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2021-01-20
Berlino ce lo scrive nero su bianco. «Da Biontech 30 milioni di dosi extra»
Angela Merkel (Getty images)
«La Germania si è assicurata la fornitura di 30 milioni di dosi aggiuntive da Biontech». Più chiaro di così si muore, specialmente se a parlare è un portavoce del governo capitanato da Angela Merkel. Contattato dalla Verità, il ministero della Salute tedesco ha confermato senza troppi giri di parole un sospetto che aleggiava ormai da svariate settimane. Lo scorso 8 gennaio, Reuters aveva fornito alcuni importanti dettagli riguardanti la trattativa svoltasi in estate tra l'esecutivo di Berlino e le due case farmaceutiche tedesche Curevac e Biontech, per l'approvvigionamento rispettivamente di 20 milioni e 30 milioni di dosi di vaccino anti Covid. Tutte rigorosamente fuori dagli accordi Ue. Nella sua inchiesta, l'agenzia di stampa londinese aveva tirato in ballo come fonti un leak del ministero e la testimonianza di un funzionario che aveva chiesto di rimanere anonimo. Nelle mani del nostro quotidiano, invece, c'è addirittura un messaggio di posta elettronica firmato da un addetto del dicastero guidato da Jens Spahn.
Secondo le indiscrezioni riportate da Reuters, l'esecutivo avrebbe firmato due distinti «memorandum of understanding»: il primo con Curevac risalente al 31 agosto 2020, e l'altro con Biontech, datato 8 settembre. E un'attenzione particolare va riservata proprio alle date, perché in entrambi i casi i contratti con l'Unione europea non erano ancora stati firmati. L'intesa definitiva con Pfizer-Biontech, infatti, è stata firmata l'11 novembre, mentre quella con Curevac otto giorni più tardi. Quindi, mentre la Commissione trattava con i produttori per «tirare» i prezzi del vaccino, Berlino si muoveva per conto proprio. Tutto ciò in barba all'articolo 7 della «Strategia sui vaccini contro il coronavirus» condivisa dai partner dell'Ue il 18 giugno scorso, con la quale gli Stati membri si impegnavano a «non avviare procedure di acquisto preliminare (i cosiddetti Apa, ndr) per un determinato vaccino con il medesimo produttore». Una norma solo in apparenza chiara e tra le cui pieghe, come vedremo più avanti, la Germania si sarebbe insinuata senza violare gli accordi continentali.
Contestato in patria per aver negoziato un numero insufficiente di dosi a favore del proprio Paese, Jens Spahn si è difeso tirando fuori dal cilindro gli accordi con le case farmaceutiche per accaparrarsi fiale extra. Ora che Pfizer e Biontech sono finite nell'occhio del ciclone per aver tagliato le forniture in tutta Europa, però, il sospetto è che le due aziende abbiano chiuso accordi per un quantitativo di dosi superiore alla propria capacità produttiva. Magari finendo per dare priorità al migliore offerente. Non va dimenticato, d'altronde, che quello strappato dalla Commissione europea dovrebbe essere - almeno sulla carta - un prezzo di favore. Se invece la cancelliera avesse messo sul piatto più soldi, quella di una corsia preferenziale per Berlino non si rivelerebbe un'ipotesi poi tanto assurda. Un'eventualità ancora più grave se inserita nell'attuale contesto di scarsità del vaccino, dal momento che equivarrebbe di fatto a sottrarre dosi agli altri Paesi. Alla faccia della solidarietà europea.
L'imbarazzo di Biontech è palpabile. Contattato dal nostro quotidiano, un responsabile dell'azienda tedesca ha prima negato qualsiasi tipo di accordo preliminare di acquisto con il governo tedesco: «Non esiste alcun contratto e nessuna dose è stata acquistata, tutti gli accordi di fornitura sono stati firmati con la Commissione europea per conto degli Stati membri». Poi, una precisazione sibillina. «Un memorandum of understanding è cosa diversa da una procedura preliminare di acquisto». E qui torniamo alla normativa europea, perché in effetti a essere proibiti sono gli Apa, e non le altre tipologie di accordo. Paradossalmente, dunque, sfruttando questo cavillo il governo tedesco avrebbe evitato di violare formalmente gli accordi. Rimane il fatto che così facendo, a prescindere dall'aver infranto o meno le regole, la Merkel ha tradito la fiducia delle istituzioni europee e dei Paesi partner.
