2022-04-17
Biden travolto da uno tsunami di clandestini
Oltre 221.000 ingressi dal confine meridionale in marzo: è il dato più alto da due decenni. E il presidente vuole pure revisionare una legge di Donald Trump che accelerava i rimpatri. Repubblicani sul piede di guerra ma anche parte dei democratici gli volta le spalle.Quella di Joe Biden è la presidenza dei record. Peccato che non si tratti di record esattamente positivi. L’inflazione americana ha raggiunto i massimi negli ultimi 41 anni, mentre il numero degli arrivi di immigrati clandestini al confine meridionale è attualmente il più alto da 22 anni a questa parte. A confermare l’impennata migratoria è stata, l’altro ieri, la Customs and border protection, secondo cui - a marzo scorso - il numero di irregolari intercettati alla frontiera sud è arrivato a quota 221.303 unità, segnando un incremento del 28% rispetto a marzo 2021. Nel dettaglio, si tratta di un numero addirittura più alto di quello registrato a luglio 2021, quando - con 213.953 clandestini - era stato raggiunto il numero di arrivi più elevato nell’arco di ben due decenni. Secondo Cbs News, cifre così alte non si registravano da marzo 2000. La polemica sta già infuriando. In questi mesi i repubblicani hanno ripetutamente criticato la gestione migratoria dell’amministrazione Biden: un problema inaspritosi due settimane fa quando - per accattivarsi le simpatie dei settori politici più progressisti - la Casa Bianca ha annunciato la prossima revoca del cosiddetto Titolo 42: un dispositivo, introdotto da Donald Trump nel marzo 2020, che consente di accelerare i rimpatri a causa della pandemia e che ha reso possibili in tutto circa 1,7 milioni di espulsioni rapide. È significativo notare che la mossa di Biden non ha raccolto soltanto la (prevedibile) contrarietà del Partito repubblicano e, secondo una rilevazione di Morning Consult, del 56% degli americani. Anche svariati esponenti dem si sono infatti schierati contro il presidente: i senatori Kyrsten Sinema, Mark Kelly, Maggie Hassan, Jon Tester e Joe Manchin hanno infatti appoggiato un emendamento, presentato dai repubblicani, che punta a bloccare temporaneamente la revoca del Titolo 42. Del resto, non è affatto escludibile che proprio l’annuncio dello stop al Titolo 42 stia alimentando ulteriori flussi migratori. La Customs and border protection ha infatti riferito di aver intercettato, soltanto nell’ultima settimana, ben 10 grandi gruppi di clandestini nella Rio Grande Valley. Non è tra l’altro un mistero che, a livello complessivo, l’incremento degli arrivi alla frontiera meridionale sia stato (almeno in parte) dettato dalla linea blanda che, in campagna elettorale, Biden promise sul tema migratorio: una linea che, poco dopo essersi insediato alla Casa Bianca, ha tuttavia cercato di rimangiarsi. «Non venite, non lasciate la vostra città o comunità», disse in televisione a marzo dell’anno scorso rivolgendosi ai migranti. I nodi politici frattanto non mancano. In primis, la crisi migratoria è una questione che può avere un peso molto negativo sull’asinello in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre. In secondo luogo, questo dossier - lo abbiamo visto - sta creando nuove spaccature in un partito - quello democratico - già attraversato da numerose faide intestine: una situazione contraddittoria, questa, che porterà a un ulteriore impantanamento dell’agenda politica del presidente al Congresso. Un terzo fattore da considerare è inoltre il progressivo crollo della credibilità di Biden. Secondo un recente sondaggio Cbs News, il 58% degli americani disapprova l’operato del presidente: tra l’altro, venendo alla questione specifica dell’immigrazione, il grado di insoddisfazione dei cittadini sale addirittura al 62%. E poi c’è Kamala Harris. Era marzo 2021, quando Biden la incaricò di gestire il problema migratorio, lavorando con i paesi del Centro America dal punto di vista politico e diplomatico: da allora, non sembra che la vicepresidente degli Stati Uniti abbia tuttavia conseguito alcun risultato concreto. Anzi, stiamo vedendo che la situazione è addirittura peggiorata rispetto all’anno scorso. Un simile fallimento può rivelarsi significativamente problematico per la Harris, le cui ambizioni presidenziali per il 2024 sono arcinote. La crisi migratoria al confine non causa d’altronde soltanto impatti negativi sotto il profilo socioeconomico. Un grave problema riguarda infatti anche il traffico di esseri umani e di sostanze stupefacenti. La Dea ha recentemente lanciato un nuovo allarme sulle overdosi da fentanyl: oppioide sintetico che sta da tempo funestando gli Stati Uniti. A ottobre, Cnn riferì che «i componenti chimici utilizzati per produrre il farmaco vengono spesso spediti dalla Cina negli Usa o in Messico, per essere prodotti dai cartelli della droga in Messico e quindi contrabbandati negli Stati Uniti». Si pensi inoltre che, lo scorso gennaio, la Customs and border protection ha reso noto un aumento del 1.066% della quantità di fentanyl sequestrato nella parte meridionale del Texas, durante l’anno fiscale 2021. La salvaguardia della frontiera meridionale è quindi anche (se non soprattutto) una questione di sicurezza nazionale. Biden, il presidente dei record fallimentari, non sembra però finora essersene accorto.
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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