
Lunedì alla Camera si discute il disegno di legge che nega il processo breve per chi compie reati gravissimi. Se ne parla da tempo, ma la riforma ancora non c'è e ora potrebbero approfittarne anche i killer di Desirée.Ha ammazzato sua moglie a coltellate lasciandola in casa in un lago di sangue con il figlio più piccolo a gattonarci in mezzo. Lo ha fatto perché era geloso e credeva che lei se la intendesse con chiunque. Eppure Sadigue Zahir trentacinquenne pakistano, reo confesso dell'omicidio di Simona Fiorelli, 33 anni, se la caverà con appena 16 anni di carcere, che grazie al lassismo del nostro ordinamento carcerario, diverranno 12 e forse ancor meno. Non gli sono state concesse attenuanti, semplicemente gli è stata scontata la pena di un terzo, perché come tanti altri rei confessi Zahir ha pensato bene di passare per il processo breve. È l'ennesimo omicida che beneficia di questo meccanismo di sconto sulla pena, degno di un supermercato, più che di un sistema giudiziario, soprattutto perché vale sempre e non distingue un reato dall'altro a seconda della gravità.Lunedì prossimo, alla Camera dovrebbe tornare in discussione il disegno di legge della Lega per l'abolizione dell'abbreviato per chi si macchia di un crimine efferato. È dal 2015 che il deputato leghista Nicola Molteni tenta di far passare questa modifica al codice penale. Ad opporsi al momento buono, sotto il governo Gentiloni, oltre alle lungaggini e agli ostruzionismi fu la volontà contraria di Forza Italia, in disaccordo sul provvedimento. Oggi, per colpa di questo ritardo, anche gli aguzzini di Desirée potranno godere del rito abbreviato e dei suoi sconti. La legge ancora non c'è e nel nostro Paese ogni reato viene punito con le leggi presenti nel momento in cui è stato commesso. Zahir e Simona vivevano a Parabiago, un piccolo comune del milanese, avevano due bimbi, il più piccolo di cinque mesi, l'altro di un anno e mezzo. Era il 17 dicembre del 2017 quando la mamma venne uccisa davanti ai loro occhi. Lui era pazzo di gelosia, lo sapevano tutti. Simona si lamentava con le amiche perché era diventato ossessivo, la accusava di avere delle tresche con il lattaio, il macellaio, il postino e, spesso, alzava le mani. Qualche giorno prima di ucciderla le aveva fatto un occhio nero. Ma lei lo amava e non voleva lasciarlo. Quel giorno in casa sembrava tutto tranquillo. Simona aveva preparato l'albero in salotto, con tanti pacchettini colorati messi sotto per aspettare il Natale con i suoi bambini.Zahir è rientrato, ha cominciato con le solite accuse, lei ha risposto e lui, all'improvviso, le è saltato addosso brandendo un coltello da cucina e le ha trapassato tre volte il torace. La donna è caduta a terra in un lago di sangue. Lui è fuggito, lasciando in casa, da soli, con la madre macellata a terra, i due bambini. Il più piccolo in quel momento dormiva, il più grande gli «teneva gli occhi pieni di lacrime puntati addosso», come ammise lui stesso in un interrogatorio.Il pubblico ministero aveva chiesto diciotto anni già comprensivi della riduzione di un terzo della pena previsto dall'abbreviato. Il giudice ne ha scontati altri due, stabilendo una provvisionale di 100.000 euro per ogni figlio e di 50.000 euro per i genitori di Simona Forelli e la nonna. Soldi che, con ogni probabilità, nessuno della famiglia vedrà mai.Se lunedì prossimo il disegno di legge che cancella la possibilità di ricorrere all'abbreviato per chi compie reati gravissimi dovesse essere approvato e poi passare, in tempi celeri, anche al Senato, quello di Simona potrebbe essere uno degli ultimi casi in cui a un reo confesso per un omicidio brutale viene concessa una pena scontata. Dopo quelli più recenti, che vogliamo ricordare: i tre ventenni marocchini che a Finale Emilia (Modena) uccisero per rapinarla in casa, nel settembre del 2017, Mirella Ansaloni, 79 anni, morta a causa dei colpi ricevuti; Khalid De Greata, nigeriano di 27 anni che, nel torinese, il 15 ottobre 2017, ad un mercatino, uccise il Maurizio Gugliotta, assalendolo e recidendogli la giugulare senza motivo e Lucio Marzo, condannato pochi giorni fa a 18 anni e 8 mesi per aver ucciso, nel settembre del 2017, la fidanzatina Noemi Durini picchiata, accoltellata e seppellita mentre era ancora viva.Durante la scorsa legislatura, all'approvazione del disegno di legge che cancella questa norma assurda, si erano frapposte oltre alla volontà di rimandare il più possibile l'argomento anche il garantismo ad oltranza di Forza Italia. Lo scorso novembre, sembrava quasi fatta. Il testo era stato approvato a maggioranza, alla Camera ed era in dirittura d'arrivo al Senato, quando complice il governo in scadenza, era caduto sotto il fuoco amico di Forza Italia, che si era opposta alla calendarizzazione accelerata del testo.Anche lunedì Forza Italia potrebbe esprimersi in senso contrario, appoggiata dalla sinistra extra Pd. Tutti gli altri, per cancellare questa norma scandalosa, per dirla con le parole del vicepremier Luigi Di Maio dovrebbero, «marciare compatti come una testuggine romana». Ricordando magari, Desirée, drogata stuprata e lasciata morire nell'inferno di via dei Lucani a Roma. I suoi aguzzini meritano uno sconto di pena?
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
I burocrati dell’Unione pianificano la ricostruzione del palazzo Lipsius. Per rispettare le norme energetiche scritte da loro.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.
2025-10-24
«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
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Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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