Non si tratta di un caso isolato, perché nella serata di ieri anche Curevac ha confermato alla Verità i contatti con Spahn e soci in merito alle dosi extra accordo Ue: «Le trattative con il governo tedesco sono ancora in corso e non possiamo commentare». Forse a stupire maggiormente è proprio l'atteggiamento della Commissione. Nel corso dell'audizione di fronte al Parlamento europeo svoltasi la scorsa settimana, il direttore della Direzione generale Salute e sicurezza alimentare nonché capo dei negoziati con le case farmaceutiche, Sandra Gallina, ha negato tutto: «Dal mio punto di vista, sulla base di quanto mi è stato detto, questi presunti contratti bilaterali stipulati dagli Stati membri non esistono». Se a noi è stato sufficiente inviare una e-mail per scoprire come stanno le cose, perché il presidente Ursula von der Leyen non ha indagato più a fondo? Viene da pensare che, pur di non dare contro alla Germania, Bruxelles abbia preferito ancora una volta mettere la testa sotto la sabbia.
Curevac, la trasparenza è una farsa
L'operazione trasparenza si è rivelata una farsa. Avevamo dato notizia delle restrizioni imposte la scorsa settimana agli europarlamentari che volevano visionare a Bruxelles, per pochi giorni e in soli 50 minuti, il primo contratto sui vaccini non segretato. Si tratta dell'accordo della Commissione europea con Curevac, società biofarmaceutica domiciliata nei Paesi Bassi ma con sede a Tubinga, in Germania, che sta ancora sperimentando il suo vaccino, noto per ora con la sigla CVnCoV. L'azienda aveva firmato lo scorso luglio un contratto di prestito da 75 milioni di euro con la Banca europea per gli investimenti, per lo sviluppo e la produzione su larga scala di vaccini, e a novembre si era impegnata a fornire 225 milioni di dosi per conto di tutti gli Stati membri dell'Ue, più altri 180 milioni se necessari.
Quell'Advance purchase agreement (Apa), l'accordo di acquisto anticipato stipulato con il presidente Ursula von der Leyen, è da ieri consultabile sul sito della Commissione. Peccato che le 67 pagine in inglese siano di utilità zero. Come già denunciato da alcuni eurodeputati, il documento è stato infatti sbianchettato in molte parti, togliendo riferimenti fondamentali per la comprensione della natura dell'accordo. I primi, clamorosi omissis sono quelli relativi al vaccino. Leggiamo che «verrà fornito sotto forma di [***] che richiederà un [***]. Il [***] sarà probabilmente presentato in [***] scatole e [***]. L'imballaggio includerà anche [***]». Insomma, non viene spiegato nulla e ben 15 pagine dell'allegato numero 4, sulle caratteristiche del prodotto, sono state oscurate. Nemmeno è dato sapere quante saranno le dosi necessarie per una vaccinazione: figurano depennate.
La tabella dei quantitativi di vaccino che Curevac, sostenuta anche da Bayer nell'ulteriore sviluppo e per le operazioni nei Paesi dell'Unione europea (oltre che in mercati aggiuntivi selezionati), si è impegnata a fornire dal primo trimestre 2021 a quello del 2021, è inutilmente a due colonne perché la seconda l'hanno annerita. Alla voce «il prezzo del vaccino per dose sarà di euro», una manina ha cancellato l'importo. Impossibile sapere quanto dovrà pagare, al momento dell'ordine, il Paese che vuole dosi aggiuntive, ed entro quanti giorni lo Stato membro potrà fare la sua segnalazione all'azienda se ci saranno stati problemi con il farmaco.
Al capitolo «Responsabilità» non appare il nome della società farmaceutica ma solo che [***] assieme alla «Commissione e gli Stati membri partecipanti, non sono responsabili per eventuali danni o perdite». Ma è forse la sezione «Indennizzi», la più scandalosa, in quanto quasi completamente coperta. «Esistono delle clausole di deresponsabilizzazione per i produttori del vaccino, come temevamo, ma non è dato saperle perché non sono leggibili. Le hanno oscurate», tuona Vincenzo Sofo, eurodeputato della Lega. «L'accordo non fa chiarezza nemmeno sul costo vaccini e se i prezzi cambieranno, alla data di scadenza della pandemia. Dopo mesi di battaglie per avere queste informazioni, la Commissione presenta un documento censurato in tutte le parti sensibili», protesta Sofo che nei prossimi giorni realizzerà un video nel quale mostrerà «la vergogna di questo contratto, di cui anche il nostro Paese è responsabile perché non riesce a pretendere trasparenza dall'Ue».
Intanto Nicola Magrini, direttore generale dell'Aifa, ha espresso dubbi su Astrazeneca che «aveva promesso di arrivare primo nella corsa al vaccino, invece sarà probabilmente il terzo. I dati andranno confrontati, anche se indirettamente, con gli altri due vaccini che si sono dimostrati molto efficaci».
