2021-10-04
Gian Carlo Blangiardo: «Subito più soldi a tutti per fare figli»
Gian Carlo Blangiardo (Ansa)
Il capo dell'Istat: «Con il Covid numeri da crac demografico. A questi ritmi non abbiamo futuro come popolo. I sostegni non vanno dati soltanto ai redditi bassi: non è assistenza ma un investimento sicuro per il Paese».Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat: senza figli, l'Italia si sta prosciugando. Del calo della natalità si parla da decenni: perché non possiamo più chiudere gli occhi? «Da tempo, soprattutto a partire dal 2008, assistiamo una caduta molto forte della natalità. A questo scenario di fondo si è aggiunto l'effetto Covid: da un lato la paura del contagio, dall'altro il timore di non poter sostenere il peso economico di un figlio, o anche di un figlio in più». I lockdown, le limitazioni, il clima di emergenza permanente: tutti fattori che incidono sulla decisione di mettere al mondo un figlio?«Assolutamente sì. Non a caso una delle parole più ricercate su Google nei mesi in cui abbiamo vissuto le ondate della pandemia è il termine “contraccezione". I riscontri sui numeri sono evidenti. A marzo 2020 i concepimenti sono crollati, e di conseguenza i nati di dicembre sono il 10,3% in meno rispetto all'anno precedente. Si è trattato di una esperienza che ci ha riportato, nei comportamenti e nelle conseguenze, ai tempi di Chernobyl». Chernobyl?«Aprile-maggio 1986, ricordate la nube radioattiva? Nove mesi dopo, gli effetti sulla natalità ebbero manifestazioni di calo simili a quelle di oggi». Le zone più colpite dal Covid sono quelle in cui si registra il maggior calo della natalità?«Effettivamente, se consideriamo le province di Lodi, Bergamo, Cremona, scopriamo che il calo di nuovi bambini a dicembre 2020 si assesta addirittura intorno al 30%. Laddove la mortalità ha colpito pesantemente, c'è stato un impatto sui comportamenti: le coppie hanno preferito attendere tempi migliori. Ma in realtà ho scoperto che il trend generale è sorprendente». Cioè?«Anche se la prima ondata ha colpito soprattutto al Nord, il calo di natalità nove mesi dopo c'è stato ovunque, anche in Sicilia, anche in regioni che al primo giro del virus non erano particolarmente coinvolte dall'emergenza. Evidentemente le immagini terribili che ogni giorno entravano nelle case, come quelle delle bare di Bergamo, hanno contribuito a drammatizzare la situazione in tutta Italia. La reazione di panico ha toccato anche quelle popolazioni che inizialmente hanno vissuto la pandemia solo da spettatori». Dunque abbiamo assistito a un contagio anche in termini di terrore mediatico? «Sì, e questo va detto pur senza estremizzare e colpevolizzare nessuno. È evidente che la situazione che stiamo vivendo crea un clima di forte attenzione rispetto a certe scelte familiari. Poi, all'effetto paura occorre aggiungere l'effetto preoccupazione. Il timore di avere difficoltà di ordine economico, soprattutto tra i lavoratori precari e in certi particolari settori, si fa sentire. Se in casa salta il secondo reddito, è naturale che le famiglie si interroghino sui loro progetti di vita». Finora abbiamo parlato della prima fase della pandemia: successivamente, in termini di natalità, c'è stato un rimbalzo? O le culle sono comunque rimaste vuote? «A gennaio di quest'anno i nuovi nati erano a meno 14%. A marzo 2021 c'è stato un modesto recupero, soprattutto grazie alle donne italiane laureate che, dopo la prima ondata, hanno avuto la sensazione di essere fuori dal tunnel, e hanno pensato di approfittarne. Ma in realtà la tendenza generale resta negativa». Previsioni? «Parlando da demografo, mi aspetto brutte notizie anche sulle nascite di questa estate. I dati saranno diretta conseguenza dell'ultima ondata di contagi, quella iniziata nell'autunno dello scorso anno. Ragionevolmente, non mi aspetto nessun significativo recupero». Tiriamo le somme? «Nel 2020 sono nati 404.000 nuovi bambini. Nel 2021 saremo verosimilmente sotto la soglia dei 400.000. Ancora una volta, un record storico in negativo: è decisamente un problema grave. Per farvi capire: la Francia, che più o meno ha le nostre proporzioni, viaggia con quasi il doppio dei neonati. E questo perché i francesi hanno deciso di affrontare molto tempo fa il problema demografico, mentre noi da anni facciamo finta di nulla. Ma è necessario rendersi conto che il problema non può risolversi da solo». Dunque nel medio termine gli italiani si dimezzeranno? «Diciamo che un Paese che dovesse costantemente mantenere questo numero di nati, supponendo invariata l'attuale aspettativa di vita alla nascita pari a poco più di 80 anni, si avvia ad avere, seppur nel lungo periodo, una popolazione stazionaria, cioè a crescita nulla, che si aggira intorno ai 