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2024-03-28
Biden provoca lo zar: «Macellaio». E su Kharkiv piovono missili russi
Joe Biden (Ansa)
Livello della tensione alle stelle tra Russia e Occidente e il premier, Giorgia Meloni, torna a parlare di Ucraina. Lo fa con Mario Giordano a Fuori dal coro, in onda ieri sera su Rete 4. «Vladimir Putin aveva in testa una guerra lampo e oggi chi cerca di aiutare l’Ucraina allontana la guerra rispetto alla possibilità che arrivi nel cuore d’Europa», ha spiegato Meloni, che si dice convinta che «se non molliamo lo costringiamo anche a sedersi a un tavolo delle trattative per cercare una pace giusta». E ricorda: «Ovviamente è l’obiettivo che abbiamo».
Ma è sui toni delle ultime settimane che si concentra il premier, riferendosi alle parole del presidente francese, Emmanuel Macron, circa la possibilità di inviare truppe in Ucraina: «Non ho condiviso le sue parole, l’ho detto anche a lui. Si deve fare attenzione ai toni», spiega. Anche se «non vuol dire che non si debba fare ciò che è giusto». Infine chiarisce: «Arrivo da un Consiglio Ue dove si parlava di Protezione civile e mi ritrovo su diversi quotidiani che noi staremmo preparando l’Europa alla guerra, perché c’era un passaggio che diceva che bisogna mettere in cooperazione la risposta alla crisi, ma si parlava di Protezione civile». Segue la linea il vicepremier, Antonio Tajani: «Non invieremo mai soldati italiani a combattere in guerra contro la Russia».
E mentre in Europa si cerca di abbassare i toni, le parole del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, non aiutano allo scopo. Durante un incontro in Carolina del Nord, Biden è tornato a definire il presidente russo «macellaio». Non è la prima volta, accadeva già nel marzo del 2022 con i rifugiati ucraini a Varsavia, ma ora l’escalation è ancora più preoccupante. Il Pentagono ha infatti affermato che gli Usa sono pronti ad adempiere ai propri obblighi di protezione dei Paesi Nato, compresi quelli relativi agli attacchi missilistici russi che potrebbero minacciare la Polonia. «Difenderemo ogni centimetro della Nato», le parole della vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, intervenuta dopo che il viceministro degli Esteri polacco, Andrzej Szejna, ha ammesso che «si sta considerando la possibilità di abbattere i missili quando sono già molto vicini al confine».
Allo stesso tempo, risulta quantomeno ambigua la posizione americana circa i bombardamenti ucraini in territorio russo. «La nostra posizione dall’inizio della guerra è sempre stata quella di non incoraggiare né sostenere l’Ucraina a colpire al di fuori del proprio territorio», ha ribadito ancora una volta il portavoce per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Matthew Miller. Ambiguità che però potrebbe essere parte di una strategia. Lo suggeriscono le dichiarazioni del ministro degli Esteri svedese, Tobias Billström, che si è mostrato molto chiaro nel dire che per fermare l’aggressione contro l’Ucraina, «l’Occidente dovrebbe mirare a creare maggiori difficoltà strategiche nel tentativo di controllare il comportamento della Russia». Secondo Billström, la Nato non starebbe facendo abbastanza in Ucraina perché le forze armate di Kiev hanno bisogno «di quasi tutto». «Fornire più attrezzature militari all’Ucraina non è una questione di capacità industriale», ha chiarito, «è una questione di volontà politica». E mentre Kiev conta le munizioni, Mosca colpisce duro a Kharkiv - dove i missili sono caduti, facendo un morto e diversi feriti - e continua a perfezionare il lancio di quelli ipersonici. La loro particolarità è quella di viaggiare ad altissima velocità: ci vogliono due minuti per raggiungere Odessa e poco meno di sei per colpire Kiev e la popolazione non avrebbe il tempo di fuggire. Come se non bastasse, secondo l’intelligence britannica, Mosca starebbe preparando una flotta fluviale per contrastare le forze ucraine sul Dnipro. «La Russia vuole probabilmente impedire e negare le operazioni fluviali ucraine, come l’operazione per stabilire e mantenere la testa di ponte di Krynky».
