2021-06-21
Bilanci fuori dal Comune
Una sentenza della Consulta impone alle amministrazioni di saldare i fornitori entro 3 anni (e non più 30): 812 di esse sono a rischio default. I sindaci in rivoltaIl delegato Anci: «Ne subiranno le conseguenze 10 milioni di persone. Salteranno trasporti, asili nido, manutenzioni»Lo speciale contiene due articoliNelle chat di molti sindaci d'Italia si rincorrono messaggi quasi disperati: «A oggi, non ci sono certezze sui bilanci, non sappiamo se e quando riusciremo a chiuderli o se l'unica strada possibile sarà la dichiarazione di dissesto». Appesi alle decisioni del Parlamento, ci sono 812 comuni italiani: piccoli e grandi centri finiti in un labirinto fiscale, con il rischio di dover ripensare per intero i bilanci, sia il rendiconto 2020 che il previsionale del prossimo triennio. Secondo l'Ifel, l'Istituto per la finanza e l'economia locale dell'Anci, sono i comuni che risentono in maniera più grave della sentenza che la Corte Costituzionale ha depositato lo scorso 29 aprile. La materia del contendere è complessa e riguarda le anticipazioni di liquidità concesse dal 2015 in poi ai comuni per il pagamento dei fornitori. Secondo la Consulta, il ripiano in 30 anni di quelle cifre è illegittimo: il rientro deve avere durata «annuale, al massimo triennale, e comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale». Per i giudici, il differimento di quelle somme andrebbe a discapito delle generazioni future, che non hanno contribuito a creare il debito e non hanno goduto dei vantaggi della spesa corrente. Una missione impossibile per tutti gli 812 enti a rischio default, se si considera che, di questi, 129 risultano già in uno stato di predissesto e 34 hanno dichiarato il dissesto. «Siamo in attesa di capire», spiega alla Verità Sergio Rolando, assessore al bilancio del comune di Torino. «Questo disavanzo nasce nel 2015, ma lo imputano all'amministrazione attuale. In questo caso, l'applicazione del principio espresso dalla Corte è incoerente». Dopo Napoli, la cui situazione è approfondita in queste pagine, Torino è la città più esposta agli effetti della sentenza: circa 430 milioni da ripianare, secondo i calcoli degli uffici tecnici. Con i bilanci ancora in aria, ci sono oltre 200 comuni anche in Calabria, la regione che più di tutte ha attinto alle anticipazioni di liquidità. «Il fenomeno è diffuso per via di una maggiore debolezza degli assetti finanziari degli enti», ragiona Francesco Candia, presidente dell'Anci regionale. «Da queste parti, alte percentuali di spesa sono state impegnate per il pagamento del personale». Senza un intervento dello Stato, ai sindaci non resta che sforbiciare le spese dei servizi: trasporti e manutenzione, soprattutto. «Abbiamo bisogno di una soluzione rapida, che ci metta nelle condizioni di riordinare i conti senza bloccare le attività dei comuni», racconta Matteo Biffoni, primo cittadino di Prato. «Se la nostra unica attività è anestetizzare i debiti, allora tanto vale nominare dei liquidatori, non eleggere dei sindaci». A dare battaglia in Parlamento ci pensa Roberto Pella, capogruppo di Fi in Commissione Bilancio alla Camera e sindaco di Valdengo, nel biellese. La proroga dei termini per la chiusura dei bilanci, congelati fino al 31 luglio prossimo, non è sufficiente. Così come non è abbastanza il fondo da 500 milioni per il 2021 introdotto con il decreto Sostegni bis. «Senza risorse, qualsiasi proroga diventa inutile», spiega Pella, che lavora per triplicare la dotazione del fondo in sede di conversione del decreto. «I comuni hanno bisogno di quei soldi per chiudere i bilanci. Poi inizierà la delicata partita per riscrivere la norma, recependo i rilievi della Consulta: ci aspettiamo che il ministro Lamorgese riesca a trovare un accordo istituzionale, che allunghi almeno i tempi di ripianamento imposti dalla Corte, che alle condizioni attuali sono impossibili da rispettare per la maggior parte dei comuni italiani».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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