2023-12-23
Dietro al fondo per gli Stati, ormai diventato per gli istituti, c’è un fantasma. È quello di un’Unione bancaria tutta da definire.Sarebbe interessante sapere dove erano le prefiche del Mes quando i contribuenti italiani o direttamente i correntisti-azionisti sono stati chiamati a salvare le nostre banche. La lista è lunga, si va da Tercas e si arriva fino alle quattro banche popolari (Etruria & C.) che hanno importato di fatto il bail in. Senza contare i guai di Carige e di Mps. Sappiamo che gli europeisti convinti hanno sempre dato la medesima spiegazione: colpa degli amministratori, dei presidenti che hanno abusato dei loro poteri e hanno frainteso il ruolo che competeva loro. Hanno invertito il concetto di sostegno al territorio con il sostegno alla poltrona, la loro o quella degli amici. Nulla da obiettare. Ma uno Stato e una nazione non si possono limitare all’analisi dei reati o alla gestione dei processi. Quella compete a pm e giudici e, permetteteci, non vogliamo entrare nella discussione di come le inchieste e i processi siano stati gestiti. A noi preme valutare l’interesse nazionale. Tutelare gli asset bancari era a tutti gli effetti nostro interesse nazionale, perché avrebbe significato garantire al Paese un livello più elevato di sovranità bancaria. Ecco, le prefiche del Mes non solo non ammettono che il fondo da Salva Stati è divenuto Salva banche, ma - Pd in primis - hanno favorito le entrate a gamba tesa della Commissione Ue e quindi hanno collaborato alla spoliazione del nostro Pil. Un esempio su tutti. Quando Dg Comp, la divisione della Commissione che si occupa della concorrenza, ha imposto la cessione delle banche venete in tempi assolutamente fuori mercato e irricevibili, il ministro dell’Economia di allora, Pier Carlo Padoan, sarebbe dovuto intervenire e avrebbe dovuto sbattere i pugni sul tavolo. Invece, è stato zitto. Ha osservato la brutta fine del fondo Atlante e il danno incommensurabile ricaduto sulle fondazioni bancarie. Suonare il campanello dell’avvocato Giuseppe Guzzetti per saperne di più. Non solo, l’ex ministro è passato a occuparsi di Mps e con uno strano tempismo ha deciso di candidarsi proprio a Siena per ottenere un seggio targato Pd. Seggio che non ha esitato a lasciare per prendere la presidenza di Unicredit. In molti diranno che questo è il passato. Fino a un certo punto. L’effetto cascata del no della Commissione al salvataggio di Tercas, poi ribadiamolo giudicato da ben due sentenza come illecito, ha causato il crac delle quattro banche popolari. La fretta di trovare soluzioni a sua volta ha imposto un calcolo delle sofferenze di poco inferiore al 18%, scatenando la corsa dei fondi esteri al mercato degli incagli e dei cosiddetti Npl (Non performing loans) italiani. La percentuale di svendita dettata da quella operazione ha creato il benchmark di riferimento per le altre banche. Dando il via a un’ondata di ribassi che ha creato in poche settimane perdite stimate in circa 10 miliardi di euro. Quindi, non solo la Commissione ha preso una decisione (Tercas) irreversibile sul piano del mercato, ma chi doveva vigilare e garantire gli investimenti degli italiani ha di fatto imposto una svalutazione del patrimonio immobiliare detenuto dagli istituti di credito, facendo sapere a tutti gli investitori stranieri quanto poco valessero le sofferenze in pancia alle banche. Questo è imperdonabile. Quindi viene adesso da chiedersi perché chi celebra il Mes come necessario insista su questa strada. Dal momento che crediamo nella coazione a ripetere non si può escludere che in futuro si voglia bissare la pratica. L’approvazione del Mes in qualità di fondo Salva banche non serve alle banche italiane. Magari servirà di più alle banche straniere, magari quelle tedesche. Ma l’insistenza ci porta a ritenere che l’approvazione dello schema del Meccanismo serva a far entrare l’Unione bancaria dalla finestra. Quando il premier, Giorgia Meloni, dice che non c’è correlazione tra Mes e Patto di stabilità dice la cosa giusta. Tatticamente siamo convinti che fermare il Mes fino a dopo le elezioni europee sia la mossa più saggia da portare avanti in questo momento perché consente di salvaguardare la ricchezza degli italiani. Proviamo a spiegarci meglio. Di Unione bancaria se ne parla da anni e uno degli elementi cardine sarebbe quello di abbattere i confini nazionali e consentire a una banca estera di fare raccolta finanziaria in Italia e utilizzare la liquidità per consolidare il patrimonio anche della casa madre. Non è un caso che ci sia in atto una guerra feroce anche se silenziosa attorno al risparmio gestito tricolore. Guerra che coinvolge soprattutto i francesi di Amundi, la nostra piccola corazzata Anima, i cugini d’Oltralpe di Crédit Agricole ormai legati a doppia mandata con Banco Bpm, ed estremamente attenti alla cassaforte che essa rappresenta nella pianura padana e nel lombardo veneto. Attenzione. Non diciamo che l’Unione bancaria sia un male assoluto. Ma senza condizioni di reciprocità e garanzie di trasparenza lo è sicuramente. Non si approva dunque un meccanismo di salvataggio degli istituti senza capire prima che ne sarà nei prossimi dieci anni del sistema bancario europeo. Come sarà consolidato e a quali condizioni.
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