2022-10-15
Berlusconi tiene in allerta i «falchi». E il biglietto diventa una miccia
Il Cav potrebbe cedere all’Aventino suggerito dall’ala dura di Fi dopo un’apparente pace con gli alleati. Il cruccio resta il ministero della Giustizia, dove il possibile candidato Carlo Nordio sconta il peccato della toga.«Sempre lì a cercare la donna, voi cronisti. Questa volta cercate la toga». La frase sibillina che aleggia a Montecitorio nel gazebo per fumatori da bar di periferia (unico lascito di Roberto Fico) è un indizio in più: a mandare sull’Aventino Forza Italia non è stato solo il lodo Ronzulli. Il No sulla fedelissima di Silvio Berlusconi è lo sparo a Sarajevo. Ma il motivo che ha creato la prima gastrite pubblica nel partito azzurro è un altro: l’indisponibilità di Giorgia Meloni a lasciare il ministero della Giustizia al Cavaliere. Questo è il significato del «con i veti, niente voti».Il giorno dopo lo show del vaffa, il partito vorrebbe guardare avanti. Da sempre custodi del liberalismo e della democrazia costituzionale, i parlamentari di Forza Italia sostengono con fatica la parte dei «sindacalisti da poltrona» affibbiata loro e non vedono l’ora di liberarsene. Di prima mattina Antonio Tajani aveva detto: «Oggi Lorenzo Fontana viene eletto alla prima votazione» e così è stato, anche se con 15 voti in meno. Un segnale di distensione perché, come spiega Giorgio Mulè, «non reclamiamo poltrone ma dignità politica. Ed ora ci aspettiamo un riconoscimento per il nostro sacrificio sulle scelte delle Camere».Il mal di pancia a Villa Grande è stato doloroso. Lo conferma l’appunto messo in bella mostra sullo scranno da Berlusconi - a caratteri quasi cubitali perché il fotografo de La Repubblica lo riprendesse -, con le sue stizzite valutazioni sulla possibile premier. «Giorgia Meloni, un comportamento 1) supponente, 2) prepotente, 3) arrogante, 4) offensivo, 5) ridicolo (complimento poi cancellato, ndr). Nessuna disponibilità ai cambiamenti, è una con cui non si può andare d’accordo». L’ideale per aumentare il tasso di tossicità nell’aria. Ignazio La Russa lo ha sfidato chiedendogli «di dire che è un fake», in serata la stessa Meloni replica duramente riaprendo la ferita. In passato il Cavaliere non avrebbe riservato simili epiteti neppure a rifondaroli e grillini. Stupiscono i numeri accanto alle parole, come se fossero punti di un discorso mai nato. E incuriosisce il destinatario mediatico, quello delle dieci domande, storico custode del livore antiberlusconiano. Lo stesso a cui si affidò 13 anni fa Veronica Lario per denunciare «il drago a cui si offrono le vergini».L’omerica arrabbiatura dopo l’ultimo summit è alla base di tutto. «Al Cavaliere nessuno aveva detto tre volte no. Cosa pensavate che accadesse?», sussurra un habitué di Arcore. Primo No di Meloni sull’aumento del numero dei ministri per Forza Italia (in partenza tre), visto il sacrificio sui ruoli istituzionali. Secondo No su un dicastero per Licia Ronzulli, tradotto come un veto alla persona. Terzo No, il più sofferto e indigesto, sulla Giustizia. Fratelli d’Italia ha sempre in mente Carlo Nordio, che per il leader azzurro ha il peccato originale: era un magistrato. Berlusconi ha capito che la riforma della giustizia necessita di interventi radicali: separazione delle carriere, nuovo Csm, responsabilità civile sugli errori macroscopici, nomine dei dirigenti. Per arrivarci sa che dovrà superare mille ostacoli, soprattutto con i dirigenti di sinistra, un ex pm a via Arenula. E a proteggerlo un partito, Fratelli d’Italia, non garantista come lui vorrebbe.Nessuno in Forza Italia vuol morire per Ronzulli, l’occasione del ritorno dopo 11 anni a Montecitorio Mountain è da utilizzare al meglio per rinvigorire le politiche liberali, e marcare la differenza nei confronti dei socialisti mascherati (Matteo Renzi e Carlo Calenda) che arano il campo berlusconiano. Ma sui temi chiave il gotha azzurro chiede garanzie. Gianfranco Micciché, Anna Maria Bernini, la stessa pluri-candidata (Tajani è il più dialogante) l’altroieri hanno spinto per la prova di forza e il patriarca non l’ha impedita. Secondo lui, come rivela il Corriere della Sera, «per non dare l’impressione ai parlamentari di prima nomina di essere finiti all’interno di un partito dittatoriale». Secondo La Russa «perché Miccichè e la Ronzulli gli danno addosso e lui purtroppo si fa portare». Una valutazione impietosa, il segnale anche anagrafico del crepuscolo degli dei.A sera arriva la doccia gelata. La frase di Meloni «Fra le cose scritte da Berlusconi ne manca una, non sono ricattabile», ha l’effetto di un terremoto politico. Forza Italia torna in allarme rosso. Ora il rischio è che l’ala dura convinca i governisti a salire al Quirinale in solitudine, fuori dalla coalizione, in favore di telecamera per sancire lo strappo. Sarebbe un autogol devastante e farebbe felici le opposizioni. Mai così divisi e imbarazzanti nelle mosse preliminari, Pd e 5Stelle troverebbero terreno fertile per additare una maggioranza sfilacciata prima di cominciare. Già durante la giornata delle caramelle il Cavaliere aveva fatto capire il mood: «Votiamo Fontana per non sprecare altro tempo, ma da noi devono passare. La Meloni non può mica pensare di andare avanti con i voti dell’opposizione». Poi un insulto dopo l’altro. Gli elettori non meritano una lite da mercato rionale al giorno due. Sarà un weekend molto lungo.