2021-06-27
Gli azzurri non si inginocchiano né con l’Austria né con il Pd
L'Italia ignora Enrico Letta e resta in piedi al calcio d'inizio. Poi fatica contro un avversario chiuso, si salva col Var e va ai supplementari. Roberto Mancini mette Federico Chiesa e Matteo Pessina, che fanno gol: finisce 2-1 e si va ai quarti di finale. Lo stellone si accende in Chiesa a Wembley. L'incubo si dissolve, passiamo ai quarti con i simboli classici nella penitenza dei supplementari: incenso e sofferenza, cilicio e tocco magico per eliminare l'Austria (2-1) e andare a Monaco di Baviera. Ad attendere il 2 luglio, ai quarti di finale degli Europei, una corazzata fra Portogallo o Belgio. Avanti per il rotto della cuffia, va bene egualmente, nella partita più drammatica e calcisticamente povera. Anche l'Italia soffre e sa toccare il fondo senza perdersi, senza annegare. Alla fine schianta gli austriaci con i cambi Federico Chiesa e Matteo Pessina quando le gambe pesano e il cuore conta il doppio.C'è solo il finale da ricordare, il resto buttiamolo via. Ci rimangono negli occhi i due stupendi gol, l'emozione del dramma, la resistenza feroce dopo la rete di Sasa Kalajdzic che riporta gli austriaci a un passo, le parate di Gianluigi Donnarumma che perde l'imbattibilità. E la capacità di tutti (soprattutto Andrea Belotti) - quando si può solo trattenere l'anima con i denti - di rincorrere, raddoppiare, meritarsi di andare avanti ancora. Mai perduti, mai passivi, mai in ginocchio. Con un inciso doveroso da fare: Roberto Mancini l'aveva sbagliata, aveva dato credito a un centrocampo di filosofi quando servivano sherpa, faticatori antichi, alpinisti capaci di toccare la luna. Dopo una settimana di polemiche innescate dall'uscita a vuoto di Enrico Letta, la squadra azzurra decide di non mettere il ginocchio a terra. La scelta si era intuita nel clan italiano, il ct Mancini aveva messo davanti ad ogni gesto «il valore supremo della libertà di scegliere». Nessuno si genuflette, né al Black Lives Matter, né al conformismo progressista dem, che subisce la sconfitta più sciocca e meritata della serata. Neppure gli austriaci ci pensano; c'è una partita impossibile da giocare, meglio usare la tattica della schiena dritta. Al fischio d'inizio dell'inglese Anthony Taylor parte un boato insolito e si intuisce che gli italiani nel tempio del calcio non sono i 1.500 previsti, ma molti di più (totale a Wembley, 25.000). C'è l'italian London a trascinare la Nazionale, che ne ha bisogno perché comincia piano. Timida, mai cosi timida.Il motivo è semplice: questa è la sfida psicologicamente più complicata, contro un avversario che non vale la metà, con il pronostico a senso unico, con alle spalle tre vittorie, sette gol fatti e nessuno subìto. Tutto da perdere, tutto in una notte. Così è crudele e non è mai facile. Anche perché dopo Caporetto, fra mondiali ed europei, contro l'Austria non abbiamo mai perso. Mancini lascia in panchina Manuel Locatelli e dà le chiavi del centrocampo a Marco Verratti, in partenza preferisce la qualità al dinamismo, far viaggiare la palla più che gli uomini. Dopo un minuto il rude Marko Arnautovic ha già un cartellino giallo accanto al nome per un'entrata grossolana su Nicolò Barella, bersaglio preferito dei centrocampisti austriaci. Loro gli fanno sentire i tacchetti, lui si rialza e ricomincia a macinare chilometri. Qui non succede niente per 20 minuti, durante i quali sembra che l'Italia scaldi i motori. In due occasioni Leonardo Spinazzola se ne va sulla fascia mettendo il turbo: la prima volta tira fuori, la seconda serve Barella che tenta un colpo da biliardo d'esterno come Luka Modric, ma Daniel Bachmann respinge con il piedone. L'Austria allestita con intelligenza da Franco Foda (papà veneziano, mamma tedesca) è poco più che classe operaia. Si difende «con ordine», che tradotto significa: area chiusa e contropiede speculativo. David Alaba è frenato da Giovanni Di Lorenzo, Marcel Sabitzer è troppo solo per mettere paura alla retroguardia azzurra. Però c'è, pesa, tocca palloni deliziosi. Proprio in un'azione di rilancio, Arnautovic beffa Leonardo Bonucci e sparacchia alto. È l'unica palla di Mozart del primo tempo austriaco. L'Italia spera di trovare il corridoio giusto, ma le punte sembrano fantasmi. Lorenzo Insigne gira al largo, Domenico Berardi è stranamente individualista e Ciro Immobile semplicemente dorme. Mai primo sulla palla, mai in grado di dettare il passaggio. E quando, sul filo del fuorigioco, ha fra i piedi un pallone d'oro, prima sbaglia il controllo, poi si fa rimontare. Ma Ciro è imprevedibile e al 32', all'improvviso, come colpito da una freccia divina, spara una bordata da 25 metri per la disperazione (erano tutti marcati) che si stampa sull'incrocio dei pali. Si riprende con il valzer lento, ballo nel quale gli austriaci sono maestri. Fine primo tempo, due pallegol a zero ma è zero a zero. Quanto al gioco, meglio che niente ma anche poco più di niente.Siamo nella Cripta dei Cappuccini, bisognerebbe uscirne con una giocata improvvisa, con una zingarata all'italiana. Alla vigilia Mancini ha ribadito in rima: «Uno stadio così va rispettato, giocare male sarebbe un peccato». Finora i ragazzi non l'hanno ascoltato e l'inizio della ripresa non sembra modificare gli equilibri. Al 50' per un fallo di Di Lorenzo su Xavier Schlager al limite, arrivano due ammonizioni e un brivido. I gialli sono per l'autore del fallo e Barella (proteste, siamo inutilmente nervosi); il brivido perché la punizione di Alaba sfiora la traversa. L'Italia sta vivendo la mezz'ora peggiore del suo Europeo, che al 64' rischia di diventare un incubo. Verratti - gambe molli, idee banali - perde una palla sanguinosa che Sabitzer si fa deviare in angolo. Sull'azione successiva Alaba anticipa i nostri difensori e fa la sponda per Arnautovic che segna. Dopo due minuti di Var (ma sembrano 20) Taylor annulla per fuorigioco del centravanti. Gli azzurri sono sotto shock, Mancini toglie il deludente Verratti per Locatelli e psycho Barella per Matteo Pessina, nella speranza che siano ancora una volta i salvatori della patria. Si va dritti verso lo psicodramma: ora l'Austria prende campo perché sembra atleticamente meno stanca. E ancora il Var azzera una richiesta raggelante, per un possibile rigore di Matteo Pessina su Stefan Lainer. Per nostra fortuna c'era un fuorigioco in precedenza. Tutto questo è biodegradabile, viene sciolto nel sudore e nella fatica di supplementari drammatici ed epici che hanno una storia tutta diversa. L'Austria sembra la Germania, l'Italia sembra l'Italia che fa gol e poi resiste, soffre. Mette i brividi a un intero Paese. Ma stando in piedi cammina, stanca e felice, verso un'altra battaglia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)