Nelle stesse ore la tensione continua a essere alimentata a causa del dibattito circa la matrice dell’attacco alla Crocus City Hall, la sala concerti di Mosca colpita da un attentato lo scorso venerdì. Putin ha ammesso che potrebbero essere stati i jihadisti, (che hanno più volte rivendicato l’attacco), ma non rinuncia all’idea che Kiev abbia partecipato in qualche modo all’operazione. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, «è difficile credere» che l’Isis possa avere avuto la capacità di realizzare un attacco del genere». Mentre il capo dei servizi di sicurezza russi (Fsb), Alexander Bortnikov, è tornato sul tema ribadendo che «l’azione sarebbe stata preparata sia dagli islamici radicali che, ovviamente, facilitata dai servizi segreti occidentali e ucraini». Ma non solo, perché Bortnikov, che si dice certo che l’Ucraina addestri miliziani islamisti in Medio Oriente, avverte: «Il capo dei servizi segreti militari ucraini, Kirylo Budanov, è un obiettivo legittimo per le forze militari russe».
Anche il premier Meloni a Giordano ha confessato: «Immaginare in una città blindata, in uno Stato che è coinvolto in un conflitto, quattro attentatori che entrano e uccidono decine di persone e si allontanano praticamente indisturbati, obiettivamente colpisce».
Intanto risultano esserci ancora 95 persone disperse dopo l’attentato alla sala concerti e si conta ancora una vittima: 140 morti il bilancio attuale.
Allarme spie turche nelle Procure
Repubblica ha riferito in questi giorni che l’agenzia d’intelligence turca, il Milli Istihbarat Teskilati (Mit), dispone di una vasta rete di informatori in Italia. A differenza di quanto gli uomini del Mit fanno in altri Paesi Ue, dove operano illegalmente protetti dallo status di «diplomatici», in Italia si servirebbero di traduttori che secondo il quotidiano «collaborano con le Procure su inchieste rilevanti». La sensibilità sul tema è elevatissima dato che coinvolge un Paese alleato della Nato, con il quale non sono mancati gli scontri nel recente passato, vedi quando l’allora premier, Mario Draghi, parlando del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, disse: «Con i dittatori bisogna essere franchi, ma cooperare». Che non tutti i cittadini turchi che fanno i traduttori o che lavorano per le Procure siano coinvolti in questa storia è evidente, tuttavia, secondo Repubblica «è stato emesso un avviso all’interno delle nostre forze dell’ordine e degli apparati di sicurezza».
Ma perché proprio l’Italia e soprattutto le Procure? Secondo un alto funzionario di un servizio segreto del Nord Europa che parla alla Verità protetto dall’anonimato, nel nostro Paese «sono attualmente in corso importanti inchieste a proposito di finanziamento al terrorismo, che toccano direttamente importanti personalità turche. Lo stesso vale per alcune vicende relative al traffico d’armi ed è evidente come al deep State turco tutto questo interessi e molto. Ma non accade solo da voi perché è un fenomeno diffuso in tutto il Vecchio continente».
Ma com’è organizzato il Mit? Il numero esatto di uomini che lo compongono non è pubblicamente noto, tuttavia, le stime variano a seconda della fonte, con alcuni che ipotizzano un organico di circa 6.000 persone, mentre altri arrivano fino a 15.000. Il budget annuale è stimato in circa 2 miliardi di dollari, che servono a mantenere una macchina complessa (nella quale ci sono almeno due altre agenzie segretissime), operativa tra la raccolta d’intelligence, il controspionaggio, la lotta al terrorismo e la sicurezza informatica. Il Mit, oggi diretto da Ibrahim Kalin, ha uffici in tutto il mondo, con una forte concentrazione in Medio Oriente, Africa ed Europa, dove si occupa in prevalenza di spiare i connazionali, non di rado rapiti e condotti in patria se sgraditi al regime islamista di Ankara. In aggiunta ai circa 6.000-15.000 agenti stipendiati, il Mit si avvale anche di una impressionante rete di informatori, tra i quali spiccano molti imam inviati e stipendiati in Europa dal Diyanet (presidenza degli Affari religiosi), un’importante istituzione statale turca che svolge un ruolo primario nella promozione dell’islam in patria e all’estero. Come scrive Repubblica, che ha visionato gli atti, gli investigatori italiani «hanno già individuato due collaboratori del Mit che, poche settimane fa, sono stati contattati dalla questura di Milano proprio per fornire servizi di interpretariato turco-italiano nell’ambito di un’indagine verosimilmente della Procura». Inoltre, ai due «sono stati offerti altri incarichi anche da parte di altre Procure del Sud». Ora è fondamentale sapere da quanto tempo è attiva questa rete e quante persone ne facciano parte.