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È bastata una nostra mail al ministero della Salute per aver conferma del memorandum firmato una settimana prima dell'accordo Ue. L'azienda in difficoltà nicchia. Il governo rivela: «Noi in trattative con un altro fornitore»La Commissione pubblica il contratto ma l'operazione è risibile. Le parti cruciali (costi, effetti avversi, indennizzi ) sono cancellate. Dubbi dell'Aifa su AstrazenecaLo speciale contiene due articoli«La Germania si è assicurata la fornitura di 30 milioni di dosi aggiuntive da Biontech». Più chiaro di così si muore, specialmente se a parlare è un portavoce del governo capitanato da Angela Merkel. Contattato dalla Verità, il ministero della Salute tedesco ha confermato senza troppi giri di parole un sospetto che aleggiava ormai da svariate settimane. Lo scorso 8 gennaio, Reuters aveva fornito alcuni importanti dettagli riguardanti la trattativa svoltasi in estate tra l'esecutivo di Berlino e le due case farmaceutiche tedesche Curevac e Biontech, per l'approvvigionamento rispettivamente di 20 milioni e 30 milioni di dosi di vaccino anti Covid. Tutte rigorosamente fuori dagli accordi Ue. Nella sua inchiesta, l'agenzia di stampa londinese aveva tirato in ballo come fonti un leak del ministero e la testimonianza di un funzionario che aveva chiesto di rimanere anonimo. Nelle mani del nostro quotidiano, invece, c'è addirittura un messaggio di posta elettronica firmato da un addetto del dicastero guidato da Jens Spahn. Secondo le indiscrezioni riportate da Reuters, l'esecutivo avrebbe firmato due distinti «memorandum of understanding»: il primo con Curevac risalente al 31 agosto 2020, e l'altro con Biontech, datato 8 settembre. E un'attenzione particolare va riservata proprio alle date, perché in entrambi i casi i contratti con l'Unione europea non erano ancora stati firmati. L'intesa definitiva con Pfizer-Biontech, infatti, è stata firmata l'11 novembre, mentre quella con Curevac otto giorni più tardi. Quindi, mentre la Commissione trattava con i produttori per «tirare» i prezzi del vaccino, Berlino si muoveva per conto proprio. Tutto ciò in barba all'articolo 7 della «Strategia sui vaccini contro il coronavirus» condivisa dai partner dell'Ue il 18 giugno scorso, con la quale gli Stati membri si impegnavano a «non avviare procedure di acquisto preliminare (i cosiddetti Apa, ndr) per un determinato vaccino con il medesimo produttore». Una norma solo in apparenza chiara e tra le cui pieghe, come vedremo più avanti, la Germania si sarebbe insinuata senza violare gli accordi continentali. Contestato in patria per aver negoziato un numero insufficiente di dosi a favore del proprio Paese, Jens Spahn si è difeso tirando fuori dal cilindro gli accordi con le case farmaceutiche per accaparrarsi fiale extra. Ora che Pfizer e Biontech sono finite nell'occhio del ciclone per aver tagliato le forniture in tutta Europa, però, il sospetto è che le due aziende abbiano chiuso accordi per un quantitativo di dosi superiore alla propria capacità produttiva. Magari finendo per dare priorità al migliore offerente. Non va dimenticato, d'altronde, che quello strappato dalla Commissione europea dovrebbe essere - almeno sulla carta - un prezzo di favore. Se invece la cancelliera avesse messo sul piatto più soldi, quella di una corsia preferenziale per Berlino non si rivelerebbe un'ipotesi poi tanto assurda. Un'eventualità ancora più grave se inserita nell'attuale contesto di scarsità del vaccino, dal momento che equivarrebbe di fatto a sottrarre dosi agli altri Paesi. Alla faccia della solidarietà europea. L'imbarazzo di Biontech è palpabile. Contattato dal nostro quotidiano, un responsabile dell'azienda tedesca ha prima negato qualsiasi tipo di accordo preliminare di acquisto con il governo tedesco: «Non esiste alcun contratto e nessuna dose è stata acquistata, tutti gli accordi di fornitura sono stati firmati con la Commissione europea per conto degli Stati membri». Poi, una precisazione sibillina. «Un memorandum of understanding è cosa diversa da una procedura preliminare di acquisto». E qui torniamo alla normativa europea, perché in effetti a essere proibiti sono gli Apa, e non le altre tipologie di accordo. Paradossalmente, dunque, sfruttando questo cavillo il governo tedesco avrebbe evitato di violare formalmente gli accordi. Rimane il fatto che così facendo, a prescindere dall'aver infranto o meno le regole, la Merkel ha tradito la fiducia delle istituzioni europee e dei Paesi partner. Non si tratta di un caso isolato, perché nella serata di ieri anche Curevac ha confermato alla Verità i contatti con Spahn e soci in merito alle dosi extra accordo Ue: «Le trattative con il governo tedesco sono ancora in corso e non possiamo commentare». Forse a stupire maggiormente