2021-03-09
Biden sta spingendo Riad tra le braccia di Mosca
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Joe Biden (Ansa)
La politica mediorientale di Joe Biden sta spingendo sempre più l'Arabia Saudita tra le braccia della Russia. A fine febbraio, i due Paesi hanno non a caso concordato un patto di cooperazione militare (della durata di cinque anni, con proroga automatica), che si articolerà in vari settori: dall'addestramento delle truppe alla lotta al terrorismo e alla pirateria. Salta subito all'occhio come questo accordo sia stato raggiunto sostanzialmente in concomitanza con il peggioramento dei rapporti tra Washington e Riad.
La politica mediorientale di Joe Biden sta spingendo sempre più l'Arabia Saudita tra le braccia della Russia. A fine febbraio, i due Paesi hanno non a caso concordato un patto di cooperazione militare (della durata di cinque anni, con proroga automatica), che si articolerà in vari settori: dall'addestramento delle truppe alla lotta al terrorismo e alla pirateria. Salta subito all'occhio come questo accordo sia stato raggiunto sostanzialmente in concomitanza con il peggioramento dei rapporti tra Washington e Riad. Entrato in carica da poco più di un mese, Biden ha già inferto una serie di duri colpi ai sauditi: ha infatti congelato la vendita di armamenti, sconfessato la guerra nello Yemen e pubblicato il rapporto sull'omicidio di Jamal Khashoggi. Un deciso cambio di passo rispetto agli anni di Donald Trump, quando l'Arabia Saudita era diventato un ferreo alleato di Washington nello scacchiere mediorientale e nordafricano.Ecco che dunque le mosse di Biden stanno spingendo Riad ad avvicinarsi (ulteriormente) a Mosca. Ricordiamo che, nel recente passato, le relazioni tra russi e sauditi non fossero state esattamente delle migliori. In particolare, i loro rapporti attraversarono una fase di turbolenza dopo scoppio della guerra in Siria nel 2011: in quel frangente, Riad non apprezzò troppo l'intervento militare di Vladimir Putin a fianco di Bashar al Assad nel 2015. Nel corso del tempo tuttavia le relazioni sono progressivamente migliorate. Nella fattispecie, il vero punto di svolta si verificò nell'ottobre del 2017, con la visita di re Salman a Mosca: in quell'occasione i due Paesi siglarono quindici accordi di investimento in vari settori, mentre il Cremlino iniziò a proporre ai sauditi l'acquisto del sistema missilistico russo S-400.Una mossa, quest'ultima, che ha portato non poche preoccupazioni dalle parti di Washington. Tuttavia, in generale, è abbastanza chiaro che il disgelo russo-saudita fosse stato indirettamente favorito dall'ascesa di Trump, il quale – guarda caso – era arrivato da pochi mesi alla Casa Bianca. Quello stesso Trump che aveva chiaramente lasciato intendere di voler aprire a Mosca e che aveva già effettuato – nel maggio del 2017 – un viaggio in Arabia Saudita, per siglarvi un sostanzioso accordo commerciale nel settore militare. Non solo: perché l'avvicinamento di Riad a Mosca ha continuato a saldarsi anche in forza dello stesso caso Khashoggi. Se l'omicidio del giornalista creò un attrito interno agli Stati Uniti tra Trump e il Congresso, l'Arabia Saudita – presagendo crescente ostilità sul fronte americano – ha rafforzato la propria convergenza con Putin, che ha sempre considerato il rispetto dell'altrui sovranità nazionale come la stella polare della propria politica estera. In questo quadro, al G20 del novembre 2018 il capo del Cremlino diede platealmente il cinque al principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, quando molti degli altri leader presenti cercavano di evitarlo con imbarazzo.Un'ulteriore convergenza si verificò nell'ottobre del 2019, quando Putin si recò in visita in Arabia Saudita, dove siglò una dozzina di memorandum d'intesa nei settori dell'energia, della petrolchimica, dei trasporti e dell'intelligenza artificiale. Tutto questo, senza trascurare che Russia, Arabia Saudita ed Egitto abbiano creato in Libia un asse in sostegno del generale Khalifa Haftar: un asse in cui si scorge tra l'altro una comune ostilità nei confronti della Fratellanza musulmana e, più in generale, della politica estera obamiana di destabilizzazione regionale. E' quindi abbastanza chiaro che Putin voglia adesso far leva sulla crescente ostilità americana verso Mohammad bin Salman per attrarre sempre più Riad nella propria orbita. E non è escludibile che il viaggio attualmente in corso del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nei Paesi del Golfo abbia (anche) questo obiettivo. Un rischio che probabilmente Biden ha presente (non si spiegherebbe altrimenti l'assenza di sanzioni dirette contro Mbs), ma rispetto a cui il presidente americano si ritrova con le mani legate. Un atteggiamento meno severo verso il principe ereditario saudita rischia infatti di creare all'inquilino della Casa Bianca enormi problemi di politica interna: soprattutto da parte di quelle fazioni della sinistra dem che fanno del rispetto dei diritti umani un elemento assolutamente irrinunciabile. E, sotto questo aspetto, un incremento della cooperazione militare tra sauditi e russi risulta indubbiamente significativo. Senza poi trascurare che le trattative per l'acquisto del sistema S-400 sembrerebbero essere al momento ancora in corso. Certo: la strada non è totalmente in discesa. La Russia intrattiene innanzitutto storici e saldi rapporti con l'Iran (che dei sauditi è atavico rivale regionale), mentre – in secondo luogo – si sono verificati attriti tra Mosca e Riad nell'ultimo anno sul fronte petrolifero. In terzo luogo, nonostante le forti turbolenze, Riad e Washington, non potranno rinunciare del tutto alla loro storica alleanza regionale, per motivi geopolitici e commerciali. Resta ciononostante il fatto che Mosca abbia al momento tutte le carte in regola per continuare ad inserirsi. In particolare, il legame con l'Iran potrebbe rivelarsi (paradossalmente) uno strumento vincente nelle mani di Putin. Da circa sei anni, lo Zar sta conducendo in Medio Oriente una politica estera pragmatica, intrattenendo buone relazioni con tutti (dai sauditi agli iraniani, passando per gli israeliani) e proponendosi sempre più come mediatore nell'area. Non è affatto da escludere che il Cremlino stia cercando di lavorare a svolte diplomatiche inedite: svolte, di cui proprio Riad e Teheran potrebbero prima o poi risultare protagoniste. Una strada stretta e difficile da percorrere. Ma che le debolezze incongruenti di Biden potrebbero rendere sempre più praticabile.