2025-02-15
«Sul bando del Festival lotterò in Ue. La Rai non possiede nessun format»
Sergio Cerruti, presidente di Afi (Imagoeconomica)
Il presidente di Afi: «La nostra battaglia per il ripristino della legalità è sacrosanta. La sinistra considera la televisione pubblica un suo feudo inespugnabile. La conduzione di Conti? Era meglio Pippo Baudo».Quando Sergio Cerruti approdò alla presidenza dell’Afi, la storica Associazione dei fonografici italiani (che riunisce le piccole e medie imprese produttrici di contenuti audio, video ed editoriali e, dettaglio non marginale, ripartisce loro i diritti connessi spettanti per legge) il Sole24Ore titolò: «Un dj a capo delle Pmi della musica». Di cui fa parte in quanto titolare dell’etichetta indipendente Just Entertainment, in curriculum collaborazioni anche internazionali, con pesi massimi del calibro di Coolio e Snoop Dogg.Cerruti è l’uomo che ha dichiarato guerra alla Rai, per Sanremo e per la vexata quaestio dei diritti d’autore. Il crociato antisistema. Un pubblico accusatore alla Viscinskij, pronto a mandare virtualmente alla sbarra i vertici della tv di Stato.Ovvero un pazzo o un kamikaze, sghignazzano i suoi detrattori. Un guastatore alla ricerca di visibilità. Un imprenditore per caso. Un millantatore. Un provocatore.Perché ride, Cerruti?«Perché penso che se non avessi il senso delle proporzioni, citando una persona ben più autorevole di me, aggiungerei all’elenco compilato dai miei critici una semplice frasetta: io non sono ricattabile. E non sono in vendita: non ho chiesto che venisse aggiunto un posto a tavola, per capirci». Ullalah, cominciamo bene. Si copre le spalle evocando la figura della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.«Nessuna copertura. Ma se qualcuno - in Rai o fuori - ritiene che io farò un passo indietro rispetto alla battaglia, che reputo s-a-c-r-o-s-a-n-t-a, per il ripristino della legalità si sbaglia di grosso».Nelle puntate precedenti, come riassumono le serie tv, il Tar della Liguria ha sentenziato che, terminato questo Festival, il Comune dovrà mettere a gara l’organizzazione dei prossimi. La Rai ha fatto ricorso. Ma perché lei e la tv di Stato siete finiti, citando Il Padrino, ai materassi?«Facciamo una premessa che può apparire paradossale, ma non lo è: io non ho mai avuto in animo di separare il Festival da Sanremo e la Rai dal Comune».E meno male. Pensi se avesse avuto propositi bellicosi...«Tutto nasce per il mancato rispetto dei diritti d’autore in capo a artisti, musicisti, discografici. Risorse che la Rai ha, fin dal 2009, sottratto ai titolari. Stiamo parlando di anni, e di stagioni diverse nella gestione della Rai. Il caso del maestro Beppe Vessicchio è esemplare».Spieghi.«Vessicchio si è dovuto rivolgere alla magistratura per vedere riconosciuto e tutelato un suo elementare diritto. A Vessicchio la Rai non attribuiva alcuna spettanza per l’utilizzo di musiche da lui composte e interpretate per il programma La prova del cuoco. La sentenza del Tribunale di Roma ha stabilito invece che l’emittente deve pagare i diritti in capo ai cosiddetti “produttori di fonogrammi” nonché agli “artisti interpreti esecutori”. A Vessicchio come a tutti i soggetti della filiera coinvolti, l’Afi e il nuovo Imaie, l'Istituto mutualistico per la tutela degli artisti interpreti ed esecutori, la Rai dovrà riconoscere i diritti di sfruttamento. Presenti, futuri e pure pregressi».Capisco: al Festival siete dunque arrivati di default. Vi siete detti: se il caso Vessicchio riguardava un singolo programma, figuriamoci cosa può succedere negli altri, Sanremo incluso.«Quando abbiamo chiesto, sempre sul fronte dei diritti, che la Rai -ente pubblico finanziato per la più parte dai soldi dei cittadini- facesse chiarezza sul Festival, Rai e Comune di Sanremo hanno fatto muro. Perfino sui contenuti della convenzione abbiamo dovuto ricorrere al giudice per la richiesta di accesso agli atti. E così, alla fine, siamo arrivati alla decisione del Tar della Liguria. Che ha dichiarato illegittimo l’affidamento diretto a viale Mazzini».La Rai ha però impugnato la sentenza, sostenendo l’«inscindibilità del marchio Festival dal format Rai»: non c’è Rai senza Sanremo, non c’è Sanremo senza Rai. Chiedendo che il Comune non proceda con la gara prima che si esprima il Consiglio di Stato. «Vedremo. Sono pronto a portare il caso in Europa. Posso farle io una domanda? Lei lo sa che il cosiddetto format non è depositato, cioè legalmente non esiste? Lo sa che l’abbiamo segnalato in passato, con Striscia la notizia? Ma di cosa si sta discutendo, se regolamenti e svolgimento della manifestazione cambiano ogni volta: il numero degli artisti in gara, le giurie, i contenuti (monologhi sì, monologhi no), perfino la lingua in cui si canta, solo in italiano oppure anche in dialetto? Quale sarebbe, di grazia, il format? Che a Sanremo, una volta l’anno, si svolge una gara di canzoni? Per cui il Comune riceve 5 milioni (versandone quasi la metà al teatro Ariston, inadeguato e inospitale), quando se ci fosse una gara potrebbe incassare di certo di più, ma invece tace e acconsente».Rai e Sanremo sono un binomio da sempre, su.«E con ciò? Anche Rai e calcio lo erano, e adesso sul calcio (e su quasi tutto lo sport) non hanno più diritti. Ma poi, scusi, se la Rai è tanto brava ed è l’unica che può metterlo in piedi, perché ha tanto paura di giocarsela in una gara con altri concorrenti ? Che problema c’è a confrontarsi, che so, con Discovery, visto che l’ad Alessandro Araimo ha fatto intendere che ora come ora non sussistono i presupposti, ma che in futuro “qualsiasi gruppo editoriale avveduto valuterebbe l’opportunità di acquisire i diritti del Festival, se questa si presentasse in forme certe e definite”? E ancora: la Rai ha i palinsesti imbottiti da prodotti realizzati da altri (quanti sono i programmi che la Rai compra dai fornitori, tra l’altro sempre quelli?) però sul Festival vuole il monopolio e il controllo totale. Come mai?». Come mai?«Il Festival è un boccone cui la Rai non può rinunciare. Fa cassa per quasi 70 milioni, ne spende molto meno di un quarto per organizzarlo, alle case discografiche assegna un contributo di poco più di 60 mila euro per ogni cantante in gara (ai costi che sappiamo per staff, soggiorno in hotel, spostamenti e trasporti). Ma a una giovane violinista impegnata di fatto per 45 giorni vengono dati 2 mila euro. Siamo al caporalato artistico».Come capo dell’Afi si sarà interfacciato con i vertici di viale Mazzini, e con la politica che li esprime.«Certo, avendo chiaro il mandato assegnatomi: ottenere giustizia sul fronte dei diritti, una bomba da decine di milioni di euro. Nel quadro, da uomo di destra quale sono, del rispetto delle leggi e delle istituzioni. Sono arrivato a mettere in mora con una pec l’ex amministratore delegato Carlo Fuortes».Come è andata invece con i successori, Roberto Sergio prima e Giampaolo Rossi oggi, espressioni della sua area politica di riferimento?«Sergio è un democristiano avvicinatosi, pare, ai leghisti. E io con la Lega non lego. Quanto a Rossi, l’ho avvisato nel 2021 di quale fosse l’andazzo, lui era consigliere di amministrazione. L’ho cercato poi quando è arrivato al comando. Ma mi ha fatto rispondere che era molto impegnato nella stesura dei palinsesti, uno sforzo evidentemente titanico».Lei è stato visto all’ultimo Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, di cui è simpatizzante.«Ho accompagnato Edoardo Vianello, che ha ricevuto un premio alla carriera. Vianello era con me anche quando siamo stati ricevuti al Quirinale per i 75 anni dell’Afi, nel novembre 2023, insieme a Amedeo Minghi, i Cugini di Campagna, i Neri per caso, Mal, Beppe Vessicchio e Mario Lavezzi, che in coro hanno dedicato Volare di Domenico Modugno al presidente della Repubblica Sergio Mattarella».Ha approfittato di questi incontri per segnalare la vicenda Sanremo e chiedere una mano?«Scherza, vero? Si figuri se vado a importunare o a questuare aiuto al capo dello Stato o alla premier, che hanno impegni ben più pressanti e complicati. Purtroppo, non tutta la classe dirigente da cui è circondata Meloni è alla sua altezza». Deluso?«Sono realista, non valuto esclusivamente le persone in base allo spirito di “colleganza”. Nel centrodestra, Maurizio Gasparri ha per esempio sempre avuto a cuore la nostra battaglia. Spiace semmai constatare che dopo aver -giustamente- accusato i rappresentanti della Sinistra di considerare la tv pubblica un proprio terreno di scorribande, agendo in base al principio “la Rai è cosa nostra”, alla prova dei fatti il partito Rai risulta più forte della politica». Ma del Festival, che di riffa o di raffa si conferma sempre l’evento televisivo più visto dell’anno, anche questa edizione con numeri record, non salva proprio nulla?«Conduzione insipida, svolgimento piatto, monocorde, era meno grigio Pippo Baudo (modello inimitabile: Amadeus, con cui ho scazzato per questioni artistiche, mostrava inquietanti segni di baudite ma come pallido emulo). Mi piacciono però molto l’impianto luci e la scenografia di Riccardo Bocchini, moderna, innovativa, anche se l’orchestra mi riferiscono si senta un po' sacrificata quanto agli spazi. In Rai le professionalità di livello non mancano. Oscurate da lottizzati, raccomandati, cooptati molto spesso inadeguati. Che è quella parte dell’azienda che andrebbe bonificata come l’Agro Pontino».
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