è proprio l'atteggiamento della Commissione. Nel corso dell'audizione di fronte al Parlamento europeo svoltasi la scorsa settimana, il direttore della Direzione generale Salute e sicurezza alimentare nonché capo dei negoziati con le case farmaceutiche, Sandra Gallina, ha negato tutto: «Dal mio punto di vista, sulla base di quanto mi è stato detto, questi presunti contratti bilaterali stipulati dagli Stati membri non esistono». Se a noi è stato sufficiente inviare una e-mail per scoprire come stanno le cose, perché il presidente Ursula von der Leyen non ha indagato più a fondo? Viene da pensare che, pur di non dare contro alla Germania, Bruxelles abbia preferito ancora una volta mettere la testa sotto la sabbia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/berlino-ce-lo-scrive-nero-su-bianco-da-biontech-30-milioni-di-dosi-extra-2650030685.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="curevac-la-trasparenza-e-una-farsa" data-post-id="2650030685" data-published-at="1611095973" data-use-pagination="False"> Curevac, la trasparenza è una farsa L'operazione trasparenza si è rivelata una farsa. Avevamo dato notizia delle restrizioni imposte la scorsa settimana agli europarlamentari che volevano visionare a Bruxelles, per pochi giorni e in soli 50 minuti, il primo contratto sui vaccini non segretato. Si tratta dell'accordo della Commissione europea con Curevac, società biofarmaceutica domiciliata nei Paesi Bassi ma con sede a Tubinga, in Germania, che sta ancora sperimentando il suo vaccino, noto per ora con la sigla CVnCoV. L'azienda aveva firmato lo scorso luglio un contratto di prestito da 75 milioni di euro con la Banca europea per gli investimenti, per lo sviluppo e la produzione su larga scala di vaccini, e a novembre si era impegnata a fornire 225 milioni di dosi per conto di tutti gli Stati membri dell'Ue, più altri 180 milioni se necessari. Quell'Advance purchase agreement (Apa), l'accordo di acquisto anticipato stipulato con il presidente Ursula von der Leyen, è da ieri consultabile sul sito della Commissione. Peccato che le 67 pagine in inglese siano di utilità zero. Come già denunciato da alcuni eurodeputati, il documento è stato infatti sbianchettato in molte parti, togliendo riferimenti fondamentali per la comprensione della natura dell'accordo. I primi, clamorosi omissis sono quelli relativi al vaccino. Leggiamo che «verrà fornito sotto forma di [***] che richiederà un [***]. Il [***] sarà probabilmente presentato in [***] scatole e [***]. L'imballaggio includerà anche [***]». Insomma, non viene spiegato nulla e ben 15 pagine dell'allegato numero 4, sulle caratteristiche del prodotto, sono state oscurate. Nemmeno è dato sapere quante saranno le dosi necessarie per una vaccinazione: figurano depennate. La tabella dei quantitativi di vaccino che Curevac, sostenuta anche da Bayer nell'ulteriore sviluppo e per le operazioni nei Paesi dell'Unione europea (oltre che in mercati aggiuntivi selezionati), si è impegnata a fornire dal primo trimestre 2021 a quello del 2021, è inutilmente a due colonne perché la seconda l'hanno annerita. Alla voce «il prezzo del vaccino per dose sarà di euro», una manina ha cancellato l'importo. Impossibile sapere quanto dovrà pagare, al momento dell'ordine, il Paese che vuole dosi aggiuntive, ed entro quanti giorni lo Stato membro potrà fare la sua segnalazione all'azienda se ci saranno stati problemi con il farmaco. Al capitolo «Responsabilità» non appare il nome della società farmaceutica ma solo che [***] assieme alla «Commissione e gli Stati membri partecipanti, non sono responsabili per eventuali danni o perdite». Ma è forse la sezione «Indennizzi», la più scandalosa, in quanto quasi completamente coperta. «Esistono delle clausole di deresponsabilizzazione per i produttori del vaccino, come temevamo, ma non è dato saperle perché non sono leggibili. Le hanno oscurate», tuona Vincenzo Sofo, eurodeputato della Lega. «L'accordo non fa chiarezza nemmeno sul costo vaccini e se i prezzi cambieranno, alla data di scadenza della pandemia. Dopo mesi di battaglie per avere queste informazioni, la Commissione presenta un documento censurato in tutte le parti sensibili», protesta Sofo che nei prossimi giorni realizzerà un video nel quale mostrerà «la vergogna di questo contratto, di cui anche il nostro Paese è responsabile perché non riesce a pretendere trasparenza dall'Ue». Intanto Nicola Magrini, direttore generale dell'Aifa, ha espresso dubbi su Astrazeneca che «aveva promesso di arrivare primo nella corsa al vaccino, invece sarà probabilmente il terzo. I dati andranno confrontati, anche se indirettamente, con gli altri due vaccini che si sono dimostrati molto efficaci».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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