2025-10-28
Nel Belgio che ammazza i giovani sani, il sistema stermina anziani e neonati
Siska De Ruysscher @Instagram
Siska De Ruysscher, la ventiseienne in attesa di eutanasia, svela dettagli terrificanti: «Un esperto mi disse di gettarmi dal ponte». L’omicidio di Stato in 20 anni ha fatto segnare un’impennata del 1.440 per cento.Il bullismo fin dai tempi dell’asilo, la depressione, a 14 anni il primo tentativo di suicidio - il primo di circa 40 -, a 17 l’esperienza di una cella di isolamento e oggi, a 26 anni compiuti da poco, l’attesa per l’ultimo appuntamento: quello con l’eutanasia. A rimetterne in fila le tappe principali, l’esistenza di Siska De Ruysscher, la giovane belga che il mese prossimo dovrebbe andarsene con la morte assistita - e della quale La Verità già raccontava ieri -, ha sì le drammatiche sembianze d’una corsa disperata verso la morte, ma pure di un fallimento assistenziale, sanitario e, in definitiva, sociale. Del resto, a parlare apertamente di questo fallimento, come si ricordava sempre ieri su queste colonne, è stata la giovane stessa, la quale ha denunciato «le carenze nella gestione dei disturbi psichiatrici in Belgio»; e dire «carenze» significa ancora esser buoni, se si pensa che la risposta dello Stato belga al manifestato disagio della sua giovane concittadina, negli anni, è stata solo quella di rinchiuderla in centri di igiene mentale sottodimensionati come organico, dove situazioni simili sono gestite solo a colpi di isolamento e dosaggi di psicofarmaci sempre più pesanti. Per non parlare delle condizioni generali di quei centri: «Lì ti senti come un criminale. Il tuo letto è sprangato, non hai cuscini o coperte perché sono considerati pericolosi».In tutto questo suo tormentato percorso, Siska De Ruysscher ha incontrato circa 20 psicologi, alla fin fine uno più deludente dell’altro: «Sempre le stesse domande, sempre gli stessi moduli da controllare. Finché nessuno sapeva più cosa fare con me». Addirittura c’è stato qualche terapeuta che l’ha incoraggiata a togliersi la vita, come la giovane stessa ha rivelato: «Un giorno uno psicologo mi ha letteralmente chiesto: “Cosa ti impedisce di buttarti da un ponte?”. Mentre tornavo a casa, attraversando un ponte, mi sono chiesta: “Perché non lo faccio?”. La mia risposta è stata: “Perché non voglio traumatizzare nessuno. Né i passanti, né gli automobilisti, né i macchinisti”». Incredibile a dirsi, in quel momento la paziente aveva più lucidità di chi avrebbe dovuto curarla; e da parte sua le ha provate tutte per superare il suo lacerante disagio, inclusi viaggi all’estero - uno in Namibia, l’altro in Thailandia dove ha visto degli elefanti - e incontri speciali, come quello con la sua cantante preferita, Pommelien Thijs. Tutto purtroppo inutile: «Il viaggio dei miei sogni non mi ha trasformata. Ha solo rafforzato le mie convinzioni». Così, ora che la giovane si accinge a lasciare questo mondo non senza l’augurio di un miglioramento dell’assistenza che ha lei è stata data («molte cose potrebbero essere diverse»), si accende inevitabilmente un dibattito sulle derive mortifere del Belgio, Paese dove si è passati dai 259 casi di eutanasia nel 2003 ai 3.991 dello scorso anno: un’impennata di oltre il 1.440% in 20 anni; e in quest’impennata vanno inclusi, come dimostra tale vicenda, anche casi di disagi mentali. Tuttavia, in Belgio c’è ancora chi minimizza questa dilagante epidemia di morte. Per esempio, Wim Distelmans, professore di medicina palliativa e presidente del comitato federale per la valutazione dell’eutanasia, è intervenuto, da una parte, non negando il problema («l’assistenza sanitaria mentale sta fallendo, nessuno può negarlo»), dall’altra per dire che «solo» 55 di 3.991 sottoposti a eutanasia nel 2024 lo hanno fatto per sofferenze insopportabili d’una malattia psichiatrica. «E tra loro, cinque avevano meno di 30 anni, due dei quali solo 21», ha puntualizzato, tentando di circoscrivere la situazione. Che però in Belgio riguarda perfino i neonati, com’è documentato da tempo. Per esempio, già qualche anno fa un articolo uscito sulla rivista scientifica Archives of disease in childhood - fetal and neonatal edition aveva acceso i riflettori sulla deliberata soppressione di giovanissime vite umane ogni volta che l’équipe medica aveva ritenuto non vi fosse «nessuna speranza di un futuro sopportabile». Più precisamente, secondo quello studio, solo tra settembre 2016 e dicembre 2017 simili interventi avevano interessato 24 bimbi tra 0 e 1 anno di vita; 24 vuol dire che il 10% dei piccoli morti entro il loro primo anno di vita, nelle Fiandre, in quel periodo è morto sulla base d’una decisione precedente, sfociata in un trattamento attivo come un’iniezione letale.Allo stesso modo, negli anni non sono mancati casi di eutanasia su soggetti non più giovani ma non per questo meno gravi; come quello di Godelieva De Troyer: fu uccisa nell’aprile 2012, quando aveva 65 anni - peraltro per mano dello stesso, poc’anzi citato Distelmans -, solo perché depressa e un suo figlio lo scoprì, a fatto compiuto, via email. In tale contesto, una storia come quella di Siska De Ruysscher non diviene meno terribile. Tuttavia, finisce con l’inquadrarsi come inevitabile sbocco d’uno Stato in cui si respira un clima mortifero. Non resta pertanto che augurarsi che ciò venga adeguatamente tenuto in considerazione anche dal nostro Parlamento, che si accinge a legiferare sul fine vita verosimilmente senza rendersi conto a quale inferno di psicologi che consigliano la morte, di abbandono terapeutico e di stigmatizzazione del malato rischia, in questo modo, di spalancare le porte.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 28 ottobre 2025. Ospite l'avvocato Maurizio Capozzo. L'argomento del giorno è: "La spettacolarizzazione mediatica del caso Garlasco" .
(Esercito Italiano)
Si è conclusa nei giorni scorsi in Slovenia l’esercitazione internazionale «Triglav Star 2025», che per circa tre settimane ha visto impegnato un plotone del 5° Reggimento Alpini al fianco di unità spagnole, slovene e ungheresi.
L'esercitazione si è articolata in due moduli: il primo dedicato alla mobilità in ambiente montano, finalizzato ad affinare le capacità tecniche di movimento su terreni impervi e difficilmente accessibili; il secondo focalizzato sulla condotta di operazioni offensive tra unità contrapposte. L’area delle esercitazioni ha compreso l’altopiano della Jelovica, nella regione di Gorenjska, e il massiccio del Ratitovec, tra i 900 e i 1.700 metri di altitudine.
La «Triglav Star 2025» è culminata in un’esercitazione continuativa durata 72 ore, durante la quale i militari hanno affrontato condizioni meteorologiche avverse – con terreno innevato e fangoso e intense raffiche di vento in quota. Nella fase finale, il plotone italiano è stato integrato in un complesso minore multinazionale a guida spagnola. La partecipazione di numerosi Paesi dell’Alleanza Atlantica ha rappresentato un’importante occasione di confronto, favorendo lo scambio di esperienze e competenze.
La «Triglav Star 2025» si è rivelata ottima occasione di crescita, contribuendo in modo significativo a rafforzare l’integrazione e l’interoperabilità tra le forze armate dei Paesi partecipanti.
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