2022-12-18
«Blauer si espande e adesso guarda a Giappone e Corea»
Il numero uno di Fgf industry Enzo Fusco, che controlla anche Ten c e Bpd: «Chiuderemo il 2022 con un giro d’affari da 72 milioni di euro».I riti sono importanti per Enzo Fusco. Come fumare un sigaro mentre si mangia un pezzo di cioccolata e si beve un goccio di rum o di brandy, «tre gesti da fare in contemporanea, è inebriante. Bisogna avere la cultura del sigaro buono, però». L’imprenditore, creativo e designer a capo del gruppo Fgf industry (Blauer, Ten c e Bpd) è un vero cultore del bello, un intenditore dei particolari che coglie in ogni aspetto della vita a cominciare dal suo lavoro. Non è un caso che conti ben 60.000 capi nel suo archivio, «un capannone intero di merce selezionata e divisa per tipologia di prodotto e anno dove si può trovare il pezzo giapponese, australiano, svizzero e altro, credo sia una rarità». Il piacere dei gesti arriva a contaminare anche il suo modo di fare moda?«Sicuramente sì. Si cerca sempre di fare qualcosa di diverso ma che sia anche funzionale, che venda, mettere insieme tutto non è così semplice. Uno può fare anche una giacca con tre maniche ma se poi non si vende non ha senso».È il mercato a decidere?«Come in tutto. Il fatto di godere delle cose è molto importante. Se penso al modo di vestire, penso al mio, si cerca di farlo sempre bene, sempre al meglio».Cosa significa vestirsi bene?«Ogni persona deve vestirsi come si sente per essere sé stessa, meglio non mettere cose che non si sanno portare. Mi vesto quasi prevalentemente di blu, colore che per me significa eleganza: giaccone blu, dolcevita blu, pantalone gessato blu di Levi’s. La cultura è anche questo, scegliere un jeans che ho trovato in America, allora in saldo, un colpo di fortuna. Indosso Levi’s 501 da quando sono ragazzino. Il classico».Quando disegna una collezione a cosa si ispira?«Abbiamo un marchio come Blauer che ha una grande storia: parte dalla polizia americana e quindi già con un Dna ben preciso. Quando fai una linea con una storia vera dal 1936, specializzata in abbigliamento tecnico, è importante che l’idea della collezione abbia una testa e una coda. Sei quello e non puoi essere altro. Noi seguiamo una linea e poi ci sono le tendenze e a ciò devi essere attento. Se va il piumino lo devi fare il più Blauer possibile, presentarlo in maniera diversa dagli altri perché oltre al nylon metti il cotone e materiali nuovi, ed è lì che la creatività, se uno ce l’ha, la tira fuori. Questo ci porta a creare un prodotto che sta funzionando molto bene perché riusciamo a dare qualità, prezzo e anche stile».Quando nasce la sua storia con Blauer?«L’ho scoperto 25 anni fa. Sono andato a Boston dai Blauer, produttori di abbigliamento della polizia americana ancora oggi. Siccome sono un estimatore di tutto ciò che è militare, e l’archivio ne è una testimonianza, ho chiesto se mi davano la licenza del marchio. Abbiamo fatto una prova per tre anni e quando hanno visto quel che facevo mi hanno rinnovato per altri dieci. Prima della scadenza del decimo anno ho chiaramente detto che ormai il marchio l’avevo inventato io e che era ora che lo acquistassi. Sono riuscito a portare a casa il 50%».Gli americani mettono becco in ciò che lei decide di fare?«No, in compenso beccano un sacco di soldi di roialty. In 25 anni che ho il marchio, e durare tutto questo tempo nella moda non è certo cosa semplice, sono venuti in Italia due volte, una prima per rendersi conto di chi eravamo e un’altra per una festa a Venezia per il Festival del cinema. Non interferiscono, noi siamo molto corretti ed è diventata una questione di fiducia. Mi dicono: “Tu sei il Blauer italiano”. Siamo partiti da zero, era un nome che nessuno conosceva. Farlo diventare importante non è stato facile». Mercati di riferimento?«L’Italia arriva al 60% del fatturato, Germania, Austria, Spagna vanno molto forte, poi Repubblica Ceca, Polonia e abbiamo iniziato in Inghilterra e in Francia. Ora ci interessa fare i numeri in Corea, Giappone, Cina e America. Ci stiamo espandendo ma dobbiamo trovare dei partner locali. In Corea, ad esempio, Samsung ha già fatto un ordine di prova per testare il prodotto».Quanti sono i punti vendita?«Tra Italia e estero abbiamo 1.500 clienti, non male. E poi abbiamo l’altra linea, Ten c, che si trova nei 300 negozi più belli al mondo: è partita a mille ed è in continua crescita».Ten c è davvero una collezione al top.«Siamo arrivati nel momento giusto, è uno sportswear accattivante. Pur essendo uno sport casual è molto chic. Sono sette anni che ci lavoriamo e ora raccogliamo i frutti. Straordinario il tessuto, fibra giapponese unica al mondo, no logo. È come il denim, più lo usi e più diventa tuo. Un successo che è anche merito dei collaboratori e di Alessandro Pungetti che disegna con me. Non si fa tutto da soli».E i numeri del gruppo confermano.«Chiuderemo l’anno con un giro di affari di 72 milioni di euro, cui si aggiungono i circa 12 delle licenze (calzature e profumi), con l’export che vale il 40% ma proiettato verso il 50% per il prossimo anno. Una significativa avanzata rispetto ai 68 milioni del 2021. Blauer, per la precisione, copre circa il l’80% del turnover mentre Ten c continua a evolvere e toccherà quota 12 milioni a fine anno, dopo i 5,5 milioni del 2021, proiettandosi verso i 20 del 2023».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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