32 milioni di abitanti. Il paradosso è che se guardiamo avanti ci rendiamo conto che la vita del singolo si allunga, mentre gli anni di futuro che competerebbero all'intera comunità, come somma di tutte le aspettative individuali, si accorciano. In sintesi, ci sarà più futuro individualmente: ma avremo meno futuro come popolo». Nel 2020 ci sono state 42.000 dimissioni volontarie di genitori con figli da zero a tre anni. Soprattutto donne che rinunciano allo stipendio per stare in famiglia. «Ce lo diciamo da tanto tempo. I figli costano, vincolano, impegnano. Per una donna che insegue la carriera diventa una corsa a ostacoli. Le strutture, soprattutto per la prima infanzia, non brillano. Il livello nazionale di asili nido e delle materne è inferiore agli standard. E purtroppo non esiste nemmeno una cultura generale premiante per chi allarga la famiglia. Chi fa tre figli, sobbarcandosi l'impegno in termini di capitale umano, non viene mai ringraziato. Anzi, se nello scompartimento del treno arriva la famiglia con più bambini, spesso viene guardata con sospetto». Insomma, è anche una questione di testa. «Siamo abituati a chiedere tutto allo Stato, mentre credo che su questo fronte dovremmo promuovere una cultura che impegni anche il mondo imprenditoriale. Probabilmente anche nelle realtà più piccole ci sono imprenditori che vorrebbero avere la statua in piazza, e passare alla storia come Adriano Olivetti. E sarebbero disposti a diventare “mecenati della natalità", creando strutture e dandosi da fare. Queste persone sono pronte a dare una mano, ma servirebbe un minimo di incentivo morale. Almeno un “grazie" dovremmo prometterglielo. Il sogno è quello di mettere insieme il doveroso intervento pubblico con la valorizzazione delle forze che nel privato che sono pronte a impegnarsi». L'assegno unico previsto dal governo per ogni figlio non è sufficiente ad arginare la deriva? «Il problema è che continuiamo a confondere la politica sociale (cioè l'aiuto ai disagiati) con la politica demografica, che resta storicamente la grande assente nel dibattito italiano. Favorire le nascite non significa semplicemente aiutare i poveri: si tratta in realtà di un grande investimento sul futuro del Paese, e in quanto tale deve riguardare tutti. Di solito ogni intervento sconta il difetto d'essere collegato alle condizioni economiche delle famiglie (il reddito Isee), quando invece il punto irrinunciabile è garantire sostegni universali. Dare uno stimolo alla natalità anche alle fasce più agiate, per esempio, permetterà comunque allo Stato di recuperare tutto attraverso le tasse. Spero che l'assegno unico del governo, originariamente pensato come universale, non venga ridimensionato troppo. Se non dovesse avere la caratteristica dell'universalità, allora sarebbe semplicemente un ritorno al passato». L'assistenzialismo italiano trascura la famiglia? «Il problema arriva da lontano. Già nel corso degli anni Settanta i nuovi bambini passarono da un milione a seicentomila, nell'arco di un decennio. Fu un'epoca di grandi conquiste civili, maturazioni democratiche e progresso, ma abbiamo commesso il peccato di trascurare certi segnali demografici. Ogni tanto pensiamo di cavarcela con piccoli rattoppi, bonus temporanei, peraltro di modeste dimensioni e applicati a platee ristrette. Ancora non vedo la giusta sensibilità per un tema che la comunità dei demografi, e non solo, sta sollevando da tempo». Cosa possiamo imparare dagli altri paesi? «Germania, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Romania avevano una fecondità simile alla nostra. In pochi anni, grazie a politiche mirate di ampio respiro, sono riusciti a rialzarsi. I nuovi nati garantiscono nuova linfa e crescita economica. L'insegnamento dell'estero ci dimostra che, pur senza chiedere miracoli, bloccare la discesa e invertire la tendenza non è impossibile». L'immigrazione aiuta? «L'immigrazione è utile ma non è la magica soluzione. I flussi migratori, peraltro inevitabili, possono essere un contributo: ma non saranno mai un contributo risolutivo. Il numero di nati stranieri, che pure è cresciuto per anni di pari passo con l'immigrazione, a partire dal 2012 è progressivamente diminuito. Anche le coppie straniere hanno le loro difficoltà economiche, per giunta senza i nonni alle spalle». L'articolo 31 della Costituzione impone allo Stato di agevolare la formazione della famiglia. Un tradimento della Carta fondamentale? «A voi giornalisti piacciono i termini forti. Diciamo che i padri costituenti avevano immaginato la famiglia come un bene inestimabile da valorizzare. Un obiettivo che nei decenni non è stato perseguito, almeno a mio parere, con la dovuta attenzione».
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