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Riduci
Il premier a «Fuori dal coro»: «Non condivido le parole dell’Eliseo. Se non molliamo, Putin tratterà». Tajani: «Non invieremo mai soldati italiani». Mosca: «Difficile credere che l’attentato sia dell’Isis».Spie turche, allertati gli apparati di sicurezza italiani: le talpe avrebbero partecipato a indagini rilevanti spacciandosi per traduttori. Due sarebbero già state identificate a Milano.Lo speciale contiene due articoli.Livello della tensione alle stelle tra Russia e Occidente e il premier, Giorgia Meloni, torna a parlare di Ucraina. Lo fa con Mario Giordano a Fuori dal coro, in onda ieri sera su Rete 4. «Vladimir Putin aveva in testa una guerra lampo e oggi chi cerca di aiutare l’Ucraina allontana la guerra rispetto alla possibilità che arrivi nel cuore d’Europa», ha spiegato Meloni, che si dice convinta che «se non molliamo lo costringiamo anche a sedersi a un tavolo delle trattative per cercare una pace giusta». E ricorda: «Ovviamente è l’obiettivo che abbiamo». Ma è sui toni delle ultime settimane che si concentra il premier, riferendosi alle parole del presidente francese, Emmanuel Macron, circa la possibilità di inviare truppe in Ucraina: «Non ho condiviso le sue parole, l’ho detto anche a lui. Si deve fare attenzione ai toni», spiega. Anche se «non vuol dire che non si debba fare ciò che è giusto». Infine chiarisce: «Arrivo da un Consiglio Ue dove si parlava di Protezione civile e mi ritrovo su diversi quotidiani che noi staremmo preparando l’Europa alla guerra, perché c’era un passaggio che diceva che bisogna mettere in cooperazione la risposta alla crisi, ma si parlava di Protezione civile». Segue la linea il vicepremier, Antonio Tajani: «Non invieremo mai soldati italiani a combattere in guerra contro la Russia». E mentre in Europa si cerca di abbassare i toni, le parole del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, non aiutano allo scopo. Durante un incontro in Carolina del Nord, Biden è tornato a definire il presidente russo «macellaio». Non è la prima volta, accadeva già nel marzo del 2022 con i rifugiati ucraini a Varsavia, ma ora l’escalation è ancora più preoccupante. Il Pentagono ha infatti affermato che gli Usa sono pronti ad adempiere ai propri obblighi di protezione dei Paesi Nato, compresi quelli relativi agli attacchi missilistici russi che potrebbero minacciare la Polonia. «Difenderemo ogni centimetro della Nato», le parole della vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, intervenuta dopo che il viceministro degli Esteri polacco, Andrzej Szejna, ha ammesso che «si sta considerando la possibilità di abbattere i missili quando sono già molto vicini al confine». Allo stesso tempo, risulta quantomeno ambigua la posizione americana circa i bombardamenti ucraini in territorio russo. «La nostra posizione dall’inizio della guerra è sempre stata quella di non incoraggiare né sostenere l’Ucraina a colpire al di fuori del proprio territorio», ha ribadito ancora una volta il portavoce per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Matthew Miller. Ambiguità che però potrebbe essere parte di una strategia. Lo suggeriscono le dichiarazioni del ministro degli Esteri svedese, Tobias Billström, che si è mostrato molto chiaro nel dire che per fermare l’aggressione contro l’Ucraina, «l’Occidente dovrebbe mirare a creare maggiori difficoltà strategiche nel tentativo di controllare il comportamento della Russia». Secondo Billström, la Nato non starebbe facendo abbastanza in Ucraina perché le forze armate di Kiev hanno bisogno «di quasi tutto». «Fornire più attrezzature militari all’Ucraina non è una questione di capacità industriale», ha chiarito, «è una questione di volontà politica». E mentre Kiev conta le munizioni, Mosca colpisce duro a Kharkiv - dove i missili sono caduti, facendo un morto e diversi feriti - e continua a perfezionare il lancio di quelli ipersonici. La loro particolarità è quella di viaggiare ad altissima velocità: ci vogliono due minuti per raggiungere Odessa e poco meno di sei per colpire Kiev e la popolazione non avrebbe il tempo di fuggire. Come se non bastasse, secondo l’intelligence britannica, Mosca starebbe preparando una flotta fluviale per contrastare le forze ucraine sul Dnipro. «La Russia vuole probabilmente impedire e negare le operazioni fluviali ucraine, come l’operazione per stabilire e mantenere la testa di ponte di Krynky». Nelle stesse ore la tensione continua a essere alimentata a causa del dibattito circa la matrice dell’attacco alla Crocus City Hall, la sala concerti di Mosca colpita da un attentato lo scorso venerdì. Putin ha ammesso che potrebbero essere stati i jihadisti, (che hanno più volte rivendicato l’attacco), ma non rinuncia all’idea che Kiev abbia partecipato in qualche modo all’operazione. