
La tv ha trasformato in star i panificatori. Ma oltre ai veri maestri, spuntano persino quelli che attirano i clienti modaioli parlando di rivoluzione e atteggiandosi a filosofi.Uomini, archiviate il modello di maschio beta belloccio, sapiosexual e femminista. Gettate via, specularmente, il maschio alfa stile Russell Crowe nel Gladiatore, col suo fascino da uomo di sostanza fisica, sì, ma pure d'onore. Imbruttitevi, ingobbitevi, ingrassatevi, vestitevi fin anche male e demodè. Non lavatevi neppure, se volete, assumete ogni possibile caratteristica del maschio omega in uggia alle donne. Insomma, lasciatevi andare quanto vi pare. L'importante, oggi, è che vi intendiate di panificazione: basta quello e avrete successo. Dovete pontificare di lievito madre e di pizza che, mordendola, deve «crunchare», come dice Gabriele Bonci. Siate cessi quanto volete: vi è sufficiente cianciare di antichi grani e di farine vive col pathos che mettereste nell'interpretare Amleto, tenendo nella mano protesa una pagnotta come fosse il teschio di Yorick. In questo modo, affascinerete anche la donna più esigente. C'è, infatti, una nuova tipologia di maschio più che mai desiderata dalle donne: il fornaio. L'idea che un panificatore diventi un sex symbol contrasta col cliché dell'uomo forte. Siamo abituati a pensare che sia affascinante il superman capace di stendere un anaconda piuttosto di uno che sa preparare pur deliziose michette. Tanto più che, nell'immaginario collettivo, la cucina è sempre stata vista come cosa da donne. Nemmeno il cinema aiuta molto, da questo punto di vista. Se pensiamo a un «fornaio seduttore» viene subito in mente il classico Fantozzi contro tutti. Nel film, il ragionier Ugo - notando che i mobili della cucina strabordano di pane fresco e che sua moglie esce di casa in tenuta iper sexy per andare a rifornirsi - capisce che Pina si è innamorata del fornaio e allora lo affronta. Ugo si trova così di fronte a Cecco, un truce vero, panzone e volgare, butterato e sudato, un vero maiale di stazza e di fatto, che usa sfilatini e filoni per fare pesanti allusioni sessuali, all'unico scopo di intortare le clienti e vendere più ciriole e baguette. A dirla tutta, quello del fornaio è sempre stato uno stereotipo un po' sfigato. Un esempio? Quando il dj Albertino interpretava l'imprenditore di Cantù Marco Ranzani, lo faceva litigare con il figlio Omar. Il quale, invece di volersi arricchire a tutti i costi con mezzi più o meno leciti, valutava di diventare... un panettiere, appunto. Ora, però, qualcosa è cambiato e il fornaio è gradualmente diventato uno strafigo. Qualche segnale di mutamento lo avevamo già avuto anni fa, quando Antonio Banderas apparve tra cumuli di farina e uova nelle pubblicità del Mulino Bianco (anche se spesso e volentieri le sue scenette risultavano grottesche). Poi sono arrivati i panettieri del programma Bake Off di Real Time. Prima Antonio Martino, che si presentava in video con la divisa immacolata e il capello lungo da mascalzone latino. Quindi, in sostituzione, ecco il prestante Damiano Carrara, toscano trapiantato in America molto gradito alle spettatrici. Adesso, però, pure panificatori come Gabriele Bonci (che conduce sul canale Nove Pizza hero - La sfida dei forni), Eugenio Pol e Davide Longoni sono considerati alla stregua di eroi. Un tempo il fornaio, di giorno, dormiva. Adesso invece passa le ore di luce a rilasciare interviste lunghe come enciclopedie. Tipo quelle che concede Giovanni Mineo - uno che, per aver messo un po' di cioccolato nel pane, si considera al livello di Gualtiero Marchesi quando pose la foglia d'oro edibile sul risotto alla milanese. «È un pane picaresco!», dichiara Mineo in un'intervista. «Ti prende in giro perché quando lo metti in bocca sembra dolce ma in realtà non ha zucchero». Grazie, è pane. Il pane non è dolce. Se lo è, si chiama «pandolce». Ma il nostro prosegue imperterrito nell'autocelebrazione: «L'input è arrivato parlandone con Longoni e Pasquale di Forno Brisa, poi Simone mi ha raccontato come funzionano le percezioni gustative: in pratica, quando si mangia qualcosa di amaro, il tuo cervello cerca il dolce, e se non glielo dai, lo cercherà in maniera spasmodica, tanto da trovarlo anche in qualcosa che oggettivamente non è dolce. Come il cioccolato senza zucchero e la segale». Sembra il monologo di un personaggio di Ecce bombo di Nanni Moretti. E in effetti la chiave della trasformazione del fornaio da professionista qualunque - popolare e perfino populista - a guru acclamato dalle folle di sinistra sta qui, in questo logorroico filosofeggiare radical chic di mistica del gusto, dell'impasto, delle piegature, della lievitazione... Mineo mescola al pane di segale il cioccolato Costa d'Avorio di Marco Colzani di Amaro Cioccolato: anche gli ingredienti, e non solo il prodotto finale, sono griffati. La nuova star del forno, inoltre, ha vinto il premio «Pane dell'anno» istituito dal Gambero Rosso. Che, sempre quest'anno, ha inaugurato la guida Pane & panettieri d'Italia, mappatura delle migliori panetterie tricolore, e ha consegnato i premi «Padri della panificazione moderna» agli artigiani panificatori dai quali è nata quella che chiamano «la rivoluzione del pane» - ossia Eugenio Pol, Davide Longoni (maestro di Giovanni Mineo), Ezio Marinato, David Bedu e il solito Gabriele Bonci. Poiché questa moda viene presentata come una «rivoluzione», certo non possono mancare i «collettivi». Ed ecco i Panificatori Agricoli Urbani, i quali, nonostante il nome da gruppo rock progressive italiano degli anni Settanta, sono un collettivo del pane. «Agricolo perché produciamo un bene alimentare a partire da cereali di filiera e non da farine tecniche. Urbani perché crediamo fortemente all'energia cittadina, nel fermento culturale che crea cambiamento. Fare il pane è un atto d'amore primario. Nutrire. Parlare. Sorridere», scriveva il «collettivo» su Facebook a marzo. Il post era accompagnato dall'hashtag #pastamadreisnotacrime, come se stessimo parlando di «ribelli anti sistema» e non di panificatori che si fanno pagare come fossero gioiellieri. I membri del collettivo - come delle piccole Greta del pane - l'anno scorso hanno organizzato al Salone del gusto un evento chiamato Bread for Change, invitando tutti ad «ascoltare per discutere della nuova era del pane». Certo, una nuova era in cui il panificatore non è più uno che si spacca la schiena per fornire un buon prodotto a un prezzo popolare, ma uno strafigo che fa persino politica. Persino il linguaggio è cambiato. Oggi non si dice più «panificare», ma «to bake», in inglese. E la panetteria «cool» è una «bakery», perché il fornaio 2.0 è naturalmente cittadino del mondo. Il risultato è che il pane non è più cibo per poveri che - come cantava Mario Merola - mangiano «pane e pane», ma un alimento ricercato (e costoso) per intellettuali chic. La vena progressista della «nuova panificazione» è confermata dall'immancabile attenzione alla «parità di genere» (non sia mai che Michela Murgia si risenta per il maschilismo dominante nel settore). Accanto ai nuovi fornai, ci sono le «nuove fornaie"», protagoniste della «retroinnovazione artigianale del pane», tutte efficienza e sciamanesimo del baking per la gioia dei foodie. Ecco le stelle: Sarah Lemke di Superette a Gand (squadra tutta femminile!); Laura Hart di Hart's Bakery a Londra; Carol Choi di Mirabelle a Copenaghen; Aurora Zancanaro di Le polveri a Milano. Tutte artiste della farina che galvanizzano i critici. Gli stessi che, magari, non hanno mai scritto una riga sulle anonime panificatrici domestiche, cioè le donne che - nel corso dei secoli - hanno sempre fatto il pane in casa a beneficio della propria famiglia e non del circo mediatico. In fondo, i panificatori chic possono pure mettere nell'impasto la polvere Swarovski edibile, ma il vero pane è sempre stato e sempre sarà popolare. E i nuovi dei del lievito possono anche citare Rudolf Steiner ma, alla fine, non sono molto diversi dal Cecco di Fantozzi.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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