partiamo da un paio di dati statistici oggettivi. Il Dsm V (Manuale diagnostico statistico delle malattie mentali) riconosce la disforia di genere come «disturbo mentale» e riporta che il 98% dei bambini maschi con confusione di genere e l'88% delle femmine fanno marcia indietro: accettano il proprio sesso biologico dopo che hanno attraversato la pubertà. Si aggiunga che numerosi report che ci provengono da Paesi ove questi trattamenti sono in atto da anni (Svezia, Danimarca, Olanda, Regno Unito) non dipingono per nulla uno scenario rassicurante: il blocco farmacologico della pubertà non ha migliorato né i sentimenti di rabbia, né l'ansia, né l'insoddisfazione per i propri caratteri sessuali primari e secondari, né la disforia stessa. Al contrario, cristallizzando una condizione clinica «anomala (il blocco del fisiologico sviluppo puberale) hanno incrementato la sensazione di «diversità» rispetto ai pari età, con le sofferenze conseguenti che ciò comporta. Inoltre, non esiste alcuno studio che abbia posto a confronto l'efficacia del blocco puberale farmacologico con interventi di carattere psicoterapico e psicofamacologico in ordine agli outcome mentali. Sul piano scientifico, possiamo affermare che le evidenze cliniche depongono più per la futilità del trattamento, a fronte della possibilità di eventi avversi ed effetti collaterali pesanti. Anche gli effetti sulla performance mentale appaiono decisamente incerti e contradditori. Dobbiamo avere l'onestà intellettuale di dire che esistono certamente delle condizioni particolari - fortunatamente quantitativamente molto ridotte - che devono essere affrontate con estrema delicatezza, caso per caso, partendo da un assunto tanto semplice da essere quasi inutile esplicitare. Primo: non c'è forse nulla di più ondivago, fluttuante, plasmabile e modificabile nel tempo della personalità in fieri di un preadolescente (chi non sa e non ha esperienza che a quell'età tutto può cambiare in poche ore, non esistendo quasi nulla di granitico e assoluto?). Secondo: la convinzione di una persona (in più preadolescente!) di «essere ciò che non è» - percependosi del sesso opposto o «da qualche parte tra i due sessi» - significa, nel migliore dei casi, un segnale di pensiero confuso, che va individuato e aiutato, certamente non cristallizzato farmacologicamente. La pubertà non è una malattia e gli ormoni che bloccano la pubertà non sono scevri da rischi. Si consideri, con l'attenzione che merita, che si tratta di inibire la crescita e la fertilità in un bimbo che è biologicamente sano. A tal punto che l'American college of Pediatricians (Acpeds.org) non esita ad affermare che condizionare i bambini a credere che una vita d'imitazione, chimica e chirurgica, del sesso opposto sia normale e sana, costituisce una sorta di «abuso infantile». Fanno eco le «Linee guida per il trattamento endocrino delle persone transessuali» della U.S. Endocrine society: «Data l'elevata remissione della disforia di genere dopo la pubertà, si sconsiglia un completo cambiamento sociale del ruolo e un trattamento ormonale in bambini prepuberi con disforia di genere». Mentre tutti nasciamo con un «sesso» - femmina o maschio - nessuno nasce con un «genere» e, soprattutto, nessuno nasce con una consapevolezza di sé come femmina o come maschio. Questa autocoscienza si sviluppa nel tempo e con il tempo e - come tutti i processi evolutivi - potrebbe essere sviata dalle percezioni soggettive del bambino, dalle sue relazioni sociali e dalle sue esperienze avverse (soprattutto con carattere di abuso) dall'infanzia in avanti. In effetti le «teorie psicodinamiche» dell'apprendimento sociale della disforia di genere non sono mai state confutate e, quindi, bisogna partire proprio da qui, da un'attenta, approfondita, delicata, analisi del vissuto del singolo bimbo in causa. Con la saggezza del mondo adulto - educazione, scuola, cultura, media, social, informazione e formazione, copertine di giornali, tabloid pubblicitari - di evitare di proporre «modelli» di riferimento confondenti, che veicolano l'idea di un «terzo sesso» che esiste solo nelle farneticazioni ideologiche delle teorie del gender fluid. Lo dobbiamo per rispetto e amore dei nostri figli, soprattutto se particolarmente fragili e vulnerabili. Questo deve fare una società che voglia essere veramente civile.