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, «è difficile credere» che l’Isis possa avere avuto la capacità di realizzare un attacco del genere». Mentre il capo dei servizi di sicurezza russi (Fsb), Alexander Bortnikov, è tornato sul tema ribadendo che «l’azione sarebbe stata preparata sia dagli islamici radicali che, ovviamente, facilitata dai servizi segreti occidentali e ucraini». Ma non solo, perché Bortnikov, che si dice certo che l’Ucraina addestri miliziani islamisti in Medio Oriente, avverte: «Il capo dei servizi segreti militari ucraini, Kirylo Budanov, è un obiettivo legittimo per le forze militari russe». Anche il premier Meloni a Giordano ha confessato: «Immaginare in una città blindata, in uno Stato che è coinvolto in un conflitto, quattro attentatori che entrano e uccidono decine di persone e si allontanano praticamente indisturbati, obiettivamente colpisce».Intanto risultano esserci ancora 95 persone disperse dopo l’attentato alla sala concerti e si conta ancora una vittima: 140 morti il bilancio attuale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-putin-2667622739.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="allarme-spie-turche-nelle-procure" data-post-id="2667622739" data-published-at="1711620586" data-use-pagination="False"> Allarme spie turche nelle Procure Repubblica ha riferito in questi giorni che l’agenzia d’intelligence turca, il Milli Istihbarat Teskilati (Mit), dispone di una vasta rete di informatori in Italia. A differenza di quanto gli uomini del Mit fanno in altri Paesi Ue, dove operano illegalmente protetti dallo status di «diplomatici», in Italia si servirebbero di traduttori che secondo il quotidiano «collaborano con le Procure su inchieste rilevanti». La sensibilità sul tema è elevatissima dato che coinvolge un Paese alleato della Nato, con il quale non sono mancati gli scontri nel recente passato, vedi quando l’allora premier, Mario Draghi, parlando del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, disse: «Con i dittatori bisogna essere franchi, ma cooperare». Che non tutti i cittadini turchi che fanno i traduttori o che lavorano per le Procure siano coinvolti in questa storia è evidente, tuttavia, secondo Repubblica «è stato emesso un avviso all’interno delle nostre forze dell’ordine e degli apparati di sicurezza». Ma perché proprio l’Italia e soprattutto le Procure? Secondo un alto funzionario di un servizio segreto del Nord Europa che parla alla Verità protetto dall’anonimato, nel nostro Paese «sono attualmente in corso importanti inchieste a proposito di finanziamento al terrorismo, che toccano direttamente importanti personalità turche. Lo stesso vale per alcune vicende relative al traffico d’armi ed è evidente come al deep State turco tutto questo interessi e molto. Ma non accade solo da voi perché è un fenomeno diffuso in tutto il Vecchio continente». Ma com’è organizzato il Mit? Il numero esatto di uomini che lo compongono non è pubblicamente noto, tuttavia, le stime variano a seconda della fonte, con alcuni che ipotizzano un organico di circa 6.000 persone, mentre altri arrivano fino a 15.000. Il budget annuale è stimato in circa 2 miliardi di dollari, che servono a mantenere una macchina complessa (nella quale ci sono almeno due altre agenzie segretissime), operativa tra la raccolta d’intelligence, il controspionaggio, la lotta al terrorismo e la sicurezza informatica. Il Mit, oggi diretto da Ibrahim Kalin, ha uffici in tutto il mondo, con una forte concentrazione in Medio Oriente, Africa ed Europa, dove si occupa in prevalenza di spiare i connazionali, non di rado rapiti e condotti in patria se sgraditi al regime islamista di Ankara. In aggiunta ai circa 6.000-15.000 agenti stipendiati, il Mit si avvale anche di una impressionante rete di informatori, tra i quali spiccano molti imam inviati e stipendiati in Europa dal Diyanet (presidenza degli Affari religiosi), un’importante istituzione statale turca che svolge un ruolo primario nella promozione dell’islam in patria e all’estero. Come scrive Repubblica, che ha visionato gli atti, gli investigatori italiani «hanno già individuato due collaboratori del Mit che, poche settimane fa, sono stati contattati dalla questura di Milano proprio per fornire servizi di interpretariato turco-italiano nell’ambito di un’indagine verosimilmente della Procura». Inoltre, ai due «sono stati offerti altri incarichi anche da parte di altre Procure del Sud». Ora è fondamentale sapere da quanto tempo è attiva questa rete e quante persone ne facciano parte.
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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