2018-05-22
Il professore gemelli e pochette con il cuore che batte a sinistra
Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio in pectore è un habitué delle grandi università e di certi circoli di potere. Nel barcamenarsi fra Pd e M5s è stato molto abile. Vedremo se lo sarà nel capire cos'è bene per l'Italia.Ancor prima che fosse candidato a Palazzo Chigi, i giornali avevano già cominciato a sparargli addosso: amico della Boschi, Frattini dei sovranisti, vicino ai potenti, pentito di sinistra, carneade, ma anche giurista dal curriculum troppo lungo. E soprattutto (gravissimo) «prof con la pochette». Ora si capisce: la pochette costituisce già di per sé un reato piuttosto grave. E i gemelli ai polsi stupiscono in un governo grilloleghista che ai polsi, dicono tutti, dovrebbe mettere solo le manette. Si capisce ancor di più, poi, che il professor Giuseppe Conte stoni nella quotidiana narrazione contro l'orda barbara dei populisti: egli, infatti, sta alle piazze ululanti di Pontida e del Vaffaday come il consommé alla sagra della braciola di Montecorvino Rovella. Ma i casi sono due: o si accusano Salvini e Di Maio perché sono degli straccioni oppure li si accusa per eccesso di eleganza. O li si attacca perché sono buzzurri ignoranti senza conoscenza del congiuntivo oppure li si attacca perché presentano uomini con il curriculum troppo lungo. O li si sfotte perché sono degli asini mentecatti oppure li si sfotte perché mettono in mostra titoli di studio a Yale e alla Sorbona. Se dobbiamo essere sinceri, a noi preoccupa più il secondo aspetto. Che ci volete fare? Siamo fatti così: l'eleganza ci fa più paura delle felpe stazzonate. E poi, diciamocelo, di professori con il curriculum lungo ne abbiamo già visti fin troppi, lassù a Palazzo Chigi. Non è mai andata troppo bene. Negli ultimi 80 giorni, mentre si faceva il viaggio intorno al mondo elettorale, ci si domandava: non è che per una volta, scegliendo il premier, riusciremo a guardare ai voti nell'urna, anziché ai voti di laurea? Gira che ti rigira, invece, rieccoci di nuovo di fronte al professore che piace alla gente che piace, sponsorizzato dal segretario del Colle Ugo Zampetti e protetto dai baroni del Foro, uno che ha avuto incarichi da Banca d'Italia, da Confindustria, dall'Agenzia spaziale italiana, che siede nei comitati di sorveglianza delle assicurazioni, è consulente legale delle Camere di commercio e condirettore della collana Laterza dedicata ai Maestri del diritto. «È un premier politico», assicura Di Maio. Sarà. Ma a leggere il suo curriculum, viene inevitabile il sospetto: sarà il premier politico del governo Lega-5 stelle? O sarà il premier politico del solito governo Salotti Buoni con una maggioranza Cambridge-Sorbona-Viale dell'Astronomia e l'appoggio esterno dell'alta sartoria Caraceni? Toccherà a Conte, se davvero riceverà l'incarico, dissipare tutti i dubbi. In questa attività, come vi spiegheremo tra breve, è abile, ancor più che raccogliere titoli di studi e incarichi per conferenze. Nato a Volturara Appula, un piccolo paesino di 467 abitanti in provincia di Foggia, 54 anni, sposato e poi separato, un figlio di 10 anni, è andato a scuola a San Giovanni Rotondo, il paese di padre Pio, dove suo padre era segretario comunale. Percorso scolastico da perfetto secchione: 60/60 alla maturità, 110 e lode in Giurisprudenza all'università La Sapienza. Poi ha subito cominciato a collezionare passaggi nelle università più prestigiose: tre mesi a Yale, tre mesi al Kultur Institute di Vienna, un'estate alla Sorbona, un settembre a Cambridge. Tutta roba che gonfia il curriculum, oltre che l'orgoglio personale. E che apre le porte dei principali studi legali italiani. In particolare Conte si è legato a Guido Alpa, cavaliere di Gran Croce nonché cavaliere dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro. Oltre che, assai più prosaicamente, collaboratore del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha anche sostenuto nella faida interna al Pd. Anche Conte, come il suo mentore Alpa, non ha mai nascosto le sue simpatie per la sinistra. Ma se ne è sottratto quando Di Maio l'ha chiamato a far parte del suo ipotetico governo, presentato prima delle elezioni. «Gli schemi del Novecento non sono più adeguati», ha detto il prof, chiudendo così un secolo di storia e aprendosi un pezzo di futuro. Che vi dicevamo? È proprio abile. Infatti, indicato come potenziale ministro della Funzione Pubblica del governo 5 stelle, ha lasciato trapelare un paio di dichiarazioni generiche sulla sburocratizzazione e sulla riduzione delle leggi. E poi se ne è rimasto acquattato lì, in silenzio. Mentre molti suoi colleghi professori hanno fatto apertamente il tifo per l'alleanza con il Pd e si sono ritirati in buon ordine quando hanno visto, al contrario, avvicinarsi il profilo barbaro di Salvini, lui non ha fatto un plissé. Immobile. E così è passato da potenziale ministro della Funzione Pubblica a possibile premier. «Premier politico» per di più, come ha precisato Di Maio richiamandosi agli 11 milioni di voti per i 5 stelle. E soprassedendo al fatto che Conte era soltanto nella lista dei ministri. Non certo in quella elettorale.Per altro, pure la vicinanza del candidato premier allo spirito dei 5 stelle è tutta da dimostrare. Per esempio, fra i numerosi incarichi, ne ha avuto uno anche all'interno del Comitato promotore per le Olimpiadi a Roma, avversatissime come è noto dai grillini. E, al contrario, sulla democrazia diretta e la libera espressione sulla rete deve avere più di un dubbio, dal momento che ama ripetere ai suoi follower: «Scrivetemi come se ogni messaggio dovesse costarvi 10 euro: vi aiuterà a concentrare il pensiero». Anche dal punto di vista geografico, inoltre, come da quello politico, il professor Conte non ha un baricentro fisso: nato in provincia di Foggia, vive a Roma, risulta residente a Milano, ricopre un incarico in una società di Venezia, cura le collane della Laterza di Bari, ha seguito un arbitrato bancario a Napoli e insegna a Firenze (Diritto privato a Giurisprudenza). Un modo per riunire l'Italia divisa dal voto? Dicono che sia simpatico, chiacchierone, alla mano, tifoso della Roma, sfortunato nel calcetto (infortunio al menisco) ma fortunato nel resto della vita. È entrato anche nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, l'organo chiamato a giudicare i magistrati di Tar e Consiglio di Stato. E perciò è stato fra coloro che hanno bocciato il consigliere Francesco Bellomo, quello che suggeriva minigonna e tacchi a spillo alle ragazze che volevano passare l'esame. E poi ha anche bocciato la candidatura al Consiglio di Stato di Antonella Manzione, la vigilessa di Firenze che piaceva tanto a Renzi. Due punti a suo favore, si capisce. Ma adesso a qualcuno nella maggioranza gialloblu comincia a venire il dubbio: non è che si metterà a bocciare, con la stessa severità, anche i ministri proposti da noi?Sul suo profilo Whatsapp si presenta con una massima di Kennedy: «Ogni risultato inizia con la decisione di provare». Per carità, per arrivarci non ci vuole la laurea a Yale e alla Sorbona (che lui per altro non ha). Se uno non decide di provare, non va da nessuna parte: questo lo capiscono anche i buzzurri leghisti e pentastellati, quelli che pensano che la pochette, al massimo, serva per pulirsi le mani quando si mangia il pollo arrosto senza posate. Il problema è quale risultato porta questa decisione di provare. Perché è vero che c'è professore e professore, e un professore a capo di un governo tecnico, sostenuto dal nulla, è diverso da un professore a capo di un governo fortemente politico, sostenuto da due partiti votati dai cittadini. Ma poi, si sa, quando uno diventa presidente del Consiglio lo è a tutti gli effetti. E vorrà, legittimamente, esercitare le sue prerogative fino in fondo. In nome di chi lo farà? Del popolo che ha votato per cambiare? O di quei salotti che non vorrebbero cambiare nulla? E ci sarà qualcuno che ricorderà ogni mattina al professor Conte che questo governo più che alla Sorbona e a Yale deve essere vicino a Tor Bella Monaca? E che i gemelli ai polsi vanno benissimo al Simposio europeo dei docenti universitari ma sono piuttosto inutili per fermare le violenze alla stazione Centrale di Milano? O anche la speranza di cambiamento del 4 marzo finirà sepolta sotto una pochette di cachemire?