
Nasce in Giappone, poi gli americani ne rielaborano una versione occidentalizzata, e oggi ce lo servono i cinesi nei ristoranti all you can eat a basso costo. Solo a Milano ci sono centinaia di locali che lo vendono e ogni mese ne spunta una nuova versione.Si è celebrato martedì l'International sushi day, che sarebbe meglio chiamare Giornata del cibo più globalizzato del mondo. Molti ritengono che il sushi (il rettangolino di riso bianco sormontato da una fettina di pesce crudo) sia il cibo quotidiano dei giapponesi. Ma quei parallelepipedi di cui gli italiani si ingozzano nei ristoranti all you can eat e che riempiono i banchi frigo dei supermercati - molti hanno il sushi point che li prepara al momento - stanno all'alimentazione giapponese come le olive all'ascolana stanno a quella italiana. Sono solo un elemento della dieta. Se sapessimo che tutto il mondo si abboffa di olive ascolane gridando: «Viva il cibo italiano! Simpatici questi italiani che mangiano solo pallottole di olive e carne!», resteremmo interdetti. Così il giapponese: di certo non si nutre di solo riso e pesce crudo, ma spesso ce lo raccontano proprio così. Senza contare, poi, che il sushi come lo conosciamo noi - cioè quello globalizzato - è piuttosto diverso dall'originale. L'antenato del sushi è il narezushi, una modalità di conservazione del pesce cinese e sudorientale che si sviluppa in Giappone quando vi si inizia a coltivare il riso nel IV secolo a.C. I filetti di pesce si stipavano a strati con sale e riso che, fermentando in alcol, ne evitavano la marcitura. Dopo circa un semestre si mangiava il pesce, gettando il riso. Qualche secolo dopo si inizia a condire il riso con aceto di riso per velocizzare, ma bisogna aspettare il XIX secolo perché a Edo, l'attuale Tokyo, Hanaya Yohei crei il nigirizushi, rettangolini di riso bianco e aceto di riso con sopra un filetto di pesce crudo, una sorta di street food venduto ai lavoratori. Dopo il terremoto di Tokyo del 1923, molti sushi chef si spostano nel resto del Giappone estendendo il piatto al gusto nazionale. Alla fine degli anni Settanta, il sushi diventa fenomeno luxury per i manager giapponesi, anche quelli insediati negli Usa a seguito dell'espansione industriale nipponica all'estero. La loro ossessione per il kuromaguro, il sushi di tonno, contagia prima gli yuppie americani, poi lo star system e i salutisti californiani, sia hippy sia ricchi. Proprio in California il sushi diventa una mania tramite la cuoca attivista Alice Waters, che lo contrappone al cibo industriale e ingrassante. Da qui, pian piano, emigra per il mondo, infine esplodendo (anche dalle nostre parti) con la sua versione fake servita da cinesi. In un blitz compiuto nei giorni scorsi dai Nas in vari risoranti etnici sparsi sul territorio nazionale, in particolare gli all you can eat, è risultato irregolare il 48% dei locali: carenze igieniche, mala conservazione, alimenti scaduti, prodotti importati fuori regola, etichette non conformi alle norme europee, ricongelamento di cibo già decongelato. In tutto sono state chiuse o sospese 22 attività, riscontrate 477 violazioni di legge e sequestrate 128 tonnellate di cibo. Il pesce crudo va abbattuto come Dio e i Nas comandano, se no l'anisakidosi, che si prende mangiando pesce crudo infestato dal verme anisakis e non abbattuto, non è piacevole (eufemismo). In Italia, la maggior parte dei ristoranti «giapponesi» con formula Ayce sono il makeover di ristoranti cinesi principiato quando la moda del sushi ha soppiantato quella di involtini primavera e riso alla cantonese. Ma il vero chef di sushi giapponese, lo shokunin, di cui il giapponese Jiro Ono è incarnazione celebrata anche dal film Jiro e l'arte del sushi, è un maestro dalla lunga gavetta immolato a servire pesce di altissima qualità. Il sashimi vero più rinomato e costoso in Giappone è quello di fugu, il pesce palla accessoriato di tetrodotossina letale (oltre 1000 volte più del cianuro) per lavorare il quale (ma lo preparano anche cotto), dal 1958, il cuoco deve seguire un tirocinio pluriennale e conseguire una licenza di preparazione e vendita apposita. Altro che sfilettare salmone decongelato. Tradizionalmente, le donne non potevano preparare sushi perché si riteneva che una temperatura corporea superiore a quella maschile potesse sciupare il pesce crudo in preparazione. Sono caratteristiche molto diverse da quelle che si ritrovano negli all you can eat finto nipponici incentrati su sushi e sashimi di salmone allevato. A Milano i ristoranti giapponesi o meglio presunti tali sono circa 300 (Roma e Torino seguono a ruota). Ci sono poi le ulteriori derivazioni nonsense di un piatto che già ci viene proposto in una versione che è un mezzo falso culinario: dall'italian sushi (ma perché?) al sushi dessert (dolci in formato sushi, come il tiramisushi e il croissushi). Troviamo persino l'artistic sushi (sculture edibili di sushi, dalle sneakers alle riproduzioni di quadri famosi) e l'Healthy fruit & Veg sushi (frushi di sola frutta e sushi vegano con surrogati come il sostituto vegetale di melanzane al posto dell'anguilla detto Unami). Il sushi fusion come quello brasiliano potrebbe avere senso, poiché deriva dall'emigrazione di famiglie giapponesi a San Paolo che, mescolando sushi e gusti brasiliani, crearono il fusion brazilian sushi. Ma sono patetici mescolamenti come il sushi pizza, con base di riso fritto, o il sushi burger, con il panino fatto di riso compattato… Tra i giapponesi veri, tuttavia, c'è chi «non si piega». A Perugia, la nipponica vera Chihiro, proprietaria del piccolo ristorante Giapp-one, non prepara sushi e non approva la formula Ayce: «Nella mia terra nonostante la vastissima disponibilità di pesce e il conseguente buon mercato non è possibile praticare certi prezzi, ma è anche vero che il sushi è tutt'altra cosa rispetto alle formule occidentalizzate che vengono proposte qui in Italia e altrove». In menù, ramen di carne o di pesce, sukiyaki (carne, cotta), soba (zuppa di pasta e pesce o carne e verdure). Il vero Giappone in Italia esiste, al limite andiamo a mangiare lì. E non dimentichiamo i nostri deliziosi piatti di pesce (cotto). Le acciughe fritte, un cacciucco, il risotto ai frutti di mare, gli spaghetti con le vongole non sono meno mistici, per il palato, di un maki. Vero o fake che sia.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.