2024-07-24
Vertice Bibi-Biden: prima mina per la Harris
Joe Biden e Benjamin Netanyahu (Getty Images)
Bibi Netanyahu è a Washington: parlerà al Congresso e domani vedrà il presidente. La vice si è defilata con una scusa: teme di irritare i dem filopalestinesi. Ma per vincere negli Stati chiave avrà bisogno di Shapiro, governatore della Pennsylvania e amico di Israele.La visita negli Stati Uniti di Benjamin Netanyahu irrompe nella campagna elettorale americana. E potrebbe rappresentare un grosso problema per Kamala Harris, qualora l’attuale vicepresidente diventasse la candidata presidenziale del Partito democratico.Il premier israeliano è atterrato nella capitale Usa lunedì e oggi terrà un discorso alle Camere riunite del Congresso. Non solo. Oltre a vari alti funzionari dell’amministrazione americana, dovrebbe incontrare domani lo stesso Joe Biden per discutere dell’accordo sul cessate il fuoco e degli ostaggi. E quindi? Che cosa c’entra la Harris? C’entra eccome. Non è infatti un mistero che, negli scorsi mesi, la crisi di Gaza abbia significativamente spaccato l’elettorato e le pattuglie parlamentari del Partito democratico. L’asinello, in altre parole, si è ritrovato diviso tra un’ala filoisraeliana e una filopalestinese. Il punto è che quest’ultima risulta particolarmente forte in alcuni Stati cruciali per le elezioni di novembre, come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Non a caso, in queste aree una parte della sinistra dem aveva avviato una campagna di boicottaggio ai danni della ricandidatura di Biden, accusato di essere troppo vicino a Israele. Sempre in questo clima, alcuni parlamentari di estrema sinistra, come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, si sono espressi contro l’invito di Netanyahu al Congresso.Ed ecco il problema. Per quanto non sia ancora del tutto certo, è al momento probabile che la Harris sarà la candidata sostitutiva dell’attuale presidente: ha ricevuto endorsement di peso (da Hillary Clinton a Nancy Pelosi), può usufruire direttamente dei fondi a disposizione della campagna di Biden e, soprattutto, un elevato numero di delegati ha espresso l’intenzione di votare per lei alla convention nazionale democratica di agosto. Ebbene, da probabile candidata, come si rapporterà la Harris alla visita di Netanyahu? La vicepresidente rischia molto, perché un passo falso potrebbe alienarle pezzi consistenti del Partito democratico. In altre parole, come farà a evitare contemporaneamente di irritare l’ala filoisraeliana e quella filo-palestinese dell’asinello? È un mistero.Per ora, la Harris sta cercando di tenere un basso profilo. Politico ha rivelato innanzitutto che non parteciperà al discorso di Netanyahu, ufficialmente a causa di un impegno pregresso a Indianapolis. In secondo luogo, la medesima testata ha riferito che avrà, sì, un bilaterale col premier israeliano «questa settimana», ma soltanto in forma privata. Insomma, è chiaro che la Harris punta a volare basso nel nome di una strategia evasiva, che potrebbe però alla fine scontentare tutti nel partito: sia i sostenitori di Israele sia i critici di Netanyahu. Senza ovviamente trascurare che, con ogni probabilità, i repubblicani ne approfitteranno per accusare la vicepresidente di ambiguità sulla crisi di Gaza. D’altronde, un funzionario dello Stato ebraico ha definito ieri «deludente» l’assenza annunciata della vicepresidente al discorso odierno di Netanyahu.Dall’altra parte, il premier israeliano avrà un incontro con Donald Trump durante il suo soggiorno americano. È noto come il Gop sia maggiormente vicino a Netanyahu soprattutto per quanto riguarda l’ostilità condivisa nei confronti del regime iraniano e delle sue ambizioni nucleari: un regime verso cui l’amministrazione Biden-Harris ha invece portato sempre avanti una linea di sostanziale appeasement. Sotto questo aspetto, non è da escludere che, nel suo discorso di oggi al Congresso, Netanyahu possa approfittarne per criticare, più o meno apertamente, la politica dell’attuale Casa Bianca nei confronti di Teheran. Un’eventualità, questa, che potrebbe mettere in imbarazzo la Harris, costringendola a uscire allo scoperto. Insomma, se Biden avesse voluto fare un favore alla sua vice, avrebbe dovuto attendere la conclusione della visita americana di Netanyahu prima di annunciare il proprio ritiro dalla corsa elettorale. Eppure non l’ha fatto. Per quale ragione?Frattanto la vicepresidente deve fare i conti anche con altri problemi. Barack Obama continua a restare silente, evitando di darle l’endorsement: segno, questo, che l’establishment del partito non è ancora compattamente schierato con la Harris. In secondo luogo, per conquistare Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, la vicepresidente non potrà, in caso, limitarsi a non irritare la sinistra filopalestinese. Dovrà anche saper parlare ai colletti blu di quegli Stati, battendo la concorrenza del candidato vicepresidenziale repubblicano, JD Vance, che è particolarmente amato dalla classe operaia della Rust belt. Una classe operaia a cui la Harris ha invece sempre avuto poco da dire, essendo rappresentante di una sinistra liberal che ha la sua base di consenso principalmente nei ceti cittadini altolocati del New England e della California. Ecco perché, secondo indiscrezioni, potrebbe presto scegliere come proprio vice il governatore dem della Pennsylvania, Josh Shapiro, che è però uno strenuo sostenitore di Israele: fattore, questo, che potrebbe renderlo indigesto alla sinistra filopalestinese. La vicepresidente rischia quindi di cadere in un cortocircuito, mandando in pezzi la coalizione elettorale che portò Biden alla Casa Bianca nel 2020. Le divisioni che dilaniano l’asinello incombono, insomma, sulla probabile candidatura della Harris.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.