2019-04-25
Biden si candida per le prossime elezioni ma è già sotto fuoco amico
True
Alla fine ha sciolto le riserve: Joe Biden ha formalmente annunciato la propria candidatura alla nomination democratica del 2020. Dopo mesi di tentennamenti, l'ex vicepresidente americano si è deciso al grande passo, avviando una campagna elettorale che per lui si preannuncia tutt'altro che semplice.Rappresentante delle correnti centriste in seno al Partito Democratico, Biden dovrà affrontare la sinistra dell'Asinello: una compagine numerosa, rissosa e agguerrita che – guarda caso – gli ha già dichiarato guerra. Sono settimane che l'ex vicepresidente si ritrova infatti bersagliato senza pietà dal fuoco amico del suo stesso partito. Non solo ha ricevuto accuse di molestie da parte di svariate donne ma anche la sua storia politica pregressa è stata messa attentamente sotto la lente di ingrandimento. In questo senso, è stato accusato di aver sostenuto posizioni non del tutto ostili al segregazionismo negli anni Settanta e di aver esercitato pressioni, nel 2016, sull'allora presidente ucraino Petro Poroshenko affinché venisse licenziato un procuratore pronto a mettere sotto inchiesta un'azienda di cui suo figlio, Hunter, faceva parte. Tuttavia, al di là degli attacchi personali, la sinistra dem bersaglia Biden in particolare per quello che rappresenta.Innanzitutto si tratta di una figura da sempre vicinissima all'establishment di Washington: non dimentichiamo che, prima degli otto anni trascorsi alla Casa Bianca al fianco di Barack Obama, sia stato senatore del Delaware per tre decenni. Senza poi trascurare le relazioni bipartisan che, nel tempo, ha intrecciato nei corridoi del Campidoglio (soprattutto con il senatore repubblicano John McCain). In tutto questo, non va poi sottaciuto il carattere tendenzialmente destrorso delle idee di Biden: non solo, in materia economica, è un fautore di istanze liberiste ma – in politica estera – è spesso risultato vicino a posizioni interventiste e non poco bellicose. Una linea oggi non poi così popolare tra gli elettori americani. Una linea che, soprattutto la sinistra democratica, vede come il proverbiale fumo negli occhi. Non solo questa quota elettorale è infatti mossa da un sempre più profondo sentimento antisistema e avverso al professionismo politico. Ma le ricette economiche di natura liberista vengono ormai interpretate come nocive per i posti di lavoro americani: soprattutto il senatore socialista, Bernie Sanders, sta avanzando una serie di proposte profondamente protezioniste (non poi così lontane dall'attuale politica commerciale del presidente americano, Donald Trump). Inoltre, Biden è assai spesso stato associato alle alte sfere di Wall Street: un elemento che potrebbe perseguitarlo in materia di finanziamenti elettorali. Mentre infatti la maggior parte degli attuali candidati si sta rivolgendo quasi esclusivamente alle micro-donazioni, l'ex vicepresidente si sarebbe già legato ai grandi finanziatori che sponsorizzarono le campagne presidenziali di Obama nel 2008 e nel 2012. Senza dimenticare che, già ai tempi delle competizioni elettorali per il Senato, Biden abbia ricevuto ampio sostegno da grandi studi lobbistici e legali, oltre che da aziende attive nel settore finanziario e immobiliare. Tutti fattori che, neanche a dirlo, lo espongono agli strali di quanti lo considerano una marionetta al servizio dei poteri forti. Tanto più che, a livello programmatico, l'ex senatore si sia detto contrario alla crociata anti-ricchi portata avanti da candidati come la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, e dallo stesso Bernie Sanders. Infine, la sinistra dem risulta fortemente critica nei confronti del tradizionale interventismo statunitense in politica internazionale. In quest'ottica, molto probabilmente, Biden sarà chiamato a render conto del fatto di aver votato, da senatore, a favore dell'invasione irachena nel 2002. L'ex vicepresidente, dal canto suo, sta cercando di mettere le mani avanti, dichiarando di essersi opposto, nel 2011, al disastroso intervento militare in Libia contro Gheddafi (intervento – ricordiamolo – principalmente caldeggiato dall'allora segretario di Stato, Hillary Clinton). Eppure, non è detto che questo basti a placare le polemiche che, da sinistra, stanno già montando contro l'ex senatore del Delaware.Insomma, Biden dovrà durare non poca fatica per riuscire ad emergere dalla pletora dei suoi concorrenti dem, con il rischio di ritrovarsi ad essere il punching ball delle correnti radicali, che – come abbiamo avuto modo di vedere – non lo amano particolarmente. Certo: visto l'elevato numero di concorrenti che la sinistra sta esprimendo, l'ex vicepresidente potrebbe approfittare di questa situazione in attesa che i suoi avversari si scannino a vicenda. Ma non è detto che una tale strategia possa effettivamente funzionare: l'aggressività di certo mondo liberal statunitense è diventata talmente virulenta da essere molto difficile da tenere a bada. È vero che Biden punterà prevedibilmente a presentarsi come l'unico degno erede della presidenza Obama, cercando di smorzare i suoi pregressi politici intrisi di centrismo. Ciononostante il contesto è diventato così velenoso che una simile linea potrebbe rivelarsi addirittura controproducente. Per quanto la figura di Obama sia ancora oggi apprezzata da gran parte dell'elettorato democratico, è altrettanto evidente infatti che – a sinistra – quell'eredità politica venga ormai considerata come qualcosa di troppo blando. Non è un mistero, per esempio, che Bernie Sanders giudichi l'Obamacare una riforma incompleta, cui dovrebbe adesso seguire la creazione di un sistema sanitario universale.Il rischio, per Biden, è allora quello di ritrovarsi schiacciato tra il radicalismo della sinistra e lo stesso Donald Trump che, ultimamente, sembra aver rafforzato non poco la propria posizione in termini di politica interna. La via che l'ex vicepresidente dovrà percorrere sarà quindi pericolosamente stretta. Anche perché, prevedibilmente, la prossima campagna elettorale si giocherà sul voto della classe operaia della Rust Belt. Un voto fondamentale, per cui Trump e Sanders hanno già iniziato a battagliare: se il presidente sta infatti proseguendo nella sua linea protezionista a tutela degli operai, il senatore del Vermont ha recentemente dichiarato di essere contrario alla politica dei "confini aperti", sposando così di fatto l'astio nutrito dai colletti blu verso l'immigrazione clandestina. Inserirsi in questo spazio sarà quindi molto difficile per il vecchio Joe. Una figura che – va detto – non ha mai dimostrato di avere troppo fiuto elettorale (non saranno state del resto un caso le sconfitte rimediate alle primarie democratiche del 1988 e del 2008). Si dirà: resta comunque il candidato più preparato e competente di quelli attualmente in corsa. È vero: ma non dimentichiamoci che è spesso questo tipo di candidati che non riesce a decollare (pensiamo soltanto al naufragio dell'ex governatore della Florida, Jeb Bush, alle primarie repubblicane del 2016). L'ex vicepresidente si accinge a intraprendere una battaglia durissima. Una battaglia contro gli spettri del suo stesso passato e – soprattutto – contro numerosi compagni di partito. Una battaglia che Biden farà oggettivamente molta fatica a vincere.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti