2025-02-14
Il cranio pelato piace solo sulle top model
Carlo Conti e Bianca Balti a Sanremo (Ansa)
A Sanremo, con la Balti, è andata in scena la nuova fase del racconto pubblico della sofferenza, accettabile se si resta belli fuori. Quando il malato è ridotto a bava dalla bocca e ferite purulente, meglio la «dolce morte». Cristicchi ci indica però un’altra via.Bianca Balti è bellissima, scrivono i giornali. La sua presenza al Festival di Sanremo è una «celebrazione della vita oltre il dolore». È «un ciclone gentile», è «solare», sorride. È elegante perché ha scelto «come regola di ingaggio quella di non parlare della propria malattia. Rifiutando ogni possibile, scontata narrazione del dolore». In realtà, la supermodella la malattia l’ha narrata eccome. Non con parole, che anzi ha esplicitamente (e forse giustamente) rifiutato, ma con una immagine potentissima: il suo cranio rasato, denudato dalla terapia. Un foulard sul capo avrebbe senz’altro avuto un effetto meno dirompente, decisamente meno spettacolare. Ma ognuno vive e inscena la sofferenza come vuole e soprattutto come può, trapassandola con più o meno forza, con più o meno bisogno di intimità e protezione. Per qualcuno la condivisione è un aiuto, per altri lo stare appartati è una sicurezza. Da un verso è dunque molto apprezzabile la scelta della Balti di scansare la retorica dei lacrimoni e del «tesoro quanto sei forte e coraggiosa», su cui immaginiamo che qualche autore televisivo si sarebbe gettato come un piranha molto più che volentieri. Troppa ne abbiamo macinata di tivù del dolore. Ma visto che quel cuoio liscio sulla testa della modella forza lo spettatore a una riflessione, allora è il caso di tenere d’occhio un’altra tendenza che va affermandosi a prescindere dalla Balti e in fondo malgrado lei. Forse si tratta persino di una nuova fase del racconto pubblico della malattia, ultima di una lunga e discutibile serie catodica. C’è stato un tempo in cui la malattia e l’imperfezione fisica erano vissute come stigma, come segni da occultare per non turbare. Poi si è passati all’esibizione pulp, alla sofferenza come catalizzatore di ascolti. Subito dopo è arrivato un altro tipo di esibizione, avvolto nella retorica del coraggio, della malattia come guerra da vincere: si trattava in sostanza di un altro modo di stigmatizzare, dato che non tutti la presunta guerra possono vincerla, e in certe occasioni la forza d’animo e lo spirito battagliero non bastano a cambiare il finale. E oggi? Beh, oggi le opposte retoriche hanno stancato, ed è interessante il modo in cui la Balti cerca la sua via: la malattia c’è, è visibile, eppure non è essa sola al centro della scena.Questo atteggiamento, che pure ha tratti molto apprezzabili sul piano individuale, rischia però di fornire ai media e a chi guarda una sorta di alibi. Per un motivo semplice: il cranio pelato e le sopracciglia mancanti funzionano quando appartengono alla Balti. Cioè a una persona esteticamente molto gradevole, che non è duramente segnata dal male e che appare comunque efficiente, perfettamente funzionante e vitale. Ma quando questa vitalità è platealmente spenta, che si fa? Quando il malato non è autosufficiente come lo si accoglie? La malattia, talvolta, è anche bava agli angoli della bocca, è pelle giallastra, occhi slavati e fiato corto. È cicatrice e amputazione, carne martoriata e fluidi corporei a vista. E soprattutto è odore, odore cattivo. Conviene dunque chiedersi se sappiamo accettare con vero coraggio tutto questo, se siamo in grado di sopportarlo senza falsa condiscendenza o pelosa compassione. Riusciremmo a mostrare una disabilità vera, potente e perturbante in prima serata senza avvolgerla nelle frigne e ridurla alle liquidatorie pacche sulle spalle? A indicare una strada (ma è cosa diversa) è probabilmente riuscito Simone Cristicchi con un brano sanremese delicato sulle malattie degli anziani, quelle che ne cancellano i tratti adulti riportandoli all’infanzia. Qualcuno lo ha rimproverato di non aver inserito nel testo una maggior dose di durezza, di aver appunto evitato il confronto con il dolore. Si può obiettare, però, che Cristicchi non canta la malattia, bensì l’amore di chi sta vicino al malato e lo accoglie pur sottoponendosi a mostruosa fatica. Non è un evitare: è un altro punto di vista, per giunta con una punta di malinconia che restituisce la consapevolezza della situazione reale. Certo non ci sono nel pezzo, almeno esplicitamente, gli sbalzi di umore, la cattiveria e la rabbia, le impuntature e le crisi degli «adulti-bambini» sofferenti, la cui vicinanza è immensamente problematica. In qualche modo tuttavia Cristicchi riesce a far avvertire il negativo, come tenendolo in sottofondo. Per certi versi ha fatto così anche la Balti, ma con una tonalità spettacolare più marcata, che è stata subito colta dai media e macinata con gusto. Subito ne hanno fatto un modello, un manifesto: siate belli anche se dolenti. Viene da sospettare allora che ci stiamo rifugiando in una nuova retorica, che ci fa accogliere il dolore finché non intacca la superficie scintillante, finché non si fa crepa o ferita purulenta. Siamo la società che applaude il malato vip e ne accoglie le confessioni a mezzo stampa (sono rarissimi coloro che vivono le patologie con riserbo, potendolo fare), ma anche quella che spinge a una «morte compassionevole» che troppo spesso appare come scarico di responsabilità. Il sentore è che il malato sia accettabile finché non pesa troppo, ma quando inizia a diventare costoso, impegnativo e sfinente allora tutto cambia. Meglio accompagnarlo velocemente all’uscita. Meglio chiudere i battenti finché si è scintillanti e la malattia ancora non invalida brutalmente. Meglio restringere i confini di quella che viene definita vita dignitosa, e liberarci in fretta di chi li oltrepassa. Potremmo pensarci su, forse. Pensare al fatto che ci facciamo commuovere dal brano di Cristicchi ma temiamo gli adulti-bambini malati che canta: preferiamo che siano energici come Bianca Balti. E se non ci riescono, sipario.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.