2022-10-20
Al baby rapinatore seriale pensi il suo Paese
La stazione Centrale di Milano, dove ha colpito l'ultima volta il baby rapinatore (IStock)
Sette scippi di orologi e valigie a Milano in due mesi e mezzo. Il marocchino ha meno di 14 anni e quindi non è imputabile. Beccato, lo portano in case famiglia da cui scappa sempre. Non si sa come sia arrivato. Lo Stato è impotente, però se Rabat collaborasse...Al degrado e all’insicurezza della stazione Centrale mancava solo la Primula rossa dodicenne arrivata dal Marocco. Dice di chiamarsi Bilal, ma non ha i documenti, e martedì notte è stato fermato dai carabinieri dopo la settima rapina in due mesi e mezzo. Mentre scriviamo dovrebbe essere in un centro per minori non accompagnati, ma finora è sempre scappato. Suo malgrado, con tutto il rispetto per la giovane età e le malattie che riferisce di avere, Bilal rischia di diventare uno spot all’incontrario della Milano «accogliente» del sindaco Beppe Sala. Di fatto, un intero quartiere è ostaggio dell’incontenibile Bilal. L’ultima (per ora) impresa del ragazzino è dell’altra notte, quando i carabinieri l’hanno fermato in piazza Duca D’Aosta, davanti alla stazione Centrale, dove aveva appena commesso una rapina insieme ad altri tre giovani stranieri. Nelle ultime due settimane era già stato fermato per scippi e rapine di orologi a passanti e di valigie a turisti. Era stato portato in ospedale dove l’esame delle ossa aveva confermato la sua versione: avrebbe meno di 14 anni e quindi non è imputabile. Ai militari e alla polizia che lo hanno fermato in varie occasioni, Bilal, oltre a dire di non avere parenti in Italia e di essere dodicenne, ha raccontato di avere la scabbia e di prendere un farmaco contro l’epilessia. Insomma, soggetto debole e soggetto anche non facile. È stato portato in comunità, anche a Genova, per allontanarlo dai probabili complici, ma è sempre scappato e trovarlo, del resto, è facilissimo: basta dargli due giorni e ricompare in zona Centrale, pronto a entrare in azione come nulla fosse. I colpi migliori, però, li ha messi a segno in corso Buenos Aires, quando ha strappato una collana a una ragazza ventunenne, e in via Manzoni, quando ha stordito con lo spray al peperoncino un turista americano e gli ha rubato un Rolex Daytona da 27.000 euro.Ogni volta che lo beccano, Bilal l’impunibile viene comunque portato in caserma e scattano le (inutili) segnalazioni all’autorità giudiziaria. È infatti un soggetto debole, ma anche un ragazzino che commette reati, reati dei quali resta comunque una traccia anche se non possono essere contestati. Di questa storia colpisce che sia senza apparente via d’uscita. Un circolo vizioso nel vero senso della parola. A meno che si trovi, una volta per tutte, una casa famiglia che riesca a tenere dentro il dodicenne, senza che questo possa scappare, e che magari gli presti le cure delle quali avesse eventualmente bisogno. Altrimenti dovremo continuare a contare i colpi di Bilal aspettando che arrivi all’età di 14 anni, in cui sarebbe punibile, e dobbiamo continuare a lodare l’abnegazione e la pazienza di carabinieri e poliziotti che continuano a intervenire e a non voltare la faccia di fronte a questo cortocircuito. Perché di cortocircuito si tratta quando le norme di legge nascono per tutelare i bambini e i ragazzi sotto una certa età, ma diventano a loro volta criminogene come in questo caso. Perché è abbastanza evidente che Bilal non è il capo di sé stesso, che «lavora» insieme a ragazzi più grandi e che scippa e rapina proprio perché sa di non essere punibile per legge. Lo Stato, ma in realtà un’intera comunità, ha le mani legate verso il minore Bilal.Poi, certo, si può aspettare che compia 18 anni per espellerlo e rimandarlo in Marocco con il primo volo (non succede mai), ma ai ritmi di attività di Bilal, significherebbe mettere in conto oltre trenta rapine l’anno per sei anni, che fanno 180 vittime. Vittime a cui non si pensa mai quando si discute di problemi che hanno a che fare con la delinquenza minorile italiana e dei minori stranieri non accompagnati. In attesa che il baby rapinatore raggiunga la fatidica maggiore età, si potrebbe anche provare a battere la strada diplomatica. Certo, non è un terrorista internazionale, però la polizia italiana potrebbe sempre chiedere una mano al consolato del Marocco a Milano, o all’ambasciata di Roma, per avere le vere generalità di Bilal e provare a rintracciare la famiglia. Di solito, informazioni del genere possono essere scambiate, per le vie brevi, con gli addetti militari dell’ambasciata. Il tutto ovviamente nella speranza che almeno le autorità consolari marocchine sappiano ricostruire la storia familiare del loro giovane connazionale, che non si sa come è arrivato dal Marocco, dove è arrivato e con chi è arrivato. Forse un modo per ottenere attenzione e collaborazione potrebbe essere quello di fa notare che le autorità italiane hanno a che fare con un ragazzino che comunque ha delle patologie e il cui destino, rapine e scippi a parte, non può essere ignorato dalla sua patria. Sì, se Bilal è un caso umanitario, tanto vale andare fino in fondo con le autorità del suo Paese.