2022-06-05
Bandierina di Trump in Pennsylvania. Guerra a Biden su energia e prezzi
Alle primarie repubblicane vince il candidato sponsorizzato dall’ex presidente. Che studia il ritorno puntando sui sentimenti anti sistema e sulla crisi economica. «Sleepy Joe» adesso rischia al Senato.Donald Trump ha conseguito una nuova vittoria alle primarie repubblicane in vista delle elezioni di metà mandato. Il suo candidato alla poltrona senatoriale della Pennsylvania, Mehmet Oz, ha ufficialmente battuto lo sfidante David McCormick. Il voto si era tenuto lo scorso 17 maggio, tuttavia l’esiguo vantaggio di Oz aveva portato ad avviare un riconteggio, che si sarebbe dovuto concludere martedì prossimo. Ciononostante McCormick venerdì ha riconosciuto l’avversario come vincitore. Sebbene sul filo del rasoio, la vittoria di Oz segna un deciso punto a favore di Trump, che ad aprile gli aveva dato l’endorsement, irritando l’establishment del Partito repubblicano. Medico e star televisiva, Oz era infatti considerato un outsider contro il più istituzionale McCormick, il quale – pur di ottenere l’appoggio dell’ex presidente – aveva coinvolto nel proprio staff alcuni suoi ex collaboratori (come Hope Hicks e Stephen Miller). Nonostante alcune sconfitte recentemente rimediate in Georgia e in North Carolina, l’ex inquilino della Casa Bianca conferma la sua presa sul Partito repubblicano. Un elemento, questo, che va valutato innanzitutto alla luce di una sua eventuale ricandidatura alla presidenza: il diretto interessato non ha escluso una simile ipotesi, pur evitando di sciogliere le riserve sul proprio futuro prima delle elezioni di novembre. Comunque sia, il fatto di puntare su candidati outsider dalle istanze favorevoli alla working class (come lo stesso Oz e JD Vance in Ohio) testimonia la volontà di Trump di scommettere nuovamente sul sentimento antisistema e sui colletti blu della Rust Belt. Da questo punto di vista, Trump cercherà di colpire i democratici su due fronti principali: l’inflazione galoppante e l’incapacità di esercitare la deterrenza nei confronti degli avversari dell’America. Per quanto riguarda il primo punto, egli può far leva sui numeri record dell’economia ai tempi della sua presidenza. Venendo invece al secondo, può citare le crisi internazionali da cui uscì, mettendo i nemici con le spalle al muro e senza impelagarsi in conflitti (si pensi all’Iran o alla Corea del Nord). In particolare, il tema della deterrenza ha una sua funzionalità in politica interna, visti i crescenti sentimenti di un elettorato che, pur non apprezzando coinvolgimenti diretti in guerre lontane, non ne vuole al contempo sapere di veder sminuita l’autorevolezza internazionale degli Stati Uniti. Ma c’è un terzo elemento da considerare, che passa (anche) dalla Pennsylvania: la questione energetica. Dopo il Texas, proprio la Pennsylvania è il principale produttore di gas naturale negli Stati Uniti: l’economia locale è d’altronde legata alle energie tradizionali e al fracking: controverso metodo di estrazione del gas, criticato dagli ambientalisti. Non a caso, a sostenere il fracking non è soltanto Oz. Anche il suo sfidante dem, John Fetterman, si dice oggi contrario a un divieto di questa pratica: divieto che pure in passato aveva invocato. Il che rischia di rivelarsi un problema per Biden. Da una parte, il presidente ha un disperato bisogno del seggio senatoriale della Pennsylvania per preservare la maggioranza alla Camera alta. Dall’altra, proprio il nodo ecologista potrebbe ritorcersi contro un Biden che, per attirare il voto della sinistra, ha portato avanti delle politiche ambientaliste ideologiche e foriere di cortocircuiti. Ha varato una stretta sulle perforazioni interne di gas e petrolio, ha bloccato il gasdotto Keystone XL, è rientrato negli accordi di Parigi sul clima senza prima ottenere concreti impegni ambientali dalla Cina. Poi, quando un anno fa gli Stati Uniti hanno iniziato a dover affrontare un crescente problema di caro energia, è andato in ginocchio dall’Opec, implorando un aumento della produzione di greggio: una mossa contraddittoria, che lo ha esposto alle accuse degli stessi ecologisti. Dulcis in fundo: il presidente sta adesso allentando la pressione sul Venezuela, sperando di ottenere vantaggi sul fronte petrolifero. È pertanto chiaro come la questione dell’autonomia energetica sia oggi centrale nelle critiche dei repubblicani ai dem. In tutto questo, va anche tenuto presente che la presa di Trump sul partito è un fattore potenzialmente indipendente da una sua ricandidatura presidenziale. Il trumpismo, da intendersi come maggiore attenzione alla working class e alle minoranze etniche, è diventato patrimonio strutturale dell’elefantino. E questo è un discorso che vale al di là dello stesso Trump. Nel caso quest’ultimo scegliesse di non ridiscendere in campo, i vari candidati alla nomination repubblicana ripartirebbero prevedibilmente da questa eredità. Anche perché svariati dei potenziali contendenti hanno avuto legami con l’ex presidente: Mike Pompeo ne fu segretario di Stato, Nikki Haley ambasciatrice all’Onu, mentre Ron DeSantis fu da deputato un suo stretto alleato. C’è chi dice che la trasformazione in atto sarebbe un male, perché snaturerebbe il Partito repubblicano. Lo stesso dicevano della rivoluzione reaganiana. All’epoca ebbero torto. Non è escluso che lo abbiano anche oggi.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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