2019-09-15
Autostrade crolla in testa al governo. Di Maio all'attacco, dem in imbarazzo
Grazie all'inchiesta bis, il leader grillino si rianima: «Avanti con la revoca delle concessioni». Un boccone che il Pd non vuole ingoiare. Sospesi i dipendenti indagati. Il cda Spea è pronto a rimettere il mandato.Molti organi di informazione (La Verità con il massimo dell'evidenza, qualcun altro in modo più imbarazzato) hanno reso noto il contenuto dell'inchiesta bis che riguarda Autostrade, nata da una costola del fascicolo principale (quello sul crollo del ponte Morandi). L'indagine parallela riguarda la vergogna dei report taroccati perfino dopo la tragedia di Genova. Per un verso la ricerca del profitto, e per altro verso il tentativo di mostrare di avere le carte a posto, avrebbero continuato a prevalere sulla sicurezza, secondo gli inquirenti. Ieri la stessa holding dei Benetton, Edizione, ha espresso «sgomento e turbamento» preannunciando di essere pronta a prendere «senza esitazione e nell'immediato tutte le iniziative doverose e necessarie, anche a salvaguardia della credibilità dei suoi azionisti e delle aziende controllate e partecipate». Aspi ha annunciato di aver sospeso i dipendenti indagati. E il cda di Spea, controllata di Autostrade per cui lavorano alcuni indagati, «si è reso disponibile a rimettere il proprio mandato». Ma questo come impatta sui primi passi del governo più fragile e minoritario che si ricordi da molti anni? Solo negli ultimi sette giorni abbiamo assistito a prese di posizione su questo tema assolutamente divaricate, quasi inconciliabili. Nella trincea pro Atlantia è (metaforicamente) collocata la neo ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, che infiammò i grillini con un'intervista rilasciata appena dopo la nomina, nella quale escludeva la possibilità della revoca della concessione («Nel programma è prevista solo la revisione»). Nel suo discorso programmatico alle Camere, un Giuseppe Conte degno di Fregoli tirò fuori dal cilindro una via di mezzo tra un ossimoro e un rompicapo, parlando di una «progressiva e inesorabile revisione di tutto il sistema». Così, quelli del Pd poterono focalizzarsi sulla revisione, che per definizione esclude la revoca, mentre i grillini esultarono per l'aggettivo «inesorabile», che lasciava presagire chissà quale fiammeggiante punizione per i Benetton. Nelle ultime 36 ore i pentastellati sembrano tornati in versione muscolare. Ha cominciato il neo nominato Giancarlo Cancelleri (il vice della De Micheli) che ha subito detto il contrario dell'esponente Pd: «Il nostro imperativo è proseguire sul percorso tracciato dall'ex ministro Danilo Toninelli, la revoca delle concessioni ai Benetton. Altra strada non c'è». E però Cancelleri dovrebbe farlo sapere alla sua ministra e al suo premier. E forse pure al suo leader Luigi Di Maio, che, sotto il velo di un tono molto duro, sembra più cauto in seconda battuta: «Noi andiamo avanti con la volontà di revocare le concessioni autostradali ai Benetton. In Italia non ci sono solo i Benetton come concessionari, per quello abbiamo messo nel programma “revisione", ma è chiaro che sul ponte Morandi non possiamo pensare che quei tratti autostradali siano ancora gestiti da loro. Il procedimento sta andando avanti, ce lo portiamo dal precedente governo, speriamo che nei prossimi mesi si possa arrivare a fare giustizia per le vittime». A Di Maio ha replicato la De Micheli: «C'è una procedura in corso. Il presidente del Consiglio si è espresso il giorno della fiducia. Quella è la posizione del governo».A ben vedere, ci sono almeno due ragioni che indeboliscono Di Maio. La prima è che, proprio quando lui era al Mise, e quindi titolare del dossier Alitalia, Atlantia è stata invitata con tutti gli onori nella cordata per la compagnia aerea. Se Di Maio era così convinto della necessità di punire Atlantia, perché ha avuto - diciamo - un vuoto di memoria mentre ne accettava di buon grado il coinvolgimento? La seconda ragione - e qui Di Maio non è certamente colpevole - risale a 12 anni fa, al 2007, quando fu scritta una clausola pro Benetton che assicurerebbe ai concessionari un rimborso stellare in caso di revoca. Insomma, i due partiti hanno esigenze opposte. Da una parte ci sono i grillini, che vorrebbero mostrare il pugno di ferro (e che soprattutto non reggerebbero davanti all'opinione pubblica un'ulteriore capitolazione, peraltro su un dossier così simbolicamente significativo): e però non sanno come fare per dare seguito giuridico alla loro volontà politica. Dall'altra ci sono quelli del Pd, da sempre oggettivamente interlocutori di un mondo di concessionari, oltre che di una serie di famiglie simbolo di un capitalismo italiano poco abituato alla durezza del mercato e della concorrenza, ben al di là della specifica questione Autostrade: pochi capitali, enormi profitti, grandi relazioni. Per fare un esempio (si tratta solo di congetture, di suggestioni: ma - appunto - evocative di un'atmosfera), c'è chi sostiene che anche l'esito incerto della partita che riguarda Autostrade sia uno dei fattori che induce il mondo che ruota intorno a Repubblica a scetticismo e freddezza verso i giallorossi (fermo restando l'odio anti Matteo Salvini). C'è tutto un ambiente laico e azionista che non si sente garantito dal mix tra grillini e sinistra Dc che caratterizza questo governo. I sostenitori di questa tesi ricordano l'intervista - accomodante, diciamo - che Repubblica, con la penna di Francesco Merlo, fece a Luciano Benetton nel maggio del 2019, con l'incredibile domanda: «È vero che il crollo del ponte Morandi con i suoi 43 morti ha ferito lei e ucciso suo fratello?», come se gli italiani dovessero preoccuparsi delle sofferenze di casa Benetton. In quell'intervista, Luciano Benetton definì il crollo del ponte «una disgrazia imprevedibile e inevitabile», una sorta di verdetto di autoassoluzione.
(Totaleu)
«Strumentalizzazione da parte dei giornali». Lo ha dichiarato l'europarlamentare del Carroccio durante un'intervista a margine della sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo.