2021-09-28
Ora Berlino non farà più rima con Pechino
Joe Biden e Angela Merkel (Getty Images)
Durante la lunga era di Angela Merkel, la Germania si è spostata su posizioni che strizzavano l'occhio alla Russia e alla Cina. L'ascesa di forze come Verdi e liberali cambia le carte in tavola. E adesso a sorridere sono soprattutto Washington e Londra.In Germania sono diventati centrali gli amici di Washington e Londra. Tutti a parlare di continuità con Angela Merkel, ma la verità è un'altra: a dare le carte a Berlino sono ora i partiti anti-cinesi. Ecco perché. All'indomani del voto alle elezioni politiche, non è per nulla chiaro quanto dureranno i negoziati per definire la coalizione di governo che guiderà la Germania nei prossimi anni. C'è già chi ipotizza una lunga coda del cancellierato di Angela Merkel, a causa delle sfiancanti trattative tra i partiti. Si sa che a Berlino questi rituali tendono ad assorbire molto tempo, e d'altra parte in Parlamento ci potrebbe essere più di una combinazione in grado di assicurare una maggioranza stabile.Da queste elezioni emerge tuttavia con chiarezza un dato: a dare le carte saranno Verdi e liberali. Questi partiti hanno raccolto meno voti di socialdemocratici e democristiani, ma comunque dispongono di abbastanza consenso per essere indispensabili nella formazione della nuova maggioranza. C'è di più: chi vorrà comporre un governo dovrà imbarcare entrambi i partiti, e non solo uno dei due. In molti ritengono che questo complicherà ulteriormente le trattative, e molti commenti dei prossimi giorni insisteranno sulle numerose insidie sulla strada del prossimo governo tedesco. I Verdi, infatti, hanno dichiarato di preferire il governo con la Spd, mentre i liberali tradizionalmente preferiscono il condominio con i democristiani. Inoltre, sul piano programmatico, i Verdi si presentano come un partito di spesa, mentre i liberali fanno proprie le posizioni del deep state tedesco, e in particolare quelle della Bundesbank, tradizionalmente arroccate sul rigore dei conti pubblici e su politiche dei tassi di tenore molto diverse dall'attuale linea della Banca centrale europea.Differenze, certo, ce ne sono. Ma non mancano le comunanze. A unire Verdi e liberali in Germania è soprattutto la fortissima ostilità verso la Cina, a partire dalle continue e gravissime politiche cinesi di repressione delle libertà civili e dei diritti umani, e dal mancato rispetto di Pechino verso l'ambiente. Questa sostanziale convergenza di vedute tra Verdi e liberali, si badi, configura un esplicito controcanto rispetto a Spd e Cdu in politica estera. I lunghi anni di Merkel hanno fatto sì che la Cdu, partito un tempo conservatore-centrista, sotto la guida della Merkel si sia spostato sempre più verso il centro, con una conseguente perdita di voti a destra, l'impossibilità di imbastire coalizioni di centrodestra e la coabitazione prolungata con i socialdemocratici tedeschi. Sul piano geopolitico, la Grosse Koalition (GroKo), vero e proprio marchio di fabbrica del merkelismo, si è tradotta in un sostanziale mercantilismo. Agli ammiccamenti verso la Russia, riflesso contemporaneo del tradizionale tacco-punta eurasiatico di Bismarck, si sono per anni aggiunti quelli verso la Cina. Troppo, anche per i pragmatici tedeschi. Oggi è prima di tutto la comunità industriale tedesca a cogliere la necessità di un tuffo nell'Indo-Pacifico. Da mesi, infatti, il gotha economico tedesco ha stabilito che Pechino è alle prese con forti pressioni interne e sta vivendo una fase di introversione. Il vertice industriale tedesco lo ha capito e incoraggia la politica tedesca a compiere una svolta nei rapporti con Pechino. È un fatto, d'altra parte, che il rapporto sino-tedesco fosse ormai incrinato fin dal 2016, anno della clamorosa acquisizione del produttore tedesco di robot per l'industria, Kuka, da parte del colosso cinese degli elettrodomestici Midea. Ed è un fatto che il piano Cina 2025 sia sempre stato letto con enorme allarme dall'industria tedesca, sempre più consapevole dell'obiettivo cinese di soppiantare la Germania come leader industriale. L'ultimo e ancora più ambizioso piano cinese - divenire entro il 2035 il leader globale negli standard per 5G, Internet of Things e intelligenza artificiale - è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Anche la popolazione tedesca asseconda ormai questa virata. Lo dimostra in maniera vistosa una rilevazione di fine agosto dei sondaggisti di Forsa: il 58% della popolazione tedesca chiede ormai una linea molto più dura contro la Cina, anche se ciò dovesse comportare danni all'economia tedesca. Un altro 17%, più pavido, chiede maggiore durezza contro Pechino ma solo a patto di non danneggiare gli interessi economici di Berlino, mentre solo il 19% è a favore dello status quo. Insomma: tutto fa presumere che il risultato delle elezioni tedesche faccia contente soprattutto Washington e Londra. Dopo molti anni, gli anglo-americani hanno finalmente a Berlino un argine all'eurasismo. E l'Italia? A Roma si finge di non vedere che le elezioni politiche sono prima di tutto partite geopolitiche. Enrico Letta ha rilasciato entusiastiche dichiarazioni sul trionfo della Spd, ma dimentica che a Berlino sono centrali i nemici di Xi. Non che ci sia da stupirsi più di tanto: Letta è tutto preso a riaccogliere nel Pd il sinofilo D'Alema, ed è a capo di un partito la cui ala catto-dem (il triangolo Brescia-Bologna-Trento) da sempre guarda con passione alla Cina.