2025-04-15
La Berlino green sopravvive con il carbone
L'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi (Imagoeconomica)
L’ad di Eni Descalzi squarcia l’ipocrisia della Germania, che catechizza sulla transizione verde ma produce il 26% della sua energia coi combustibili fossili. Poi sferza chi esalta le rinnovabili per partito preso: «Le loro soluzioni sono imbevute di ideologia. E i costi?».Claudio Descalzi è probabilmente il manager più competente in materia di energia di cui l’Italia disponga. Ma, oltre a sapere di che parla, l’amministratore delegato di Eni è anche un tipo a cui piace cantarle chiare, senza troppi giri di parole. Dunque, quando ieri, a Milano, è intervenuto al convegno sul nucleare sostenibile, si è levato parecchi sassolini dalle scarpe e in qualche caso si è trattato di macigni.Prima questione, la transizione energetica: «La Germania è arrivata a un 26-28 per cento di energia prodotta con il carbone, loro che hanno predicato il Green deal e l’hanno imposto a tutti nella Ue». Con poche frasi e qualche numero, Descalzi ha strappato il velo di ipocrisia che circonda il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. «Chi faceva il primo della classe sta sopravvivendo con il carbone», ha sentenziato senza ammettere repliche. Peccato che nel frattempo, sulla spinta dei Verdi (e dei socialisti) tedeschi e dei Paesi del Nord, l’Europa si sia incamminata verso un’economia senza gas, senza petrolio e senza carbone, condannando a morte intere filiere industriali, con quella automobilistica tra le prime.Seconda questione, le fonti che rispettano l’ambiente. Per l’amministratore delegato dell’Eni è necessario mettere da parte ogni approccio ideologico, badando piuttosto ad accostarsi al tema in maniera pratica. Nel settore dell’energia servono «costanza e flessibilità», vale a dire che da un lato la fornitura deve mantenere un livello standard di erogazione e dall’altro deve essere gestibile nel tempo, a seconda delle necessità del Paese. In più i costi devono essere accettabili, mentre al momento da questo punto di vista solo carbone, gas e nucleare offrono un impatto economico che può essere sopportato dal mercato. «L’Intelligenza artificiale ha bisogno di sempre maggiore energia. Ma i data center» ha spiegato Descalzi «stanno funzionando solo dove ci sono bassi costi, e questo te lo consentono solo le fonti fossili, oppure le centrali che sfruttano l’energia dell’atomo. Non possiamo fare grandi salti in Intelligenza artificiale e non pensare a quello che serve per alimentarla. Dal Duemila a oggi abbiamo raddoppiato i consumi di energia. Per il futuro, da una parte avremo bisogno di altra energia, ma dall’altra per crescere saranno indispensabili costi bassi». La conclusione del numero uno del colosso petrolifero, che all’incontro ha annunciato la commercializzazione di centrali nucleari a fusione dal 2030, è stata in linea con la franchezza del ragionamento sulla transizione energetica made in Germany: «Vogliono tutti le rinnovabili, ma quelli che le propongono danno soluzioni imbevute di ideologia. Bisogna essere concreti e fare un elenco di costi e benefici». Il finale è stato un appello alla classe politica, che dovrebbe fornire un quadro completo della situazione e poi decidere, evitando di raccontare solo una parte della storia.Ovviamente, i Verdi duri e puri considereranno Descalzi un uomo di parte, perché alla guida di un gruppo che ricava una buona fetta dei propri profitti dal petrolio e dal gas. In realtà, il cane a sei zampe è impegnato su molti fronti, a cominciare dalle rinnovabili per finire con il riciclo dell’olio esausto o le onde del mare. Ma non è questo il punto. La questione è che a differenza degli ambientalisti che lamentano la siccità anche quando si registra il record di piogge (come quest’anno), Descalzi parla con i numeri e soprattutto contro chi sostiene la transizione energetica per partito preso e perché fa cool dirsi green e contro il petrolio. Salvo poi sfruttare i vantaggi ricaricando la propria macchina elettrica anche se quel «pieno» è fatto con energia prodotta da una centrale a gas o a carbone. Per parte mia l’intervento del manager di Eni lo farei ascoltare a scuola, dove i ragazzi vengono educati non al rispetto dell’ambiente, ma a nutrirsi di ideologia verde come un tempo li si ubriacava di ideologia rossa. Poi li ritrovi a imbrattare le opere d’arte e a fermare il traffico sul Grande raccordo anulare con i militanti di Ultima generazione, senza nemmeno rendersi conto che sono diventati delle marionette di Ultima degenerazione, fase estrema del luogocomunismo di sinistra.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)